LA VOCAZIONE DI UN CARMELO TERESIANO CHIAMATO A VIVERE IN DIALOGO CON DIO E CON I FRATELLI!

Il Castello interiore


Castello interiore

Questo trattato, chiamato Castello Interiore, fu scritto da Teresa di Gesù, monaca di Nostra Signora del Carmine, per le sue sorelle e figlie, le monache carmelitane scalze.

 

JHS

[PROLOGO]


1. Poche cose impostemi dall’obbedienza mi sono riuscite così difficili come quella, che viene richiesta ora, di scrivere sull’orazione, sia perché non mi sembra che il Signore mi dia né l’ispirazione né il desiderio di farlo, sia perché da tre mesi ho la testa così intontita e debole a scrivere con fatica anche per affari d’obbligo. Ma, ritenendo che la forza dell’obbedienza suole appianare cose all’apparenza impossibili, mi decido a farlo con molta buona volontà e fervore, anche se per natura mi sembra di soffrirne, perché il Signore non mi ha dato tanta virtù da poter lottare con le continue infermità e con occupazioni di ogni genere senza provarne una viva contrarietà. Ci pensi colui che ha fatto cose ben più difficili in mio favore e nella cui misericordia confido.

2. Penso, però, che saprò aggiungere ben poco a quanto ho detto in altri scritti che mi furono ordinati, anzi temo che in gran parte mi ripeterò, perché io sono esattamente come gli uccelli a cui si insegna a parlare, che non sanno più di quanto è stato loro insegnato o odono, e non fanno altro che ripeterlo molte volte. Se il Signore vorrà che io dica qualcosa di nuovo, Sua Maestà me ne farà dono o si accontenterà di richiamarmi alla memoria ciò che ho detto altre volte; mi contenterei anche di questo, avendo io una così cattiva memoria che sarei lieta d’imbroccare certe cose che, a quanto pare, erano ben dette, nel caso che fossero andate perdute. Ma, nel caso che il Signore non voglia concedermi neanche questo, il fatto di stancarmi e di far aumentare il mal di testa per obbedienza mi sarà di guadagno, anche se nessuno trarrà alcun vantaggio da ciò che dirò.

3. E così comincio tale obbedienza oggi, giorno della Santissima Trinità dell’anno 1577, in questo monastero di San Giuseppe del Carmine, a Toledo, dove vivo attualmente, sottomettendomi in tutto quel che dirò al giudizio di coloro che mi hanno dato l’ordine di scrivere, tutte persone di grande dottrina. Se dicessi qualche cosa che non fosse conforme a quanto insegna la santa Chiesa cattolica romana, sarà per ignoranza e non per malizia. Questo può ritenersi senza dubbio alcuno, poiché, per la bontà di Dio, sono, sarò e sono stata sempre soggetta ad essa. Sia egli per sempre benedetto e glorificato! Amen.

4. Chi mi ordinò di scrivere mi disse che le monache di questi monasteri di Nostra Signora del Carmelo avevano bisogno di chi chiarisse loro certi dubbi circa l’orazione e, sembrandogli che le donne intendono meglio il linguaggio di un’altra donna, sarebbe stato più adatto per loro, specialmente a causa dell’amore che mi portano, ciò che potevo dire io. È chiaro che per questa ragione sarà di qualche importanza riuscire a dire qualcosa; pertanto, scrivendo, mi rivolgerò solo ad esse. E, poiché mi sembra una follia pensare di poter essere utile ad altre persone, grande grazia mi farà Nostro Signore se qualcuna delle mie consorelle se ne gioverà per lodarlo un po’ di più. Sua Maestà sa bene che non pretendo altro; ed è evidente che, qualora riesca a dire qualcosa, capiranno che non è farina del mio sacco, non essendoci in me tale capacità, a meno che non abbiano così poca intelligenza come io ho poca abilità per simili cose, se il Signore, nella sua misericordia, non me la dà.




Castello interiore



Sezione 1

Mansioni



PRIME MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Tratta della bellezza e della dignità della nostra anima. Stabilisce un paragone per farle comprendere e parla del vantaggio che si ricava dall’intenderle e dal conoscere le grazie che si ricevono da Dio. Sottolinea, inoltre, come la porta di questo castello sia l’orazione.

 

1. Mentre oggi stavo supplicando il Signore di parlare in mia vece, perché non riuscivo a dir nulla né sapevo in che modo cominciare a compiere l’obbedienza impostami, mi venne in mente ciò che ora dirò, per iniziare la trattazione con un certo fondamento: cioè che possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. Infatti, se ci riflettiamo bene, sorelle, l’anima del giusto non è altro che un paradiso dove il Signore dice di avere le sue delizie. Allora, come pensate che sarà l’abitazione dove trova il suo diletto un Re così potente, così saggio, così puro, così ricco di tutti i beni? Io non vedo nulla a cui paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua immensa capacità e, in verità, il nostro intelletto, per quanto acuto, difficilmente arriverà a comprenderla, al modo stesso in cui non può arrivare a comprendere Dio, poiché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, come dice lui stesso. Se dunque è così, come lo è in realtà, non c’è ragione di affaticarsi a desiderare di capire la bellezza di questo castello. Infatti, anche se tra il castello e Dio c’è tutta la differenza che intercorre tra il Creatore e la creatura, trattandosi di cosa creata, basta che Sua Maestà dica d’averla fatta a sua immagine perché possiamo, pur a stento, capire qualcosa della grande dignità e bellezza dell’anima.

2. È causa di non poca pena e vergogna il fatto che, per nostra colpa, non riusciamo a capire noi stessi né a sapere chi siamo. Non sarebbe forse segno di grande ignoranza, figlie mie, se qualcuno, richiesto della sua identità, non sapesse rispondere né potesse dire chi è suo padre, sua madre, e quale il suo paese? Se dunque ciò denuncia un’enorme ignoranza, la nostra, quando non cerchiamo di sapere chi siamo e ci fermiamo solo alla considerazione del nostro corpo, è, senza confronto, maggiore. Sì, pressappoco, sappiamo di avere un’anima, perché lo abbiamo sentito dire e perché ce lo insegna la fede. Ma i beni che può racchiudere quest’anima o chi abita in essa, o il suo inestimabile pregio, sono cose che consideriamo raramente. Di conseguenza, ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si volge sulla rozza incastonatura di questo diamante o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo.

3. Consideriamo dunque che questo castello, come ho detto, contiene molte mansioni, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella nella quale si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e l’anima. Occorre che facciate attenzione a questo paragone. Chissà che Dio non si compiaccia, con esso, di farvi avere un’idea delle grazie che egli ha la bontà di accordare alle anime, e della differenza che passa fra loro, fin dove mi sarà concesso d’intenderle; perché, essendo tanto numerose, a nessuno è possibile conoscerle tutte, tanto meno a una creatura così misera quale son io. Se il Signore ve le accorderà, vi sarà di grande conforto sapere che ciò è possibile, e chi non le avrà ricevute ne trarrà occasione per lodare la sua infinita bontà. Infatti, come non ci nuoce considerare le bellezze che sono in cielo e il godimento dei beati, anzi ci è causa di allegrezza e ci serve di spinta per ottenere ciò di cui essi godono, non ci sarà neppure dannoso costatare la possibilità che, in questo esilio, un Dio tanto grande si comunichi a vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, e ci spronerà ad amare una così eccelsa bontà e una così infinita misericordia. Sono sicura che chi reagirà male nell’apprendere la possibilità che in quest’esilio Dio faccia questa grazia, sarà del tutto privo di umiltà e di amore del prossimo perché, se così non fosse, come non rallegrarsi che Dio elargisca tali grazie a un nostro fratello, quando ciò non impedisce che le accordi anche a noi, e che Sua Maestà faccia conoscere la grandezza delle sue opere, quale che sia il beneficiato? Alcune volte, infatti, non ha altro scopo che quello di manifestare queste meraviglie, come disse a proposito del cieco a cui diede la vista, quando gli apostoli gli domandarono se quella cecità si doveva ai suoi peccati o a quelli dei suoi genitori. E così accade che non sempre, quando egli accorda tali grazie a certe anime, lo fa perché siano più sante di quelle a cui non le concede, ma perché si conosca più chiaramente la sua grandezza, come possiamo vedere in san Paolo e nella Maddalena, e per essere da noi lodato nelle sue creature.

4. Si potrà dire che tali cose sembrano impossibili e che è bene non scandalizzare i deboli. Ma è minor male che ci sia chi non vi creda anziché privare del profitto dovuto coloro ai quali Dio le elargisce. Questi se ne rallegreranno e saranno stimolati ad amare di più colui che usa così grandi misericordie nella sua sovrana potenza e maestà, tanto più che so di parlare a persone per le quali questo pericolo non esiste, perché esse sanno e credono che Dio fa dono anche di più alte manifestazioni d’amore. Sono certa che chi non lo crede non ne farà mai l’esperienza, perché Dio ama molto che non si pongano limiti alle sue opere; pertanto, sorelle, che ciò non accada mai a quelle tra voi che il Signore non condurrà per questo cammino.

5. Tornando dunque al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare. Sembra che dica uno sproposito, in quanto se questo castello è l’anima, evidentemente l’entrare non ha ragion d’essere, poiché si è già dentro; come sembrerebbe una stoltezza dire a qualcuno di entrare in una stanza, quando già vi si trova. Ma bisogna che intendiate che esiste una grande differenza tra un modo di esservi e un altro. Ci sono, infatti, molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie, e non si preoccupano di entrare in esso né di sapere cosa racchiuda una così splendida mansione, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia all’anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo.

6. Mi diceva poco tempo fa un gran teologo che le anime che non fanno orazione sono come un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere. Ed è proprio vero, perché ci sono anime così malate e così abituate a vivere fra cose esteriori, che non c’è mezzo di tirarle fuori di lì, né, a quanto sembra, possibilità che rientrino in se stesse. È ormai talmente inveterata l’abitudine di vivere con i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello che sono quasi divenute simili ad essi; tutto è inutile, nonostante l’eccellenza della loro natura e la possibilità di conversare nientemeno che con Dio. Se queste anime non cercano di comprendere la loro immensa miseria e di porvi rimedio, accadrà che, per non volgere lo sguardo a se stesse, si tramuteranno in statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro.

7. Infatti, per quanto ne posso capire, la porta di entrata a questo castello è costituita dall’orazione e dalla meditazione. Non dico che sia più la mentale che la vocale, perché se è orazione, dev’essere accompagnata da meditazione, in quanto io non chiamo orazione quella in cui non si considera con chi si parla, che cosa si chiede, chi sia colui che chiede e colui al quale si rivolge al richiesta, anche se le labbra si muovono molto. Qualche volta forse lo sarà, pur senza queste riflessioni, ma perché sono state fatte altre volte. Chi, però, avesse l’abitudine di parlare con la maestà di Dio come parlerebbe a un proprio schiavo, senza badare se dice bene o male, ma proferendo ciò che gli viene alla bocca o che sa a memoria per averlo recitato altre volte, non fa, a mio giudizio, orazione. Piaccia a Dio che nessun cristiano preghi in tal modo! Quanto a voi, sorelle, spero in Sua Maestà che questo non vi accada, abituate come siete a occuparvi di cose interiori, il che è un grande aiuto per non cadere in simile incoscienza.

8. Non parliamo dunque a queste anime paralitiche, le quali, se il Signore non viene lui stesso a comandar loro di alzarsi – come a quell’uomo che da trent’anni stava sul bordo della piscina –, andranno incontro a grandi sventure e a gravi pericoli. Parliamo alle altre anime che, alla fine, entrano nel castello perché, anche se molto invischiate nel mondo, hanno buoni desideri e talora, benché di rado, si raccomandano a nostro Signore e considerano quello che esse sono, sia pure un po’ in fretta. Pregano qualche volta al mese, ma con il pensiero quasi sempre immerso nei mille affari da cui sono prese, essendovi molto attaccate, perché là dov’è il proprio tesoro, è anche il proprio cuore. Fanno però, di tanto in tanto, uno sforzo per liberarsene, ed è certo molto utile la conoscenza di sé e il rendersi conto che non si batte la via giusta per imboccare la porta. Alla fine, entrano nelle prime stanze, quelle poste in basso; ma, insieme, vi entrano una quantità di animaletti nocivi che non permettono loro di vedere la bellezza del castello né di trovarvi riposo: è già molto che vi siano entrate.

9. Ciò vi sembrerà forse fuori luogo, figlie mie, perché voi, per la bontà del Signore, non siete di queste. Occorre che abbiate pazienza, perché non saprei altrimenti farvi intendere, come le comprendo io, alcune cose interiori riguardanti l’orazione. Piaccia ancora a Dio che io riesca a dirne qualcosa, essendo molto difficile quello che vorrei farvi capire, quando non se ne ha esperienza. Se tale esperienza c’è, vedrete che non si può fare a meno di toccare certi punti, che spero piaccia al Signore, nella sua misericordia, che non ci riguardino mai.

 

CAPITOLO 2


Dice quanto sia ripugnante lo stato di un’anima in peccato mortale, e come Dio volle farne capire qualcosa a una persona. Tratta anche un po’ della conoscenza di sé. È molto utile per certi punti che meritano attenzione. Spiega come debbano intendersi queste mansioni.

 

1. Prima di andare avanti, voglio esortarvi a considerare cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita, che è Dio, quando l’anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in sé il sole. Niente le è di vantaggio: in questo stato di peccato mortale, qualunque buona opera essa compia non le procura alcun frutto per acquistare gloria, perché non procedendo da quel principio, cioè da Dio, in forza del quale la nostra virtù è virtù, e allontanandosi, anzi, da lui, non può essere gradita ai suoi occhi. Infatti, l’intento di chi commette un peccato mortale non è quello di accontentare Dio, ma di far piacere al demonio e, identificandosi questi con le tenebre stesse, la povera anima diviene con lui una sola tenebra.

2. Conosco una persona alla quale nostro Signore volle mostrare che cosa sarà di un’anima che ha commesso un peccato mortale. Tale persona dice che, secondo lei, sarebbe impossibile che qualcuno, comprendendolo, potesse peccare. Per fuggirne le occasioni, avrebbe preferito esporsi alle maggiori prove che sia dato immaginare. Da ciò le venne un immenso desiderio che tutti comprendessero questa verità. Possa pertanto nascere in voi, figlie mie, il proposito di pregar molto Dio per coloro che si trovano in questo stato, ridotti a una completa oscurità, come oscure sono anche le loro opere. Infatti, come da una sorgente molto chiara non sgorgano che ruscelli limpidissimi, così è di un’anima in stato di grazia; le sue opere sono tanto gradite agli occhi di Dio e degli uomini perché procedono da questa fonte di vita, dove ella si trova come un albero piantato lungo l’acqua, senza la quale non avrebbe freschezza né fecondità, mentre essa la sostenta, le impedisce di inaridirsi e le fa produrre ottimi frutti. Tutto ciò che, invece, procede dall’anima la quale, per sua colpa, si allontana da questa fonte e mette radici in un’altra fonte, dalle acque scurissime e maleodoranti, riflette la sua stessa assenza di grazia e la sua sudiceria.

3. Bisogna qui notare che la fonte o, meglio, quel sole risplendente posto al centro dell’anima non perde il suo fulgore né la sua bellezza: continua a stare nell’anima e niente può portargli via tale bellezza. Ma, se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo.

4. O anime redente dal sangue di Gesù Cristo! Rendetevi conto di questo stato e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, acquistata tale consapevolezza, non cerchiate di togliere questa pece dal vostro cristallo? State attente che, se vi sorprende la morte, non tornerete a godere mai più di questa luce. Oh, Gesù! Che spettacolo è quello di un’anima priva di essa! In che stato vengono a trovarsi le povere stanze del castello! Quale turbamento s’impadronisce dei sensi che ne sono gli abitanti! E le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e i direttori di mensa, in quale condizione di accecamento e di mal governo si riducono! In conclusione, se l’albero è piantato nella terra, che è il demonio stesso, quale frutto può dare?

5. Una volta un uomo spirituale mi diceva che non si spaventava di ciò che può fare chi si trova in peccato mortale, ma di ciò che non fa. Che Dio, nella sua misericordia, ci liberi da un così grande male, non essendoci nulla nella nostra vita terrena che meriti questo nome di male se non il peccato, apportatore di numerosissimi mali eterni. Ecco, figlie mie, ciò che dobbiamo temere e da cui nelle nostre orazioni dobbiamo supplicare Dio di liberarci. Se, infatti, egli non custodisce la città, lavoreremo invano, perché non siamo che vanità. Quella persona diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia accordatale da Dio: anzitutto un timore grandissimo di offenderlo, pertanto lo supplicava continuamente di non lasciarla cadere, essendo consapevole dei terribili danni che una caduta comporta e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva come il principio del bene che facciamo non sia in noi, ma in questa fonte nella quale è piantato l’albero delle nostre anime, e in questo sole che feconda le nostre opere. Aggiunse che tale verità le apparve così chiara che, quando faceva o vedeva fare qualche opera buona, risaliva subito a chi ne era il principio e si rendeva conto che senza il suo aiuto non si può fare nulla. L’effetto di questa riflessione era di recarsi subito a ringraziare il Signore e, di solito, dimenticarsi di se stessa, qualunque cosa buona facesse.

6. Non sarebbe tempo perduto per voi, sorelle, leggere questo e per me scriverlo, se ne ricavassimo questi due vantaggi. I dotti e gli esperti di tale materia sanno molto bene tutto questo, ma noi donne, nella nostra ignoranza, abbiamo bisogno di tutto. Per questo motivo, forse, il Signore vuole che simili paragoni vengano a nostra conoscenza. Si compiaccia, nella sua bontà, di farci la grazia di trarne profitto!

7. Queste cose interiori sono tanto difficili da capirsi che una persona di così scarsa istruzione come me per forza dovrà dire molte parole superflue, e anche spropositate, prima di dirne una che colga nel segno. Occorre che chi mi legge abbia pazienza, come ne occorre anche a me, del resto, per scrivere di cose che non so. Certo, qualche volta prendo carta e penna come un idiota che non sa cosa dire né da dove cominciare. Capisco bene, però, che è molto importante per voi che io vi spieghi alcune cose interiori come meglio potrò, perché sentiamo sempre parlare dell’eccellenza dell’orazione, a cui le nostre Costituzioni ci prescrivono di attendere per molte ore, ma non ci viene spiegato più di quello a cui possiamo arrivare da noi stesse. Delle cose che il Signore opera in un’anima, intendo dire soprannaturali, si dice ben poco, mentre parlandone e spiegandole in diverse maniere se ne trarrebbe un gran conforto, per la considerazione di questo celeste edificio interiore così poco capito dai mortali, benché siano molti quelli che vi si trovano. E, anche se in altri libri che ho scritto il Signore mi ha già dato qualche lume in merito a ciò, mi rendo conto che alcune cose, specialmente le più difficili, non le avevo comprese come ora. Il guaio – ripeto – è che, per giungere a spiegarle, dovrò ripeterne una quantità di quelle già molto conosciute, perché con una intelligenza così rozza come la mia non può essere altrimenti.

8. Ma, ritorniamo al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete immaginare queste mansioni una dietro l’altra, come poste in fila, ma portare il vostro sguardo al centro, che è l’abitazione o il palazzo dove sta il Re; dovete far conto che sia un «palmetto» in cui, prima d’arrivare al frutto, si trova un fitta ricopertura di foglie che lo circondano da ogni parte. Così, qui, intorno a questa stanza, e anche al di sopra, ve ne sono molte altre, perché le cose dell’anima vanno sempre considerate con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, essendo la sua capacità superiore a ogni nostra immaginazione, e ogni parte di essa irradiata dal sole che ha sede in questo palazzo. È molto importante che un’anima di orazione, qualunque sia il grado da essa raggiunto, non sia rincantucciata e costretta in una sola stanza. La si lasci circolare per queste mansioni, in alto, in basso, e ai lati, poiché Dio le ha conferito così gran nobiltà; non la si tiranneggi obbligandola a stare a lungo nello stesso posto, sia pure in quello della conoscenza di sé. Capitemi bene, però: la conoscenza di se stessi è tanto necessaria anche alle anime ammesse dal Signore nella sua stessa mansione, che mai – per quanto elevate esse siano – devono trascurarla, né potrebbero farlo, anche volendolo, perché l’umiltà è come l’ape che fabbrica continuamente nell’alveare il miele, senza di che tutto sarebbe perduto. Ma, consideriamo anche che l’ape non tralascia di uscire e di volare per succhiare il nettare dei fiori. Così dev’essere dell’anima nella conoscenza di se stessa: mi creda, e prenda di tanto in tanto il volo per considerare la grandezza e la maestà del suo Dio. In ciò scoprirà la propria bassezza assai meglio che guardando in se stessa, e sarà più esente dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, cioè quelle della conoscenza di sé; anche se, ripeto, è grande misericordia di Dio che si applichi a questa conoscenza, tuttavia, come suol dirsi, il più val bene il meno. E, credetemi, con l’aiuto di Dio attueremo assai miglior virtù che rimanendo molto attaccate al nostro fango.

9. Non so se mi sono spiegata bene: questa conoscenza di noi stessi, infatti, è tanto importante che non vorrei vi fosse mai in ciò rilassatezza, anche se foste già elevate fino ai cieli; perché fino a quando saremo su questa terra non c’è cosa che ci sia più necessaria dell’umiltà. Pertanto, torno a dire che va bene, benissimo, cercar di entrare, prima, nella mansione a ciò preposta, anziché volare verso le altre, essendo questo il giusto cammino; e se possiamo camminare su un terreno piano e sicuro, perché volere ali per volare? Cerchiamo piuttosto il modo di avvantaggiarci sempre più in questa conoscenza. Ma, a mio parere, non arriveremo mai a conoscerci se non procureremo di conoscere Dio: la contemplazione della sua grandezza ci servirà per scoprire la nostra bassezza; la considerazione della sua purezza ci farà vedere la nostra sozzura; il pensiero della sua umiltà ci farà comprendere quanto siamo lontani dall’essere umili.

10. In ciò vi sono due vantaggi: il primo, perché è evidente che una cosa bianca appare molto più bianca vicino a una nera; il secondo, perché la nostra intelligenza e la nostra volontà restano nobilitate e più disposte ad ogni specie di bene, essendo volte alternativamente su Dio e su di noi. Se, invece, non usciamo mai dal fango delle nostre miserie, ne derivano non pochi inconvenienti. Dicevamo, a proposito di coloro che si trovano in peccato mortale, quanto siano nere e maleodoranti le correnti che da loro procedono. Così è qui (quantunque non allo stesso modo – Dio ci liberi –, si tratta solo di un paragone), giacché, sempre immersi nell’abiezione della nostra terra, la corrente che procede da noi non sarà mai libera dal fango dei timori, della pusillanimità, della codardia e da pensieri come questi: Si bada o no a me? Andando per questa strada, me ne verrà del male? Posso osare intraprendere quest’opera? Non sarà superbia? È bene che una persona miserabile attenda a una cosa così sublime come l’orazione? Non mi giudicheranno migliore se non batto il cammino di tutti? Gli estremi non sono mai buoni, anche in materia di virtù, ed essendo tanto peccatrice, non farò che cadere più dall’alto; forse non proseguirò il cammino e sarò di danno ai buoni, perché per una come me non ci vogliono particolarità.

11. Oh Dio, figlie mie, quante anime il demonio deve aver rovinato con questi pensieri! Infatti, tutto ciò, insieme a molte altre cose che potrei dire, sembra alle anime umiltà. Ne è causa il non riuscire ad avere una chiara consapevolezza di sé, che fa deviare la conoscenza di sé; se non usciamo mai da noi stessi, non me ne meraviglio: c’è da temere questo e peggio. Pertanto vi dico, figlie mie, di fissare gli occhi su Cristo, nostro bene, e sui suoi santi: da essi impareremo la vera umiltà, la nostra intelligenza ne resterà nobilitata e la conoscenza di noi stessi non ci renderà vili e negligenti, perché, pur trattandosi della prima mansione, essa è così eccellente e di tale pregio che se l’anima sa schivare gli animaletti nocivi che vi si incontrano, non mancherà di passare oltre. Sono terribili gli inganni e le astuzie del demonio per impedire alle anime di conoscersi e rendersi conto del proprio cammino.

12. Di queste prime mansioni io potrò parlare con cognizione di causa per l’esperienza che ho di esse. Ripeto, dunque, che non dovete pensare che qui vi siano pochi appartamenti, ma tantissimi, perché le anime entrano in questa mansione in molti modi e tutte con buona intenzione. Ma, siccome quella del demonio è sempre tanto cattiva, certamente in ognuna egli ha molte legioni di suoi simili per contendere loro il passaggio dall’una all’altra; le anime, non rendendosene conto, sono oggetto di inganni in mille guise, inganni che riescono meno facili al demonio con quelle ormai più vicine all’appartamento del Re. Qui, invece, essendo ancora attratte dal mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro ai suoi onori e alle sue esigenze, i loro vassalli (che sono i sensi e le potenze) non hanno più la forza originaria data loro da Dio, e facilmente esse sono vinte, anche se sono animate dal desiderio di non offendere Dio e se si dedicano a opere buone. Coloro che si vedranno in tale stato devono ricorrere spesso, come meglio possono, a Sua Maestà, prendere come intercessori la Madre sua benedetta e i suoi santi, perché combattano per loro, visto che i propri vassalli hanno ben poca forza per difenderle. In realtà, in qualunque stato, la forza ci deve venire da Dio. Sua Maestà ce la dia per la sua misericordia! Amen.

13. Com’è miserabile la vita che viviamo! Poiché altrove ho parlato a lungo del danno che ci arreca, figlie mie, il non comprendere bene ciò che riguarda l’umiltà e la conoscenza di noi stesse, qui non ve ne parlo più, anche se si tratta di quanto ha maggiore importanza per noi. E piaccia a Dio che abbia detto qualcosa che vi sia utile!

14. Dovete notare che in queste prime mansioni non giunge ancora quasi nulla della luce che emana dal palazzo dove abita il Re. Sebbene esse non siano così nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, la luce ne è in qualche modo offuscata, tanto che chi si trova lì non può vederla, e non per difetto dell’appartamento – non so come spiegarmi –, ma perché tutte le cose nocive, serpenti, vipere e altri animali velenosi che vi si sono introdotti con l’anima, non le consentono di percepirla. È come se uno entrasse in una sala inondata di sole, avendo gli occhi così pieni di terra da non poterli quasi aprire. La sala è luminosa, ma egli non gode della luce a causa dell’ostacolo che glielo impedisce, cioè a causa di questi rettili e di questi animali nocivi che lo obbligano a chiudere gli occhi a tutto fuorché a loro. Così mi pare che debba essere di un’anima la quale, anche senza trovarsi in un cattivo stato, è – come ho detto – talmente invischiata nelle cose del mondo e talmente assorbita dagli averi, dagli onori e dagli affari che, sebbene di fatto, in realtà, vorrebbe considerare se stessa e godere della sua bellezza, ne è impedita, né, a quanto sembra, riesce a schivare tanti ostacoli. Eppure è ben necessario, per entrare nelle seconde mansioni, lasciar perdere le cure e gli affari che non sono necessari, ciascuno in conformità del suo stato. Ciò è di tale importanza per arrivare alla mansione principale che se l’anima non comincia subito a farlo, ritengo impossibile che vi giunga, e anche che riesca a stare senza grande pericolo in quella ove si trova, pur essendo già entrata nel castello, perché fra bestie tanto velenose è assai difficile che una volta o l’altra non ne venga morsa.

15. Che sarebbe dunque, figlie mie, se quelle come noi che sono ormai libere da questi ostacoli e si sono già molto addentrate nelle mansioni più segrete del castello dovessero, per propria colpa, tornare, uscite da esse, a questa baraonda! In effetti, a causa dei nostri peccati, devono esserci molte persone alla quali Dio ha concesso molte grazie e che per loro colpa le lasciano svanire miseramente. Qui noi siamo libere esteriormente; piaccia al Signore che lo siamo anche interiormente e ci liberi lui da ogni pericolo. Guardatevi, figlie mie, da preoccupazioni che non vi riguardano. Badate che sono poche le mansioni di questo castello in cui non vi sia da combattere con il demonio. È vero che in alcune sono le guardie – cioè, come credo di aver detto, le potenze – ad avere la forza di combatterlo, ma abbiamo bisogno di una grande vigilanza, per scoprirne le insidie ed evitarne gli inganni, qualora egli si trasformi in angelo di luce. Ci sono molte cose che ci possono nuocere, insinuandosi in noi a poco a poco, in modo che non ci rendiamo conto del male se non quando lo abbiamo fatto.

16. Vi ho già detto che agisce come una lima sorda e che bisogna scoprirlo fin dal principio. Per farvelo intendere meglio, voglio qui aggiungere qualche esempio. Ispirerà a una sorella così violenti desideri di penitenza da farle credere di non aver riposo se non quando è tesa a tormentarsi. Questo principio è buono, ma se la priora ha ordinato di non fare penitenza senza suo permesso e il demonio le fa credere che in una cosa tanto meritoria può bene osare di contravvenire all’ordine, ed ella, di nascosto, si sottopone a tali prove da perderci la salute e non ottemperare a ciò che impone la Regola, vedete da voi stesse dove va a finire questo buon principio. A un’altra ispirerà un grande zelo per la perfezione. Anche questa è cosa ottima, ma potrebbe derivarne il fatto che qualunque piccolo difetto delle consorelle le apparisse come una grave mancanza, e che, per conseguenza, avesse gran cura di osservare se esse commettono errori, per correr subito ad avvertire la priora. Potrà anche accadere, a volte, che questo grande zelo religioso non le faccia vedere i propri errori; e le altre, che non conoscono il suo intimo e notano la cura che si prende di osservare le loro mancanze, potranno aversela a male.

17. Ciò che qui il demonio pretende non è cosa da poco, perché il suo scopo è quello di raffreddare la carità e l’amore reciproco, il che sarebbe un grande male. Rendiamoci conto, figlie mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo, e quanto più compiutamente osserveremo questi due comandamenti, tanto più saremo perfette. La nostra Regola e le nostre Costituzioni non sono altro che mezzi per meglio osservarli. Lasciamo perdere questi zeli indiscreti che possono farci molto danno e ognuna badi a se stessa. Siccome in altro luogo vi ho già parlato a lungo di questo argomento, non mi dilungherò.

18. L’amore reciproco è così importante che io vorrei che non lo dimenticaste mai, perché l’andare osservando nelle altre certe inezie, che a volte non saranno neppure imperfezioni e che forse solo la nostra ignoranza ci farà interpretare nel modo peggiore, può far perdere la pace dell’anima e anche turbare quella delle consorelle: guardate un po’ se non costerebbe cara questa perfezione! Il demonio potrebbe, inoltre, far nascere la stessa imperfezione nella priora, e allora sarebbe più pericolosa. In tal caso, occorre molta discrezione, perché se si tratta di cose che vanno contro la Regola e le Costituzioni, non bisogna sempre interpretarle nel modo migliore, ma avvisarla e, se non si corregge, informarne il superiore. Questa è carità. Lo stesso va fatto nei riguardi delle consorelle, se si tratta di qualcosa di grave. Lasciar correre tutto, per paura che sia tentazione, sarebbe ciò stesso una tentazione. Ma dovete star molto attente (affinché il demonio non vi induca in inganno) a non parlare di queste cose le une con le altre, perché il demonio potrebbe trarne gran profitto, introducendo l’abitudine della mormorazione; bisogna parlarne solo, come ho detto, con chi può apportarvi rimedio. Qui, grazie a Dio, non c’è tanto da temere, per il continuo silenzio che si osserva, ma è bene star sempre in guardia.

 

SECONDE MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Parla di quanto sia importante la perseveranza per giungere alle ultime mansioni, della terribile guerra che il demonio muove alle anime, e di quanto convenga, per arrivare in porto, non sbagliare strada fin dal principio; suggerisce un mezzo della cui grande efficacia ha fatto esperienza.

 

1. Passiamo ora a vedere quali saranno le anime che entrano nelle seconde mansioni e che cosa vi facciano. Vorrei parlarvene brevemente, perché ne ho parlato altrove assai a lungo; mi sarà impossibile, perciò, non ripetermi in molte cose su questo argomento, non ricordandomi nulla di ciò che ho scritto. Se almeno potessi presentarvele in modo diverso, so bene che non vi annoierei, come non ci annoiano i libri che trattano di questo, benché siano molti.

2. Mi riferisco qui a coloro che hanno già incominciato a praticare l’orazione e hanno capito quanto importi non fermarsi alle prime mansioni, ma che non hanno ancora tale salda determinazione da non evitare, spesso, di restarvi, perché non fuggono le occasioni, cosa assai pericolosa. È, però, grande misericordia divina che, talvolta, cerchino di sottrarsi a serpenti e a rettili velenosi, comprendendo che è bene allontanarsene. Questi, in parte, soffrono assai più dei primi, anche se non corrono gran pericolo, perché sembra ormai che capiscano dove esso sia, e si può nutrire grande speranza che andranno avanti. Dico che soffrono di più, perché i primi sono come muti, privi anche dell’udito, e sopportano meglio la pena di non parlare, mentre non la sopporterebbero così, ma con molta maggior fatica, se udissero e non potessero parlare. Ma, non per questo è più desiderabile la condizione di coloro che non odono, perché, in fondo, è grande cosa sentire ciò che ci viene detto. Le persone di cui parlo sentono gli inviti loro rivolti dal Signore, perché man mano che si avvicinano di più alla mansione di Sua Maestà, capiscono quale buon vicino egli sia: sono così grandi la sua misericordia e la sua bontà che, pur stando noi immersi nei nostri passatempi, negli affari, nei piaceri e negli inganni del mondo e, pur cadendo e rialzandoci dai peccati (perché fra bestie tanto velenose, la cui presenza è così pericolosa e molesta, sarebbe un miracolo evitare di inciamparvi e di cadere), ciò nonostante, dico, questo nostro Signore apprezza tanto che lo amiamo e cerchiamo la sua compagnia, che, prima o poi, non tralascia di chiamarci per farci avvicinare a lui, e la sua voce è così dolce che la povera anima si strugge di non far subito ciò a cui è chiamata. Ecco perché – come ho detto – l’udire è maggior pena che non udire.

3. Ciò non significa che tale voce e tali appelli siano come altri di cui parlerò dopo. Sono parole che si odono pronunciare da persone virtuose, o sermoni, o ciò che si legge in buoni libri, o altre cose di cui sapete che Dio si serve per chiamare a sé un’anima: malattie, tribolazioni e anche certe verità che egli ci insegna nei momenti in cui stiamo in orazione; sia pur debole quanto vogliate l’orazione, Dio le apprezza molto. E voi, sorelle, non abbiate in poca stima questa prima grazia né scoraggiatevi, anche se non rispondete subito al Signore, perché Sua Maestà sa aspettare molti giorni e anche molti anni, specialmente quando vede perseveranza e buoni desideri. La perseveranza è qui la cosa più necessaria, perché con la sua mediazione non accade mai di non guadagnar molto. Ma è terribile il cumulo di assalti dati ora in mille modi dal demonio, e con maggior sofferenza dell’anima, rispetto alla mansione precedente. Là era muta e sorda – per lo meno udiva ben poco – e resisteva meno, come chi in parte ha perduto la speranza di vincere; qui l’intelligenza è più viva e le potenze più abili: i colpi dell’artiglieria nemica sono tali che l’anima non può evitare di udirli. Allora, infatti, i demoni presentano queste serpi delle attrattive mondane, di cui ho parlato, e danno apparenza di eternità a beni caduchi: la stima in cui si è tenuti nel mondo, gli amici e i parenti, al salute compromessa dalle penitenze (giacché l’anima che entra in queste mansioni comincia sempre a desiderare di farne qualcuna), e frappongono mille altre specie di impedimenti.

4. Oh, Gesù, che baraonda fanno qui i demoni e quali sono le emozioni della povera anima che non sa se deve andare avanti o tornare alla prima mansione! Infatti la ragione, per altro verso, le mostra che si sbaglia a pensare che tutto ciò non valga alcunché in confronto alle sue alte aspirazioni; la fede [invece] le insegna ciò che le deve importare. La memoria le fa vedere dove vanno a finire tutti questi beni terreni, mettendole sotto gli occhi la morte delle persone di sua conoscenza, che hanno molto goduto di essi, ricordandole come alcune siano venute meno per morte improvvisa e quanto presto siano state dimenticate da tutti; come alcune, che conobbe in grande prosperità, ora giacciono calpestate sotto terra, e lei stessa è passata molte volte sul loro sepolcro; incitandola, infine, a considerare il grande numero di vermi formicolanti in quei corpi, insieme con tutte le altre cose che essa le può prospettare. La volontà tende ad amare chi ha visto darle tali innumerevoli grazie e prove d’amore e vorrebbe ripagarle, almeno in parte. Soprattutto ha presente come questo vero amante non l’abbandona mai, affiancandola, dandole essere e vita. L’intelletto, poi, sopravviene a farle capire che non potrebbe acquistare miglior amico neanche se vivesse lunghi anni, perché tutto il mondo è pieno di falsità e le gioie che le offre il demonio sono piene di tribolazioni, preoccupazioni e contraddizioni. Le dice che può essere certa di non trovare sicurezza né pace fuori di questo castello; che tralasci, quindi, di andare per case altrui, perché la sua trabocca di beni, se vuol godere di essa; che non c’è nessuno il quale possa trovare, come nella propria casa, tutto ciò di cui ha bisogno, soprattutto avendo un ospite che lo renderà signore di tutti i beni, se non vuol perdersi, a somiglianza del figliol prodigo, mangiando cibo di porci.

5. Queste sono buone ragioni per vincere i demoni. Eppure, o Signore e Dio mio, l’abitudine in materia di vanità e il vedere che tutti vi tengono dietro, guasta ogni cosa. La fede, infatti, è così morta in noi che tendiamo più verso quanto vediamo che verso le verità che essa ci insegna. In realtà, non vediamo se non tanta cattiva sventura in coloro che corrono dietro a questi beni visibili: tutto il danno proviene da quei rettili velenosi con cui siamo a contatto. Infatti, come per il morso di una vipera una persona si avvelena e si gonfia tutta, così è in questo caso: non stiamo abbastanza in guardia. È evidente che c’è bisogno di molte cure per guarire ed è una grande grazia di Dio se non moriamo. Certamente, l’anima qui soffre grandi tribolazioni, specialmente se il demonio capisce che per la sua natura e per le sue pratiche abituali ha la capacità di andare molto avanti. Tutto l’inferno sarà unito per costringerla ad uscire dal castello.

6. Oh, Signor mio! Qui è necessario il vostro aiuto, senza il quale non si può far nulla. In nome della vostra misericordia, non vogliate consentire che quest’anima sia tratta in inganno e lasci la strada iniziata. Illuminatela affinché veda che dalla sua perseveranza dipende tutto il suo bene e si tenga lontana da cattive compagnie. Le sarà, invece, molto utile trattare con coloro che si occupano di queste cose, avvicinarsi non solo a quelli che vedrà abitare nelle sue stesse mansioni, ma anche a quelli che vedrà inoltrati più innanzi, perché troverà in loro un grande aiuto e, trattandoli, può darsi che la introducano dove essi si trovano. Stia sempre in guardia per non lasciarsi vincere, perché se il demonio vede in essa una ferma decisione di perdere piuttosto la vita, il riposo e tutto ciò che le offre, anziché tornare alla prima mansione, la lascerà molto prima. Sia di animo virile e non somigli a coloro che si gettavano a bere a bocca in giù, quando andavano a combattere non mi ricordo con chi, ma prenda la sua brava decisione, pensando che va a dar battaglia a tutti i demoni e che non c’è arma migliore della croce.

7. Anche se ho detto questo altre volte, è così importante che torno a ripeterlo qui. Non bisogna pensare alle comodità in quest’inizio di vita, perché sarebbe un modo assai volgare di intraprendere la costruzione di un così grande e prezioso edificio e, se si costruisce sull’arena, la fabbrica crollerà e non si finirà mai di essere inquieti e tentati. Non sono queste, infatti, le mansioni dove piove la manna: quelle sono più avanti, là dove tutto risponde al desiderio dell’anima, perché essa non vuole se non quello che vuole Iddio. È bella questa: stiamo tuttora fra mille inciampi, imperfezioni e virtù che ancora non sanno farsi strada, perché nate da poco – e piaccia a Dio che siano già nate – e non ci vergogniamo di voler diletti nell’orazione e di lamentarci di aridità! Ciò non vi accada mai, sorelle. Abbracciate la croce che il vostro Sposo portò sulle spalle e pensate che questo è ciò che dovete fare: colei che più saprà patire, patisca di più per amor suo e sarà la più felice. Circa il resto, che è cosa accessoria, se il Signore ve lo darà, rendetegliene infinte grazie.

8. Vi sembrerà che, per quanto riguarda sofferenze esterne, siete ben decise a sopportarle, purché Dio vi consoli interiormente. Sua Maestà sa meglio di noi ciò che ci conviene; non c’è motivo di suggerirgli quel che ci deve dare, giacché può dirci con ragione che non sappiamo quel che chiediamo. Tutta la premessa di chi comincia a darsi nell’orazione (e non dimenticatelo perché è molto importante) dev’essere di adoperarsi, decidersi e disporsi con tutte le diligenze possibili a conformare la propria volontà a quella di Dio e, come dirò in seguito, siate ben certe che in ciò consiste tutta la maggiore perfezione a cui si possa giungere nel cammino spirituale. Quanto più sarà perfetta tale corrispondenza, tanto più si riceveranno grazie dal Signore e si progredirà in questo cammino. Non pensate che ci siano qui astruserie, cose ignorate e mai sentite, perché tutto il nostro bene consiste in tale rispondenza. Se, invece, sbagliamo fin dal principio, volendo che il Signore faccia la nostra volontà e che ci guidi a modo nostro, che stabilità può avere quest’edificio? Cerchiamo di fare quanto sta in noi per guardarci da bestie velenose. Spesso il Signore permette che cattivi pensieri e aridità ci perseguitino e ci affliggano senza che possiamo scacciarli, e qualche volta consente che ci mordano, per insegnarci a guardarci meglio in seguito e per vedere se ci dispiace molto di averlo offeso.

9. Pertanto, non vi scoraggiate se qualche volta vi capita di cadere, così da tralasciare di sforzarvi di andare avanti perché anche da quella caduta Dio saprà tirar fuori il bene, come fa chi vende la triaca che, per provare se è buona, beve prima il veleno. Quand’anche non vedessimo in altro la nostra miseria e il gran danno che ci procura la nostra dissipazione, se non in questa battaglia da affrontare prima di tornare a raccoglierci, ciò sarebbe sufficiente. Può forse esserci un male più grande di quello di non ritrovare noi stessi in casa nostra? Come sperare di godere riposo in casa altrui, se nella nostra non possiamo avere pace, quando perfino i più leali amici e i parenti più stretti, con i quali, anche se non lo vogliamo, dobbiamo vivere sempre, cioè le nostre potenze, sembrano muoverci guerra, quasi per vendicarsi di quella che hanno mosso loro i nostri vizi? Pace, pace, sorelle mie! È la parola del Signore, il monito da lui ripetuto tante volte ai suoi apostoli. Credete pure che, se non l’abbiamo e non procuriamo di trovarla in casa nostra, non la troveremo presso gli estranei. Abbia fine, ormai, questa guerra. Per il sangue sparso da Cristo per noi, lo chiedo a coloro che non hanno ancora cominciato a rientrare in se stessi; a coloro, invece, che hanno cominciato, chiedo che la prospettiva della lotta non sia sufficiente ragione per farli retrocedere. Considerino che la ricaduta è peggiore della caduta; essi sanno ormai quale rovina comporti; confidino nella misericordia di Dio e ben poco di sé; vedranno come Sua Maestà li condurrà da una mansione all’altra, dove quelle bestie pericolose non potranno nemmeno toccarli e dove essi, invece, le assoggetteranno tutte, si burleranno di loro e godranno di molti più beni di quanti ne potrebbero desiderare, intendo dire anche in questa vita.

10. Siccome, come ho detto all’inizio, vi ho già parlato di come dovete comportarvi in questi turbamenti suscitati dal demonio e come non si deve procedere a forza di braccia per cominciare a raccogliersi, ma con dolcezza, per poter perseverare nel raccoglimento, qui non aggiungerò altro se non che, a mio parere, è molto opportuno trattare con persone esperte. Infatti, voi potreste pensare che vi possa portare danno attendere ad occupazioni necessarie. Ma, purché non abbandoniamo l’orazione, il Signore volgerà tutto a nostro vantaggio, anche se non troviamo nessuno che ci dia utili indicazioni. Di fronte al male di lasciare l’orazione non c’è infatti altro rimedio che ricominciare a raccogliersi. Altrimenti l’anima andrà perdendo forze a poco a poco ogni giorno di più. Piaccia a Dio che ce ne accorgiamo!

11. Qualcuno potrà pensare che, se tornare indietro è un così grande male, sarebbe meglio non intraprendere mai il cammino e starsene fuori del castello. Vi ho già detto all’inizio, e lo dice il Signore stesso, che chi si espone al pericolo in esso perisce e ho detto anche che la porta per entrare in questo castello è l’orazione. Dunque, pensare che dobbiamo entrare nel cielo e non entrare in noi stessi, conoscendoci e considerando la nostra miseria e ciò che dobbiamo a Dio, dal quale spesso imploriamo misericordia, è una pazzia. Il Signore stesso dice: Nessuno salirà da mio Padre se non per me; non so se dica proprio così, ma credo di sì, e ancora: Chi vede me, vede il Padre mio. Pertanto, se non lo guardiamo mai e non consideriamo ciò che gli dobbiamo e la morte che egli ha sofferto per noi, non so come possiamo conoscerlo o compiere opere al suo servizio, perché la fede senza le opere, e le opere disgiunte dai meriti di Gesù Cristo, nostro bene, che valore possono avere? E chi ci spronerà ad amare il Signore? Piaccia a Sua Maestà di farci intendere il molto che gli siamo costati e come il servo non è da più del padrone; che abbiamo bisogno di lavorare per godere della sua gloria e che dobbiamo pregare, per non cadere in tentazione.

 

TERZE MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Parla della scarsa sicurezza che si può avere finché si vive in questo esilio, qualunque sia il grado di elevazione a cui si è pervenuti, e di come occorra procedere sempre con timore. Ci sono alcuni punti che potranno risultare utili.

 

1. A coloro che per la misericordia di Dio sono usciti vittoriosi da queste lotte e che, aiutati dalla perseveranza, sono entrati nelle terze mansioni, che cosa diremo, se non: Beato l’uomo che teme il Signore? Non è stata una piccola grazia di Sua Maestà che io comprenda in questo momento, vista la scarsa conoscenza che ho al riguardo, il significato in volgare di tale versetto. In verità, a ragione chiameremo beato chi procede in questo modo perché, se non torna indietro, per quanto possiamo giudicarne, è sulla strada sicura, ai fini della salvezza. Da ciò potete costatare, sorelle, quanto sia importante vincere le battaglie di cui ho parlato in precedenza: sono, infatti, convinta che il Signore non manca mai di darci, in cambio, sicurezza di coscienza; il che non è un vantaggio da poco. Ho detto sicurezza, e ho detto male, perché non c’è sicurezza in questa vita, pertanto, tutte le volte che ne parlerò, dovete sottintendere: purché non si abbandoni il cammino intrapreso.

2. È un’enorme disgrazia vivere una vita che ci costringe ad essere sempre come coloro i quali, avendo i nemici alla porta, non possono né dormire né mangiare senza le loro armi, in preda alla continua paura che da qualche parte si possa aprire una breccia nella loro fortezza. Oh, mio Signore e mio bene! Perché volete che si ami una vita così miserabile che è impossibile non desiderare e non chiedere di esserne liberati, a meno che si abbia la speranza di perderla per voi o di impiegarla davvero al vostro servizio, e soprattutto si abbia la certezza che è la vostra volontà a trattenerci in essa? Se lo è, Dio mio, moriamo pure con voi, come disse san Tommaso, perché vivere senza di voi e con questo continuo timore di potervi perdere per sempre, non è altro che morire mille volte. Ecco perché vi dico, figlie mie, che la beatitudine da invocare è quella di avere la sicurezza dei beati. Infatti, con simili timori, che gioia può avere colui per il quale tutto il piacere consiste nel contentare Dio? Considerate, inoltre, che erano in tali disposizioni, e anche più perfette, alcuni santi, caduti poi in gravi peccati, e noi non abbiamo la sicurezza che Dio ci darà la mano per liberarcene e arrivare a farne penitenza come loro.

3. In verità, figlie mie, scrivendo questo, sono presa da tale timore che non so come io riesca a scrivere né come possa vivere, quando un simile pensiero mi attraversa la mente, il che accade assai spesso. Pregate, figlie mie, che Sua Maestà viva sempre in me, altrimenti quale sicurezza posso avere con una vita così male impiegata come la mia? E non affliggetevi nel conoscere questa verità, perché ho notato, alcune volte, che vi contristate quando ve ne parlo, e ciò viene dal fatto che vorreste che fossi stata una gran santa: avete ragione, lo vorrei anch’io, ma che fare, se ho perduto questa possibilità e solo per mia colpa? Non mi lamenterò certo di Dio, che sempre mi ha dato l’aiuto sufficiente perché i vostri desideri si adempissero, e non posso dirlo senza versare molte lacrime e senza provare una grande vergogna, vedendo che scrivo per persone che potrebbero farmi da maestre. È stata, questa, una ben dura obbedienza! Piaccia al Signore che, avendolo fatto per lui, vi sia di qualche vantaggio, e pregatelo di perdonare a questa miserabile e temeraria creatura. Sua Maestà sa bene che posso sperare solo nella sua misericordia, essendo infatti impotente a cancellare la mia vita passata. Non ho altra risorsa se non quella di appoggiarmi alla pietà di Dio e confidare nei meriti di suo Figlio e della Vergine sua Madre, di cui indegnamente porto l’abito, che pure voi portate. Lodatelo, figlie mie, perché siete le vere figlie di questa Signora, perché avendo in lei una Madre così perfetta, non dovete più vergognarvi della mia miseria. Imitatela e considerate quale debba essere la grandezza di questa Signora e il beneficio di averla per patrona, visto che i miei peccati e la mia misera vita non hanno potuto offuscare minimamente lo splendore di questo santo Ordine.

4. Voglio, però, darvi un consiglio: non perché l’Ordine sia tale né perché abbiate una tal Madre dovete sentirvi sicure. Davide era un gran santo, e voi sapete chi fu Salomone. Non dovete fidarvi né della vostra clausura, né della penitenza in cui vivete e neanche fare assegnamento sul fatto che vi occupate sempre di Dio, che praticate così assiduamente l’orazione, che siete distaccate dalle cose del mondo e le avete, a quanto vi sembra, in odio. Tutto questo va bene, ma non basta – come ho detto – per farci smettere di temere. Pertanto, ripetete questo versetto e richiamatelo spesso alla vostra memoria: Beato l’uomo che teme il Signore.

5. Non so più quel che dicevo, perché ho molto divagato dal tema: quando mi ricordo di me, mi si tarpano le ali e non sono più capace di dire qualcosa di buono; non voglio dunque più pensarci per il momento. Tornando a quello che avevo cominciato a dirvi delle anime che sono entrate nelle terze mansioni, il Signore non ha fatto loro una piccola grazia nell’aiutarle a vincere le prime difficoltà; al contrario, gliel’ha fatta assai grande. Credo che, per la sua bontà, di queste anime ce ne siano molte nel mondo: vivamente desiderose di non offendere Sua Maestà, si guardano anche dai peccati veniali e amano fare penitenza; hanno le loro ore di raccoglimento, impiegano bene il tempo, attendono a opere di carità verso il prossimo; sono molto regolate nel modo di parlare, di vestire e nel governo della casa, se ne hanno una a cui badare. Certamente, è uno stato degno d’invidia e non c’è motivo, a quel che sembra, che possa esser loro vietato l’ingresso fino all’ultima mansione, né il Signore gliela negherà, se esse lo vogliono, perché la loro disposizione è perfetta e adatta a meritare ogni grazia.

6. Oh, Gesù! E chi fra noi dirà che non vuole un così gran bene, specialmente dopo aver già superato ciò che vi è di più penoso? Nessuno, certo. Tutte diciamo di volerlo, ma, occorrendo qualcosa di più perché il Signore possegga del tutto un’anima, non basta dirlo, come non bastò a quel giovane cui il Signore insegnò che cosa doveva fare se voleva essere perfetto. Da quando ho cominciato a parlare di queste mansioni, l’ho dinanzi agli occhi, perché siamo né più né meno come lui. Generalmente vengono da qui le grandi aridità che si provano nell’orazione, pur essendoci anche altre cause. Tralascio certe tribolazioni interiori, davvero intollerabili, che hanno molte anime buone, senza alcuna loro colpa, e dalle quali il Signore le fa sempre uscire con molto profitto. Non parlo nemmeno di quelle che soffrono di malinconia e di altre infermità. Infine, in tutto dobbiamo prescindere da giudizi di Dio. Ciò di cui sono convinta è che in generale la causa delle aridità è quella di cui ho parlato, perché queste anime, sentendosi nella disposizione di non commettere per nulla al mondo un peccato mortale – e molte di esse non commetterebbero neanche un peccato veniale – e vedendo che fanno buon uso della loro vita e dei loro beni, non possono sopportare pazientemente che si chiuda loro la porta d’ingresso all’appartamento del nostro re, di cui si reputano e sono vassalle. Ma è così anche per un re della terra: quantunque abbia molti vassalli, non a tutti è dato l’accesso alla sua stanza. Entrate, entrate, figlie mie, nel vostro intimo. Non badate ai vostri piccoli atti di virtù, giacché, come cristiane, siete tenute a tutto ciò e a molto di più, e vi basti essere vassalle di Dio. Non pretendete troppo per non restare senza nulla. Considerate  i santi che sono entrati nella stanza di questo Re e vedrete quale differenza ci sia fra loro e noi. Non chiedete quel che non avete meritato. Non dovrebbe neanche sfiorarci il pensiero di poter meritare tale favore, per quanto grandi siano i nostri servizi, dopo aver offeso Dio come noi abbiamo fatto.

7. Oh, umiltà, umiltà! Non so quale tentazione mi prenda a questo riguardo, non potendo fare a meno di credere che la ragione per cui alcuni danno tanta importanza a queste aridità è un po’ la mancanza di umiltà. Ripeto che lascio da parte le grandi tribolazioni interiori di cui ho parlato, le quali sono molto più che mancanze di devozione. Mettiamoci alla prova da noi stesse, sorelle mie, o lasciamo che ci metta alla prova il Signore, il quale sa farlo molto bene, anche se a volte non vogliamo capirlo. Veniamo ora a queste anime così ben regolate, osserviamo che cosa fanno per Dio e vedremo subito come non abbiamo alcun motivo per lamentarci di Sua Maestà. Infatti, se quando ci dice quello che dobbiamo fare per essere perfetti gli volgiamo le spalle e ce ne andiamo tristi come il giovane del Vangelo, cosa volete che faccia Sua Maestà dovendo darci il premio in conformità dell’amore che gli portiamo? E quest’amore, figlie mie, non dev’essere frutto della nostra immaginazione, ma comprovato da opere. Ciò malgrado, non pensate che Dio abbia bisogno delle nostre opere, ma solo della determinazione della nostra volontà.

8. Forse sembrerà di aver fatto tutto a noi che portiamo l’abito religioso, che lo prendiamo di nostra volontà, che lasciamo per Dio tutte le cose del mondo e quanto possedevamo (anche se si tratta soltanto delle reti di san Pietro, perché chi dà ciò che ha ritiene di dar molto). Questa è un’ottima disposizione, purché si perseveri in tutto ciò e non si torni a invischiarsi fra i rettili delle prime mansioni neppure con il desiderio. Non vi è dubbio che, perseverando in questo spogliamento e in questo distacco da tutto, si otterrà quanto si desidera. A una condizione, però – guardate che ve lo raccomando –, di ritenersi servi inutili, come dice san Paolo ovvero Cristo, e di non credere che Dio sia obbligato a farci simili favori, anzi di essergli maggiormente debitori, per aver ricevuto di più. Cosa possiamo dunque fare per un Dio così generoso che è morto per noi, che ci ha creati e ci mantiene in vita, se non ritenerci felici di riscattare almeno in parte ciò che gli dobbiamo per i servizi che ci ha resi (a malincuore uso quest’espressione, ma è proprio così giacché non ha fatto altro in tutto il tempo della sua vita terrena), senza chiedergli ancora grazie e favori?

9. Considerate attentamente, figlie mie, alcune cose che qui sono accennate, anche se confusamente, per il fatto che non so spiegarmi meglio. Il Signore ve le farà capire perché dalle aridità possiate trarre umiltà e non inquietudine, che è ciò a cui aspira il demonio. Credete pure che alle anime veramente umili Dio, anche se non concede gioie, offrirà una pace e una conformità al suo volere tali da farle sentire più felici di altre, con tutti i loro diletti. Molte volte – come avete letto – la divina Maestà li concede ai più deboli e, nonostante la loro debolezza, credo che essi non li cambierebbero con le energie delle anime che procedono nella via delle aridità. Siamo più portate ad amare le consolazioni che le croci. Mettici alla prova tu, Signore, che conosci la verità, affinché conosciamo noi stesse!

 

CAPITOLO 2


Prosegue nel medesimo argomento e tratta delle aridità nell’orazione e di quello che, a suo parere, potrebbe accadere. Dice come sia necessario mettersi alla prova e come il Signore provi coloro che si trovano in queste mansioni.

 

1. Ho conosciuto alcune persone – credo, anzi, di poter dire molte – fra quelle pervenute a questo stato e vissute molti anni in questa rettitudine e in questa regolarità, anima e corpo, per quel che si può giudicare, le quali, quando avrebbero dovuto – sembra – prevalere sul mondo e, per lo meno, esserne interamente disingannate, messe alla prova da Sua Maestà in cose di non grande importanza, cadevano in una così grande inquietudine e oppressione di cuore da farmi restare sbalordita e anche molto spaventata. Ora, dare a tali persone un consiglio è inutile perché, facendo esse professione di virtù da tanto tempo, credono di poter insegnare agli altri e di aver ragione da vendere per essere così sensibili a quelle prove.

2. Insomma, io non ho trovato né trovo altro rimedio per consolarle che mostrare compassione per la loro pena (e la si prova davvero vedendole soggette a tanta miseria) e non contraddire le loro ragioni perché se le aggiustano così bene nel loro pensiero, perché credono di soffrire per amore di Dio, pertanto non riescono a capire che si tratta di un’imperfezione, altro inganno per anime così avanzate. Non c’è da meravigliarsi per il fatto che risentano di queste prove, anche se, a mio parere, una pena per simili cose dovrebbe passare presto. Dio spesso, volendo che i suoi eletti avvertano la loro miseria, sottrae un poco ad essi il suo favore, e questo basta perché subito conoscano chi sono. Si capisce immediatamente che ciò costituisce da parte di Dio un mezzo di metterli alla prova, per il fatto che essi comprendono molto chiaramente in cosa hanno mancato e, a volte, il vedersi, malgrado ogni sforzo, così sensibili a cose terrene e di scarsa importanza li affligge più dell’oggetto stesso della loro pena. A me sembra che questa sia una grande misericordia di Dio perché, sebbene si tratti di una imperfezione, è molto utile per crescere nell’umiltà.

3. Non così, invece, delle persone di cui parlo, le quali – come ho detto – canonizzano nel loro pensiero queste prove e vorrebbero che le canonizzassero anche gli altri. Voglio darne qualche esempio che ci sarà d’aiuto per farci conoscere e metterci alla prova da noi stesse, prima che ci metta alla prova il Signore, essendo molto importante trovarci preparate ad essere anzitutto noi a conoscerci prima.

4. Supponiamo che una persona ricca, senza figli né eredi a cui lasciare i suoi beni, subisca una perdita [di denaro], ma non tale che con quanto le resta possa mancarle il necessario per sé e per la sua casa, anzi gliene avanzi. Se essa ne fosse così turbata e inquieta come se non le rimanesse neanche un pane di cui cibarsi, in che modo nostro Signore potrà chiederle di lasciar tutto per lui? A questo punto ella dirà che se ne affligge perché vuol far beneficiare i poveri del suo. Io, però, credo che Dio preferisca che io mi conformi a ciò che egli fa e, pur adoperandomi a conseguire quanto desidero, mantenga l’anima nella pace, anziché compiere questo atto di carità. E, se quella persona non lo fa perché il Signore non l’ha elevata fin qui a tanto, pazienza! Ma si renda conto che le manca ancora libertà di spirito, e in tal modo si disporrà a riceverla dal Signore, chiedendogliela. Supponiamo che un’altra persona abbia di che vivere bene e disponga anche di più del necessario. Le si offre l’occasione di aumentare le sue ricchezze: approfittarne, se si tratta di un dono, pazienza, passi; ma darsi da fare per giungere a questo scopo e, una volta conseguitolo, cercare di avere sempre di più, per quanto buona sia la sua intenzione (che certamente è tale, perché – come ho detto – si tratta di persone di orazione e virtuose), state certe che non salirà mai alle mansioni più vicine a quelle del re.

5. Accade lo stesso se a queste persone si presenta l’occasione di essere disprezzate o sminuite un po’ nel loro onore; anche se Dio, che ama onorare la virtù in pubblico, fa loro spesso la grazia sopportarlo convenientemente, affinché non ne scapiti la stessa virtù di cui sono stimate depositarie, e forse anche per ricompensarle dei loro servizi, essendo assai buono questo nostro Bene. Tuttavia restano con una inquietudine da cui non sanno liberarsi e che non le lascerà tanto presto. Dio mio! Non sono tali persone quelle che meditano da tanto tempo su quello che ha sofferto il Signore e sui vantaggi della sofferenza alla quale esse anelano? Pensare che vorrebbero che tutti conducessero una vita così regolata come la loro, e piaccia a Dio che non credano di soffrire la pena delle colpe altrui, ritenendo così meritoria la loro afflizione!

6. Vi sembrerà forse, sorelle, che parli a sproposito e non rivolgendomi a voi, perché qui queste cose non accadono: non possediamo ricchezze né le desideriamo né ci adoperiamo ad ottenerle né alcuno ci reca offesa. Si tratta, infatti, di paragoni non riferibili a quanto accade fra noi. Tuttavia essi hanno rapporto con molte circostanze che possono verificarsi e che ora non conviene rilevare, non essendovene motivo. Attraverso tutto ciò potrete capire se siete interamente spoglie di quello che avete lasciato, perché anche qui vi si presentano piccole occasioni in cui, quantunque esse non siano del genere di quelle suddette, potete ben mettervi alla prova e vedere se siete padrone delle vostre passioni. E, credetemi, l’importante non è indossare o no un abito religioso, ma adoperarsi a praticare le virtù e sottomettere in ogni cosa la nostra volontà a quella di Dio, sì che il corso della nostra vita scorra in conformità a quanto ha disposto Sua Maestà e non volere che si faccia la nostra volontà, ma la sua. Giacché non siamo ancora arrivate a questo punto, vi ripeto: umiltà! Essa è l’unguento per le nostre ferite: se infatti sarà realmente in noi il chirurgo, che è Dio, anche se tarderà un po’, verrà infine a sanarci.

7. Le penitenze che fanno queste anime sono regolate così bene come la loro vita, che esse amano molto, per poterla dedicare al servizio del Signore, e in ciò non vi è nulla di male; pertanto, usano grande discrezione nel fare le penitenze per non pregiudicare la salute. Non temete che si ammazzino, perché la loro ragione è sempre padrona di sé e l’amore in esse non è ancor tale da farle uscir di senno. Ma io vorrei che la ragione stessa ci servisse per non accontentarci di questo modo di servire Dio, sempre così lentamente, che di questo passo non giungeremo mai al termine del nostro cammino. E, siccome crediamo di avanzare, ed anche di stancarci (perché, credete pure, è un camminare faticoso), sarà già molto se non ci smarriamo. Ma, figlie mie, se per recarsi da un paese a un altro possono bastare otto giorni, vi sembra logico percorrere il cammino in un anno, con i disagi di alberghi, neve, piogge e strade cattive? Non sarebbe meglio compierlo tutto d’un fiato? Perché tutti questi inconvenienti ci sono, e anche il pericolo di serpenti. Oh, che buone prove potrei addurvi di ciò! E piaccia a Dio che io stessa sia uscita da tali rischi, perché molte volte non mi sembra di esserne fuori.

8. Procedendo con tanta prudenza, tutto sembra arrecarci danno, perché di tutto abbiamo paura. Pertanto, non osiamo andare avanti, come se potessimo arrivare alle più alte mansioni, lasciando che altri facciano il cammino per noi! Poiché questo è impossibile, facciamoci coraggio, sorelle mie, per amor del Signore. Rimettiamo nelle sue mani la nostra ragione e i nostri timori; dimentichiamo la nostra naturale debolezza, che potrebbe esserci d’intralcio. La cura del nostro corpo l’abbiano i nostri superiori: è affar loro; la nostra sia solo quella di camminare in fretta per vedere questo nostro Signore. Infatti, pur avendo qui poco o nessun sollievo, la preoccupazione della salute potrebbe ingannarci, senza che per questo si riuscisse ad averla migliore. Io lo so, e so anche che il nocciolo della questione non sta in ciò che riguarda il corpo, che è il meno, ma nel camminare in fretta con grande umiltà. Se l’avete bene inteso, credo che in questo stia il male di quelle anime che non vanno avanti. Cerchiamo, da parte nostra, di credere con assoluta convinzione che non abbiamo fatto se non pochi passi, che le nostre consorelle, al contrario, avanzano molto in fretta; e [cerchiamo] non solo di desiderare che ci considerino le più imperfette di tutte, ma di adoperarci con tutte le forze a tal fine.

9. In questo modo il nostro stato è davvero eccellente. Diversamente resteremo tutta la nostra vita allo stesso punto, fra mille pene e miserie, perché, non essendoci staccate da noi stesse, il cammino è molto duro e faticoso, in quanto procediamo gravate dal peso terreno della nostra miseria, da cui sono liberi coloro che salgono alle mansioni di cui mi resta da parlare. Peraltro, neanche in queste mansioni il Signore manca di ricompensare le anime con la sua giustizia e misericordia, dando egli sempre più di quanto meritiamo, e le favorisce di gioie che superano molto quelle che potrebbero darci tutti i piaceri e i divertimenti della vita. Ma non credo che ci favorisca di molti diletti, se non solo alcune volte, per invitarci, con la vista di ciò che avviene nelle altre mansioni, ad avere le disposizioni necessarie per entrarvi.

10. Vi potrà sembrare che gioie e diletti spirituali siano tutt’uno, e vi chiederete perché faccio questa differenza di nomi. A me sembra che la differenza sia grande, ma posso ingannarmi. Dirò quello che penso nelle quarte mansioni, che seguiranno. Allora, dovendo dare alcune spiegazioni sui diletti spirituali che in esse il Signore concede, verrà più a proposito parlarne. Anche se sembra inutile trattarne, può darsi che ne ricaviate qualche vantaggio, poiché, comprendendo il valore dell’uno e dell’altra, potrete sforzarvi di attenervi al meglio. Inoltre, le anime che Dio eleva fin là vi troveranno un motivo di grande consolazione. Motivo di confusione, invece, ne avranno quelle che credono di aver già tutto, le quali, se sono umili, si sentiranno incitate a render grazie a Dio, mentre, se non lo sono, proveranno un intimo dispiacere, del tutto ingiustificato. La perfezione, e anche il premio, non consistono nei diletti, ma nel maggior amore e nell’operare meglio secondo giustizia e verità.

11. Se ciò è vero, come lo è, vi domanderete a cosa serva trattare di queste grazie interiori e spiegare in cosa consistano. Non lo so. Lo si chieda a chi mi ha ordinato di scrivere, perché io ho il dovere non di disputare con i superiori, che sarebbe sconveniente, ma di obbedire. Quello che sinceramente vi posso dire è che, prima di aver ricevuto tali grazie e quando non le conoscevo per mia propria esperienza né immaginavo di conoscerle mai nella mia vita (e con ragione, perché sarebbe stata troppa felicità per me sapere o immaginare di piacere a Dio in qualche cosa), quando leggevo libri su queste grazie e consolazioni concesse dal Signore alle anime che lo servono, ne avevo un’immensa gioia e la mia anima ne traeva motivo per rendere grandi lodi a Dio. Se, dunque, facevo questo io, pur essendo così spregevole, le anime che sono buone ed umili lo loderanno assai di più, e fosse anche per una sola che lo lodi, a mio parere sarebbe sempre meglio parlarne e far comprendere la gioia e i diletti che perdiamo per colpa nostra. Questo, tanto più che, se essi procedono da Dio, traboccano di amore e di forza, così da farci camminare con minor fatica e andar crescendo in buone opere e in virtù. Non pensate che abbia poca importanza il fatto che non manchi uno sforzo consapevole da parte nostra. Se non abbiamo colpa nel fallire l’intento, il Signore, che è giusto, ci darà per altre vie quello che ci toglie per questa, per motivi che gli solo conosce, essendo impenetrabili i suoi segreti. Ma non c’è dubbio che sarà per il nostro maggior bene.

12. Ciò che mi sembra sarebbe molto utile per quelle anime che per la bontà del Signore sono pervenute a questo stato (favore che, come ho detto, è frutto di non poca misericordia divina, essendo vicinissime a salire più in alto), è esercitarsi molto nella prontezza dell’obbedienza. Anche se non appartengono allo stato religioso, sarebbe assai utile – seguendo l’esempio di molte persone – avere qualcuno a cui obbedire per non fare in nulla la propria volontà, che è in generale la causa della nostra rovina, e non cercare chi abbia, come si dice, il nostro stesso umore e proceda con altrettanta circospezione in tutto, ma procurare che sia una persona del tutto disingannata sulle cose terrene. È molto proficuo, per conoscere se stessi, trattare con chi conosce il mondo. Anche il vedere realizzate da altri, e tanto agevolmente, certe cose che sembrano impossibili, è di grande incoraggiamento. Sembra che, dietro l’esempio del loro volo, ci arrischiamo a volare, come fanno gli uccellini che, quando imparano a usare le ali, anche se non spiccano subito un gran volo, a poco a poco imitano i loro genitori. Questo è molto vantaggioso, io lo so. Tali persone, per quanto siano risolute a non offendere il Signore, faranno bene ad evitarne le occasioni perché, stando vicine alle prime mansioni, vi potrebbero facilmente ritornare: la loro forza non è ancora fondata sulla roccia, come quella di coloro che sono già abituati ai patimenti, che conoscono le tempeste del mondo e quanto poco siano da temere, come non sono da desiderarne i piaceri, ai quali sarebbe possibile che fossero ricondotte mediante una di quelle grandi persecuzioni che il demonio sa ordire a nostro danno. E, pur essendo animate da giusto zelo nel desiderio di impedire i peccati altrui, non avrebbero forse la forza di resistere agli attacchi che a questo riguardo potrebbero loro sopraggiungere.

13. Badiamo ai nostri difetti e lasciamo stare quelli degli altri. È proprio delle persone assai ben regolate meravigliarsi di tutto mentre forse avremmo molto da apprendere, in ciò che è essenziale, da coloro di cui ci meravigliamo. Può darsi che, nella compostezza esteriore e nel modo di trattare siamo in vantaggio su di loro, ma anche se stimabile, non è questa la cosa che ha maggiore importanza. Inoltre, non c’è ragione di pretendere che tutti vadano per la nostra strada né di mettersi ad insegnare il cammino spirituale quando forse non si sa che cosa sia. Con questi desideri del bene delle anime, che ci sembrano ispirati da Dio, possiamo, sorelle, commettere molti errori. Pertanto, è meglio attenerci a ciò che dice la nostra Regola: «Cercate di vivere sempre nel silenzio e nella speranza». Il Signore si prenderà cura delle sue anime e, se non tralasceremo di supplicarne Sua Maestà, con il suo aiuto saremo loro molto utili. Sia egli per sempre benedetto!

 

QUARTE MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Parla della differenza che esiste fra gioie e dolcezza dell’orazione, e diletti spirituali, e dice quanto sia stata felice di comprendere che l’immaginazione è cosa diversa dall’intelletto. È utile per chi è soggetto a frequenti distrazioni durante l’orazione.

 

1. Per cominciare a parlare delle quarte mansioni è necessario fare quello che ho fatto, cioè raccomandarmi allo Spirito santo e supplicarlo di parlare al mio posto, d’ora in avanti, per dire qualcosa delle mansioni che restano, in modo che lo comprendiate. Ormai sono cose soprannaturali, di cui è molto difficile dare una spiegazione, a meno che non lo faccia Sua Maestà stesso, come ha fatto per un altro mio libro dove scrissi – circa quattordici anni fa – quello che fino allora ne avevo compreso. Anche se ora mi sembra di avere un po’ più di luce su queste grazie che il Signore concede ad alcune anime, saper esporle è un’altra cosa. Lo faccia Sua Maestà, se può risultarne qualche utilità, altrimenti sia come non detto.

2. Poiché queste mansioni sono già più vicine al luogo dove sta il Re, la loro bellezza è grande, e ci sono cose talmente delicate da vedere e da intendere che l’intelletto ha un bell’ingegnarsi a cercare termini adatti per dirne almeno qualcosa con tanta esattezza da non farle restare sempre molto oscure per coloro che non ne hanno esperienza! Chi ha tale esperienza, però, mi capirà benissimo, specialmente se la sua esperienza è grande. Si potrà forse credere che, per giungere a queste mansioni, occorra aver vissuto molto nelle altre, e anche se ordinariamente è vero che bisogna esser passati per quella precedente, non è una regola assoluta, come avrete già sentito più volte. Infatti, il Signore concede i suoi doni quando vuole, come vuole e a chi vuole, essendo beni che appartengono a lui, ed egli, lo sappiamo, non fa torto a nessuno.

3. In queste mansioni entrano raramente le bestie velenose e, se entrano, non nuocciono, anzi avvantaggiano le anime. Io ritengo preferibile che entrino e scatenino la guerra in questo stato di orazione, perché il demonio, se non ci fossero tentazioni, potrebbe ingannare, intromettendosi nei diletti provenienti da Dio, e arrecar molto maggior danno di quando esse ci sono: egli limiterebbe il merito dell’anima – non foss’altro allontanando da essa le occasioni di merito – e lasciandola in un rapimento intenso. Quando esso è continuo, non lo ritengo sicuro perché mi sembra impossibile che lo Spirito del Signore, in questa vita, stia in noi sempre nello stesso modo.

4. Parlando ora di ciò che ho promesso che avrei detto qui, cioè della differenza fra le gioie che si provano nell’orazione e i diletti spirituali, mi sembra che si possano chiamare gioie quelle contentezze che noi ci procuriamo con la nostra meditazione e con le preghiere rivolte a nostro Signore. Esse procedono dalla nostra natura, anche se c’è sempre il concorso di Dio, il che è da sottintendere in tutto quello che dirò, perché noi non possiamo nulla senza di lui. Nascono dunque dalle stesse opere virtuose che compiamo e, poiché ci appaiono un frutto del nostro lavoro, a ragione ci rallegriamo di esserci occupate in esse. Ma, se ci riflettiamo, vedremo che ci procurano le stesse gioie molte cose terrene: come una grande fortuna che improvvisamente tocchi a qualcuno, o il vedere all’improvviso una persona che amiamo molto, o l’esito felice di un affare importante o di un’altra cosa di gran peso, che ci merita l’approvazione di tutti, o il vedere ritornare vivo un marito, un fratello o un figlio che si credeva morto. Ho visto versare lacrime per una grande gioia e, qualche volta, è accaduto anche a me. Ebbene, credo che allo stesso modo in cui queste gioie sono naturali, lo siano quelle che ci danno le cose di Dio, solo che queste sono di più alta qualità, anche se le altre non hanno niente di cattivo. In conclusione, partono dalla nostra natura e finiscono in Dio. I diletti spirituali, invece, cominciano da Dio e si fanno sentire dalla nostra natura, che gode di essi quanto delle gioie di cui ho parlato e anche di più. Oh, Gesù, come vorrei saper chiarire questo! Credo, infatti, di comprendere che c’è una grande differenza, ma non ho la capacità di riuscire a spiegarmi. Lo faccia il Signore!

5. Ricordo in questo momento un versetto che recitiamo a Prima, alla fine dell’ultimo salmo, che termina così: Perché hai dilatato il mio cuore. Chi ha grande esperienza non ha bisogno d’altro per cogliere la differenza che passa tra gioie e diletti, ma per chi non ne ha, ci vuole qualche spiegazione in più. Le gioie di cui ho parlato non dilatano il cuore, anzi ordinariamente sembrano stringerlo un po’, senza peraltro diminuire affatto la gioia di vedere che Dio ne è il movente. Allora sgorgano certe lacrime angosciose che sembrano provenire in qualche modo dalle passioni dell’anima – altrimenti forse mi spiegherei meglio – e di ciò che procede dai sensi e dalla nostra natura, perché sono molto ignorante. Ripeto, mi saprei spiegare se, avendone fatto esperienza, ne avessi anche chiara conoscenza. Il sapere e la dottrina sono assai utili in ogni cosa.

6. L’esperienza da me avuta di questo stato, cioè di questi doni e gioie nella meditazione, è che, se cominciavo a piangere sulla passione, non potevo più cessare fino a che non rimanevo esausta; lo stesso, se piangevo per i miei peccati. Era, questa, una grande grazia del Signore. Non voglio ora esaminare se siano migliori gli uni o gli altri, ma vorrei solo saper spiegare in che cosa differiscano. Talvolta, a suscitare queste lacrime e questi desideri concorre la disposizione in cui ci troviamo, ma alla dine, come ho detto, ciò malgrado, vanno a terminare in Dio. E sono da stimare molto se si ha l’umiltà di capire che non per questo si è migliori. Infatti, non si può sapere se siano tutti effetti dell’amore divino. In tal caso sarebbero un dono di Dio. Per lo più, questi sentimenti di devozione sono propri delle anime che stanno nelle mansioni precedenti, dove attendono di continuo a lavorare d’intelligenza, occupate come sono a discorrere con l’intelletto e a meditare; e fanno bene, non avendo ricevuto di più. Tuttavia farebbero meglio ad occuparsi un po’ in opere e in lodi di Dio, a rallegrarsi della sua bontà, della sua divina perfezione, a desiderare il suo onore e la sua gloria, e ciò quanto più convenientemente fosse loro possibile, perché serve a stimolare molto la volontà. Inoltre, se il Signore concede loro queste riflessioni, si guardino bene dal trascurarle per voler finire la meditazione abituale.

7. Siccome mi sono dilungata molto altrove a parlare di ciò, qui non ne dirò di più. Solo desidero avvertirvi che, per fare grandi progressi in questo cammino e salire alle mansioni alle quali aspiriamo, il nodo della questione non sta nel pensare molto, ma nell’amare molto; pertanto, fate ciò che può incitarvi maggiormente ad amare. Forse non sappiamo che cosa sia amare, e non me ne meraviglierei molto, perché non consiste nel maggior piacere spirituale, ma nella maggiore determinazione di cercar di accontentare Dio in tutto, di fare ogni sforzo possibile per non offenderlo, di pregarlo per il trionfo costante dell’onore e della gloria di suo Figlio e per l’incremento della Chiesa cattolica. Questi sono i segni dell’amore, e non pensate che la questione sia di non pensare ad altro e che tutto vada perduto, se vi accada di distrarvi per un momento.

8. Mi sono trovata anch’io, a causa di questo turbamento del pensiero, in grave angustia, qualche volta; solo da poco più di quattro anni sono giunta a capire, in virtù dell’esperienza, che il pensiero (o l’immaginazione, per meglio intendersi) non è l’intelletto. Ne ho anche parlato con una persona dotta e mi ha detto che è così, dandomi motivo di non poca soddisfazione. Infatti mi riusciva difficile spiegarmi, essendo l’intelletto una delle potenze dell’anima, come a volte fosse così instabile, mentre il pensiero vola talmente in fretta che solo Dio può fermarlo, e quando lo fa, ci pare d’essere quasi staccati dal nostro corpo. Mi pareva che, da un lato, le potenze dell’anima fossero occupate in Dio e stessero raccolte in lui, mentre dall’altro il pensiero vagasse disordinatamente: ne restavo sbigottita.

9. Oh, Signore, prendete in considerazione tutto quel che soffriamo a causa della nostra ignoranza! Il male proviene dal fatto che, immaginando che tutta la nostra scienza debba consistere nel pensare a voi, non osiamo interrogare i dotti né comprendiamo cosa ci sia da chiedere. Così, poiché non ci capiamo, soffriamo terribili tribolazioni, ritenendo che sia grave peccato ciò che non è cattivo, ma buono. Ecco da dove procedono le afflizioni di molte persone che praticano l’orazione e il lamentarsi delle sofferenze interiori, per lo meno di gran parte di quelle che non sono istruite; da qui le malinconie, la perdita della salute e perfino l’abbandono totale di ogni pratica, perché non si pensa che c’è in noi un mondo interiore; allo stesso modo, come non possiamo trattenere il movimento del cielo, che continua nella sua corsa vertiginosa, così non possiamo frenare il nostro pensiero. Inoltre, includiamo in esso tutte le potenze dell’anima e ci sembra di essere perdute e di usare assai male il tempo che passiamo alla presenza di Dio. Può darsi che l’anima se ne stia tutta unita a lui nelle mansioni più vicine, mentre il pensiero, trattenuto nei dintorni del castello, soffra e lotti con una quantità di bestie feroci e velenose, acquistando meriti per questo patimento. Per questo motivo, non dobbiamo restarne turbati né dobbiamo lasciare l’orazione, che è ciò a cui aspira il demonio. Per la maggior parte, tutte le inquietudini e i travagli derivano dal fatto di non conoscere noi stessi.

10. Mentre scrivo queste cose, vado considerando ciò che accade nella mia testa a causa del gran rumore di cui ho parlato all’inizio, che mi ha fatto sembrare quasi impossibile l’esecuzione dell’ordine di scrivere. Sembra proprio che vi siano parecchi grossi fiumi che poi precipitano in cascate, una quantità di uccelli e di cicalecci, e non nelle orecchie, ma nella sommità della testa, dove si dice che risieda la parte superiore dell’anima. Vi ho pensato a lungo perché mi sembrava che il grande movimento dello spirito fosse un’ascensione veloce verso l’alto. Piaccia a Dio che io ricordi nelle mansioni seguenti di illustrarne la causa, perché non è il momento. Non mi meraviglierei che il Signore abbia voluto mandarmi questo mal di testa affinché la comprenda meglio, in quanto tutto questo schiamazzo che è in essa non mi impedisce l’orazione né di continuare a scrivere, essendo l’anima tutta intera nel suo riposo, nel suo amore, nei suoi desideri e nella sua chiara conoscenza.

11. Ma se la parte superiore dell’anima risiede nella sommità della testa, come mai non resta disturbata? Io non lo so, ma so che quanto dico è la verità. Si soffre dei rumori quando l’orazione non è accompagnata da sospensione, mentre durante la sospensione non si avverte alcuna sofferenza. Sarebbe un gran danno se per questo fastidio dovessi abbandonare l’orazione! Così pure non è bene turbarsi quanto ai pensieri. Non bisogna badarci, perché, se li ispira il demonio, con questa disposizione verso Dio avranno termine; e se provengono, come spesso avviene, dalla miserevole condizione lasciata in noi, con molti altri guai, dal peccato di Adamo, cerchiamo di aver pazienza e sopportiamoli per amor di Dio. Siamo anche soggette a mangiare e a dormire, senza poterlo evitare, il che è un grande tormento.

12. Riconosciamo la nostra miseria e aspiriamo ad andare dove nessuno ci disprezza: questo, come ricordo di avere sentito qualche volta, è ciò che dice la sposa del Cantico dei Cantici; e, in verità, non trovo in tutta la vita occasione per applicare meglio tali parole perché, qualunque forma di disprezzo e di sofferenza possa aversi in essa, non mi pare che uguagli queste battaglie interiori. Qualsiasi turbamento e qualsiasi lotta può essere tollerabile se si riesce a trovar pace nella propria mansione – come ho già detto –, ma aspirare alla pace dopo mille pene che si incontrano nel mondo, vedere che il Signore stesso ci offre tale riposo e sentire che l’ostacolo sta in noi stesse, non può non essere molto penoso e quasi intollerabile. Pertanto, Signore, portateci dove queste miserie non ci disprezzino, perché a volte sembra proprio che esse si prendano gioco dell’anima. Anche in questa vita il Signore può liberarla da ciò, ma solo quando è giunta all’ultima mansione, come, a Dio piacendo. Dirò.

13. Forse tali miserie non daranno a tutti tanta pena né tanta lotta come l’hanno data a me nel corso di molti anni, a causa della mia indegnità, al punto che sembrava che io stessa volessi vendicarmi di me. Ma, avendone io tanto sofferto, penso che forse potrebbe essere così anche per voi, e non faccio che parlarvene ogni momento, per veder di riuscire, una volta o l’altra, a spiegarvi come sia un fatto inevitabile, e pertanto non dobbiate inquietarvene né affliggervene: lasciamo perdere questa spatola rumorosa di mulino e maciniamo la nostra farina, facendo operare la nostra volontà e il nostro intelletto.

14. C’è maggiore o minore intensità in questo disturbo, a seconda della salute e dei tempi. Si rassegni a sopportarlo la povera anima, anche se di ciò non ha alcuna colpa, perché ne avremo altre di colpe a causa delle quali è giusto dar prova di pazienza. E siccome né ciò che leggiamo né quello che ci consigliano è sufficiente, per noi che abbiamo scarsa istruzione, a non farci dare importanza a questi pensieri, non mi sembra tempo perduto tutto quello che impiego a spiegarlo meglio e a consolarvi a questo riguardo. Tuttavia, fin quando il Signore non voglia illuminarci, questo serve a poco. È necessario, comunque – e il Signore lo vuole –, che ricorriamo ai mezzi adatti per conoscerci e per non attribuire all’anima la colpa di ciò che è opera della debole immaginazione, della natura e del demonio.

 

CAPITOLO 2


Prosegue sullo stesso argomento e spiega con un paragone cosa siano i diletti spirituali e come si possano raggiungere senza cercarli.

 

1. Dio mio, in che cosa mi sono invischiata! Ho già dimenticato ciò che stavo dicendo, perché gli affari e la poca salute mi obbligano spesso a rimandare il mio lavoro a tempo migliore, e siccome ho poca memoria, ne risulterà un grande disordine, essendomi impossibile tornare a leggerlo. E chissà che non sia scombinato tutto quello che dico, almeno tale è la mia impressione. Mi sembra di aver parlato delle gioie spirituali. Poiché alcune volte sono mescolate con le nostre passioni, comportano un’emozione che fa prorompere in singhiozzi; e ho udito anche dire da alcune persone che esse si sentono stringere il cuore e vanno soggette perfino a movimenti esteriori incontenibili, di tale forza che esce loro sangue dal naso e si producono altri effetti ugualmente penosi. Di questo non so dire nulla, perché non ne ho fatto esperienza, ma credo che tali persone debbano restarne consolate perché, ripeto, tutto va a finire nel desiderare di piacere al Signore e di godere di Sua Maestà.

2. Quelli che io chiamo diletti di Dio – a cui altrove ho dato il nome di orazione di quiete – sono molto diversi, come capirà chi fra voi lo ha provato per la misericordia di Dio. Supponiamo, per intenderlo meglio, di vedere due fontane con due bacini che si riempiono d’acqua. Io non trovo nulla di più adatto per spiegare alcune cose dello spirito che l’esempio dell’acqua perché, siccome so poco né l’ingegno m’aiuta, e anche perché amo molto tale elemento, l’ho osservato con maggiore attenzione di altre cose. Del resto, in tutto ciò che Dio, tanto grande e sapiente, ha creato, devono esserci molti segreti di cui possiamo giovarci, come avviene per coloro che ne hanno l’intelligenza, anche se io credo che ogni minima cosa creata da Dio, si tratti pur di una piccola formica, nasconda più meraviglie di quante si possa capirne.

3. Questi due bacini si riempiono d’acqua in modo diverso: in uno l’acqua viene da più lontano per mezzo di vari acquedotti e di molta industria; l’altro, costruito dov’è la stessa sorgente dell’acqua, si riempie senza alcun rumore. Se la sorgente è abbondante, come questa di cui parliamo, una volta riempito tale bacino, ne scaturisce un grande ruscello, senza che ci sia bisogno di alcun artificio né si debba temere che venga meno per danni alle condutture, giacché l’acqua da lì sgorga sempre. Ed ecco la differenza: quella proveniente dalle condutture rappresenta, a mio parere, le gioie di cui abbiamo parlato, che si ricavano dalla meditazione; ce le procuriamo, infatti, con i nostri pensieri, aiutandoci con la meditazione sulle creature e stancando l’intelletto; e, siccome sono, in conclusione, frutto dei nostri sforzi, fanno rumore quando, come si è detto, devono riempire l’anima di qualche profitto spirituale.

4. Nell’altro bacino, invece, l’acqua viene dalla sua stessa sorgente, che è Dio, e come vuole Sua Maestà, quando si compiace di fare qualche grazia soprannaturale, fluisce con un’indicibile pace, dolcezza e tranquillità nell’intimo di noi stessi, ma io non so da dove né come. Sono gioie e diletti che non si sentono, come quelli del mondo, nel cuore – all’inizio, intendo dire, perché in seguito inondano completamente il nostro essere. Quest’acqua si riversa in tutte le mansioni e in tutte le potenze dell’anima, fino a raggiungere il corpo: per questo motivo ho detto che cominciano da Dio e finiscono in noi. Infatti, non c’è dubbio, come può costatare chi l’ha provato, che l’uomo esteriore goda con tutto se stesso di questa gioia e di questa dolcezza.

5. Ora – scrivendo questo – mi viene in mente il versetto citato: Hai dilatato il mio cuore, dice che il cuore si è dilatato. Ma non mi sembra che il piacere – ripeto – nasca dal cuore, bensì da una parte ancora più interna, come da un qualcosa di molto profondo. Credo che debba essere il centro dell’anima, come in seguito ho capito e più avanti dirò. Certo è che in noi stessi scopro tali segreti da restarne, spesso, stupita. E quanti altri devono essercene! O Signor mio e Dio mio, quanto sono grandi le vostre magnificenze! E pensare che noi, qui, siamo come ottusi pastorelli a cui sembra di capire qualcosa di voi; ciò dev’essere appena un nonnulla, visto che in noi stessi ci sono grandi segreti che non conosciamo. Dico appena un nonnulla, in confronto al molto, moltissimo che è in voi; e non perché non siano ben grandi le magnificenze che vediamo, alla luce di quel che possiamo capire delle vostre opere.

6. Ritorniamo al versetto. Ciò che in esso, a mio parere, può servire al mio caso, è in quella dilatazione: sembra, infatti, che non appena quest’acqua celestiale cominci a sgorgare dalla sorgente di cui ho parlato, cioè dal profondo di noi stessi, tutto il nostro interno si vada dilatando e ampliando, e nascano beni indicibili. L’anima stessa non sa comprendere cosa riceva in quel momento. Sente una fragranza, per così dire, come se in quella profondità del nostro intimo vi fosse un braciere nel quale si gettassero essenze odorose. Non si vede né il fuoco né si sa dove sia, ma il calore e il fumo odoroso penetrano tutta l’anima, e molte volte – come ho detto – ne partecipa anche il corpo. Cercate di capirmi: non si sente calore né si avverte odore, perché è qualcosa di più delicato di essi. Parlo di calore e di odore solo per farmi capire. Le persone che non ne hanno fatto esperienza sappiano che succede realmente così e che lo si avverte molto bene. L’anima lo sente anche più chiaramente di quanto io ora non dica. Né è cosa che si possa immaginare, perché con tutte le nostre diligenze siamo impotenti a procurarcela, e proprio per questo si costata che non è opera del nostro metallo, ma di quel purissimo oro della sapienza divina. Qui le potenze non sono unite a Dio, a mio parere, ma come fuori di sé e si chiedono sbigottite cosa ciò possa essere.

7. Può darsi che, parlando di queste cose interiori, mi contraddica, in parte, rispetto a quello che ho detto altrove. Ciò non deve stupire, perché nei quindici anni circa trascorsi da quando cominciai a scriverne, forse il Signore mi ha dato maggior lume per intendere queste cose di quanto non ne avessi allora: adesso, come allora, posso sempre sbagliare in tutto, ma non mentire, perché, per la misericordia di Dio, piuttosto soffrirei mille morti. Dico quello che capisco.

8. In realtà, mi sembra che la volontà debba pur stare unita in qualche modo a quella di Dio, ma solo dagli effetti e dalle opere che ne seguono poi si conoscono queste verità dell’orazione, non essendoci miglior crogiolo per provarle. È una grandissima grazia di nostro Signore se chi le riceve se ne accorge, e grazia ancor più grande se non torna indietro. Voi, forse, figlie mie, vorreste procurarvi subito quest’orazione, e avete ragione perché, come ho detto, l’anima non riesce ancora a rendersi conto delle grazie che in questo stato il Signore le accorda né dell’amore con cui la va avvicinando maggiormente a sé e, certo, desidera sapere come queste grazie si acquistino. Vi dirò quello che ho potuto capirne.

9. Prescindiamo dal caso in cui il Signore si compiace di accordarle unicamente perché lo vuole. Egli ne sa il motivo e noi non dobbiamo intrometterci. Dopo aver fatto ciò che esigono le mansioni precedenti, ci vuole umiltà e ancora umiltà. È da questa virtù, infatti, che il Signore si lascia vincere, accordandoci quanto vogliamo da lui. Il primo segno per riconoscere se l’avete è non pensare di meritare queste grazie e questi diletti del Signore né sperare di poterli ottenere in tutta la vostra vita. Mi direte: ma in questo modo, senza procurarseli, come si potranno avere? A ciò rispondo che non ve n’è un altro migliore di quello che vi ho indicato, cioè di non far nulla per procurarveli. Eccovene le ragioni: la prima, perché, per ricevere queste grazie, bisogna anzitutto amare Dio senza interesse; la seconda, perché è una piccola mancanza di umiltà pensare che per i nostri miseri servizi si debba ottenere un bene così grande; la terza, perché la vera disposizione a tale scopo, per noi che, infine, abbiamo offeso il Signore, è il desiderio di soffrire e di imitarlo, non di avere diletti spirituali; la quarta, perché Sua Maestà non è obbligato a darceli, come non è obbligato a darci il paradiso se osserviamo i suoi comandamenti, potendoci salvare anche senza di questo; egli sa meglio di noi ciò che ci conviene e chi siano coloro che lo amano davvero. Proprio così, io ne sono sicura. Conosco alcune persone che vanno per il cammino dell’orazione come si deve andare, solamente per servire il loro Cristo crocifisso, al quale non solo non chiedono diletti spirituali, che neanche desiderano, ma rivolgono la supplica di non dargliene, in questa vita. È la pura verità. La quinta ragione è perché lavoreremo invano. Infatti, non essendo quest’acqua condotta attraverso canali come la precedente, giovano a poco i nostri sforzi, se la fonte non vuol fornirla. Voglio dire che, per quante siano le nostre meditazioni, per quanto possiamo macerarci e versare lacrime, non è questa la strada per avere quest’acqua. Dio la dà solo a chi vuole, e spesso quando l’anima meno se l’aspetta.

10. Siamo di Dio, sorelle; faccia egli di noi quello che vuole e ci conduca dove più gli piace. Sono certa che se davvero ci umiliamo e ci distacchiamo (dico davvero, perché non dev’essere solo in virtù dell’immaginazione, che spesso ci inganna, ma dev’essere un distacco completo), il Signore non mancherà di accordarci queste grazie e molte altre superiori a ogni nostro desiderio. Sia egli per sempre lodato e benedetto! Amen.

 

CAPITOLO 3


Spiega cosa sia l’orazione di raccoglimento, che in generale il Signore concede prima della precedente. Parla dei suoi effetti e quelli che restano dall’altra, in cui ha trattato dei diletti concessi dal Signore.

 

1. Gli effetti di questa orazione sono molti: ne illustrerò alcuni. Ma prima parlerò di un’altra specie di orazione che quasi sempre ha inizio prima di questa, anche se sarò breve per averne già trattato altrove. È un raccoglimento che mi sembra anch’esso soprannaturale, perché, se pur non consiste nello stare al buio, nel chiudere gli occhi, né in altre cose esteriori, senza volerlo gli occhi si chiudono e si desidera la solitudine. Senza alcuno sforza sembra che si vada costruendo l’edificio per l’orazione di cui si è parlato: i sensi e le cose esteriori sembrano perdere gradualmente il proprio diritto affinché l’anima vada ricuperando il suo, che aveva perduto.

2. Coloro che la praticano dicono che «l’anima rientra in se stessa» e altre volte che «sale sopra se stessa». Mediante tale linguaggio, però, certamente io non riuscirei a spiegare nulla, ed è questo il mio torto: pensare che dobbiate intendermi attraverso le espressioni di cui io so servirmi, le quali, forse, saranno comprese solo da me. Supponiamo che i sensi e le potenze (di cui ho già detto che sono gli abitanti del castello, essendomi servita di questo paragone per riuscire a spiegare qualcosa) siano fuggiti fuori e vivano da giorni e anni con gente straniera, nemica del bene di questo castello. Poi, vedendo la propria rovina, tornano ad avvicinarsi ad esso, anche se non riescono ad entrarvi, per la difficoltà che crea in loro l’aver contratto la cattiva abitudine di starne fuori. Vi girano intorno, senza ormai tradire più. Il grande Re, che risiede nel centro del castello, vista ormai la loro buona volontà, per la sua grande misericordia si induce a richiamarli a sé e, come buon pastore, emettendo un fischio tanto soave che essi stessi stentano ad avvertirlo, fa loro conoscere la sua voce e li allontana dalla via della perdizione per ricondurli al castello. Questo fischio del pastore ha, infatti, tanta forza che abbandonano subito le cose esteriori da cui erano traviati e rientrano nel castello.

3. Mi sembra di non essermi mai spiegata come ora; quando il Signore concede questa grazia, essa è di grande aiuto per cercare Dio in noi stessi (dove si trova meglio e con maggior profitto che nelle creature, come dice di averlo trovato sant’Agostino dopo averlo cercato a lungo altrove). E non crediate che si acquisti per mezzo dell’intelletto, procurando di pensare che Dio è in noi, né per mezzo dell’immaginazione, figurandoselo in sé. È, questo, un ottimo ed eccellente metodo di meditazione, perché fondato sulla verità dell’inabitazione di Dio, ma non si tratta di ciò. Questa è una cosa possibile a chiunque (s’intende sempre con l’aiuto del Signore). Quello che io dico è, invece, d’altra specie, perché a volte gli abitanti sono già nel castello, prima che si cominci a pensare a Dio, e non so come vi siano entrati né come abbiano udito il fischio del loro pastore. Non certo con le orecchie, perché con esse non si avverte nulla, ma per aver sentito un vivo e dolce senso di raccoglimento interiore. Mi capirà chi ne ha l’esperienza, non sapendo io spiegarlo meglio. Mi sembra di aver letto che avviene come di un riccio o di una tartaruga, quando si ritirano in se stessi, e chi l’ha scritto doveva capirlo bene. Questi animali, però, si ritirano quando vogliono. Qui, invece, non dipende dalla nostra volontà, ma da quando Dio vuole concederci questa grazia. Sono convinta che Sua Maestà la concede solo a persone che vanno ormai distaccandosi dalle cose del mondo. Non dico che ciò avvenga di fatto per quelle che ne sono impedite dal loro stato, ma almeno con il desiderio; allora egli le incita ad attendere particolarmente a ciò che è interiore. Pertanto, credo che se lasciamo fare a Sua Maestà non darà solo questo a coloro che egli chiama, ormai, a cose più alte.

4. Chi sperimenta questo in sé, gli renda molte grazie, essendo ben doveroso che riconosca il dono ricevuto. Inoltre, la sua gratitudine farà sì che si disponga a riceverne altri più grandi. Ed è una disposizione per poter ascoltare Dio, come si consiglia in alcuni libri, dove è detto di non cercare di discorrere con l’intelletto, per osservare con attenzione quello che Dio opera nell’anima. Tuttavia, se Sua Maestà non ci ha ancora attirato a sé, non riesco a capire come si possa trattenere il pensiero in modo da non averne più danno che utilità. Anche se ciò è stato materia di lunghe discussioni fra alcune persone spirituali, esse invero – confesso la mia poca umiltà – non mi hanno mai offerto un motivo convincente per farmi arrendere a quanto dicono. Una di loro mi citò un certo libro del santo – perché tale io lo ritengo – fra Pietro d’Alcántara, al quale mi sarei sottomessa, perché so che se ne intendeva: lo leggemmo e vi trovammo detto quello che dico io, anche se non con queste mie parole. Ma da ciò che egli dice si capisce che l’amore dev’essere già acceso. Può anche darsi che io m’inganni, ma ecco le ragioni sulle quali mi baso.

5. La prima è che, in quest’opera spirituale, fa più chi meno pensa e meno vuol fare. Il nostro impegno dev’essere quello di chiedere come poveri bisognosi davanti a un grande e ricco imperatore, e poi abbassare gli occhi e aspettare con umiltà. Quando, per certe segrete strade di cui Dio si serve, ci sembrerà di capire che egli ci ascolta, allora è bene tacere, visto che ci ha concesso di stargli vicino, e anche – se possiamo – procurare di lasciar inoperoso l’intelletto. Ma se ancora non notiamo che questo Re ci abbia udito né veduto, non dobbiamo starcene là come stupidi. Infatti, è grande lo stordimento dell’anima che si è sforzata di arrestare l’intelletto, e molto più arida e forse più inquieta resta l’immaginazione per lo sforzo che si è imposta di non pensare a nulla. Il Signore vuole, invece, che gli rivolgiamo le nostre richieste, considerando che siamo alla sua presenza, convinti che egli sa quello che ci occorre. Non posso proprio persuadermi dell’utilità di industrie umane in cose nelle quali sembra che Sua Maestà abbia posto un limite, volendo riservarle per sé, mentre ne ha lasciate libere molte altre che possiamo fare con il suo aiuto, fin dove può arrivare la nostra miseria, come la penitenza, le buone opere, l’orazione.

6. La seconda ragione è che queste operazioni interiori sono tutte soavi e pacifiche, e far cosa penosa è piuttosto di danno che di utilità. Chiamo penosa ogni azione che esiga uno sforzo, come sarebbe trattenere il respiro. L’anima deve abbandonarsi nelle mani di Dio – egli faccia pure di lei ciò che vorrà – con il maggior disinteresse possibile per il suo vantaggio e con la maggior rassegnazione alla volontà di Dio. La terza ragione è che la stessa preoccupazione di non pensare a nulla può forse eccitare la mente a pensare molto. La quarta consiste nel fatto che la cosa più importante e gradita a Dio è il ricordarsi del suo onore e della sua gloria e dimenticarsi di se stessi, del proprio profitto, dei propri diletti e delle proprie soddisfazioni. Ora, come può dimenticarsi di sé chi ne è sempre preoccupato, che non osa muoversi e non lascia che neanche il suo intelletto e i suoi desideri si muovano per aspirare alla maggior gloria di Dio e per rallegrarsi di quella di cui già gode? Quando Sua Maestà vuole che l’intelletto cessi di operare, lo occupa in altro modo e gli dà una luce di conoscenza così superiore a quella che noi possiamo raggiungere, da farlo restare assorto; e allora, senza saper come, esso ne trae migliore insegnamento che non a causa di tutte le nostre diligenze per sospenderne l’attività, le quali non servirebbero se non a nuocergli. Infatti, poiché Dio ci ha dato le potenze affinché operassimo per mezzo di esse, e ha in serbo il premio dovuta a ciascuna per questo, non c’è ragione di sospenderle, ma bisogna lasciar loro compiere il proprio ufficio, fino a quando Dio non le destini a uno più grande.

7. Ciò che ritengo più conveniente da farsi per un’anima che Dio ha voluto mettere in questa mansione è quanto ho detto: cioè che senza violenza né rumore procuri d’impedire all’intelletto di discorrere, ma non tenti di sospenderlo né di sospendere il pensiero, poiché è bene che ricordi di essere alla presenza di Dio e rifletta su chi sia questo Dio. Se l’intelletto si sospende da solo per quello che sente in sé, alla buon’ora, ma non cerchi di capirne la ragione, essendo un dono concesso alla volontà: bisogna lasciarglielo godere senza far ricorso ad alcun espediente, tranne qualche parola amorosa. Del resto, in questo stato, pur non procurandolo, si resta senza pensare a nulla, anche se solo per pochissimo tempo.

8. Ma, come ho detto altrove, la causa per cui cessa il discorso dell’intelletto in questa specie di orazione (cioè quella di cui ho cominciato a parlare in questa mansione, che ho anteposto all’altra di raccoglimento, della quale dovevo parlare prima, in quanto, pur essendo meno alta dell’orazione dei diletti divini, è la base per raggiungerla, perché nell’orazione di raccoglimento non si deve lasciare la meditazione né l’opera dell’intelletto) è che qui l’acqua viene dalla sorgente, non viene per via di canali: l’intelletto si sospende da sé, o lo fa sospendere il fatto di vedere che non sa lui stesso quel che vuole, e così va da una parte all’altra come un sonnambulo che non trova stabilità in nulla. La volontà è profondamente immersa nel suo Dio e l’agitazione dell’intelletto le produce grande molestia. Ma non deve badare all’intelletto, bensì lasciarlo perdere e abbandonarsi fra le braccia dell’amore, perché Sua Maestà le insegnerà quello che deve fare in tale congiuntura, cioè riconoscersi indegna di tanto bene e impegnarsi a rendere grazie a Dio.

9. Per trattare dell’orazione di raccoglimento, ho tralasciato di parlare degli effetti e dei segni che si determinano nelle anime a cui Dio nostro Signore concede questa orazione. In essa si avverte chiaramente una dilatazione o un ampliamento nell’anima: come se l’acqua che sgorga da una fonte non avesse più flusso, ma il suo bacino fosse fatto in modo tale che, quanta più acqua riceve, tanto più cresce di capacità. Così sembra accadere anche in quest’orazione, perché, insieme a molte altre meraviglie che Dio opera nell’anima, le dà capacità e disposizione a contenere tutto in sé. Questa soavità e questa dilatazione interiore si riconoscono dall’effetto che resta nell’anima di non sentirsi così legata come prima alle pratiche del servizio di Dio, ma di attendervi con maggior generosità. Per esempio, non si angustia per la paura dell’inferno, pur avendo temuto maggiormente di offendere Dio; ma non si tratta di un timore servile, che qui sparisce del tutto, perché l’anima nutre grande fiducia di godere di lui. L’apprensione, in lei prima abituale, quanto alla penitenza, di perdere la salute, ora cede il posto alla convinzione che potrà sopportare tutto con l’aiuto di Dio, e non ha mai tanto desiderato di farla. Lo sgomento che provava di fronte alle tribolazioni ora è attenuato, perché la sua fede è più viva e si rende conto che, se le sopporta per amore di Dio, Sua Maestà le farà la grazia di poterle tollerare con pazienza. Così, alcune volte, perfino le invoca, tanto è grande il suo desiderio di fare qualcosa per il Signore. Quanto più progredisce nella conoscenza della sua grandezza, tanto più si ritiene miserabile. Avendo ormai provato le gioie divine, vede che quelle del mondo sono immondizia, se ne allontana a poco a poco, ed è sempre più padrona di sé nel farlo. Insomma, cresce in tutte le virtù e andrà progredendo sempre più, purché non torni indietro, recando offesa a Dio, perché allora si perde tutto, per quanto elevata sia un’anima ormai pervenuta alla cima. Nemmeno è da credere che per una volta o due che Dio faccia questa grazia, cioè se non si continua a riceverla, si abbiano tutti gli effetti di cui ho parlato, perché in tale perseveranza è tutto il nostro bene.

10. Una cosa raccomando molto a chi si trova in questo stato: guardarsi attentamente dal mettersi in occasioni di offendere Dio, perché qui l’anima non è ancora matura, ma è come un bambino che comincia a poppare: se si discosta dal petto della madre, che cosa ci si può aspettare se non la sua morte? Temo molto che sarà così di colui il quale abbia ricevuto da Dio questa grazia e si allontani dall’orazione, tranne che non vi sia costretto da un’urgente necessità, e non vi faccia subito ritorno, perché andrà di male in peggio. So che vi è molto da temere in questo caso, e conosco alcune persone che mi ispirano una gran pena, le quali sono un esempio di quanto dico, per essersi allontanate da colui che con tanto amore voleva farsi loro amico e dimostrarglielo con le opere. Raccomando tanto di evitare le occasioni, perché il demonio mette più impegno nel nuocere a una di queste anime che non a molte altre a cui il Signore non faccia tali grazie. Esse, infatti, gli possono arrecare un grande danno, trascinandone altre con sé e riuscendo, forse, di gran profitto alla Chiesa di Dio. Quand’anche, poi, non vi fosse altro motivo, la sola costatazione che Sua Maestà mostra loro un amore particolare basta perché il demonio si accanisca a rovinarle; pertanto, devono sostenere grandi lotte e vanno anche a finir peggio delle altre, se soccombono. Voi, sorelle, siete esenti da questi pericoli, a quanto si può capire. Da superbia e vanagloria vi liberi Dio, e dal timore che il demonio possa simulare queste grazie vi difenda il sapere che non può produrre gli effetti che ho descritto, ma fenomeni del tutto opposti ad essi.

11. Voglio mettervi in guardia contro un pericolo (benché ve ne abbia già parlato altrove) in cui ho visto cadere varie persone di orazione, specialmente donne, perché, essendo più deboli, abbiamo più occasione di incorrere in quanto sto per dire. Alcune, a causa dell’eccesso di penitenza, orazioni, vigilie e, anche senza questo, solo perché di debole complessione, non possono avere qualche diletto spirituale senza che la loro natura ne resti soggiogata. Pertanto, sentendo una certa gioia interiore, mentre esteriormente soggiacciono a grande spossatezza e sfinimento, specie se si trovano nel cosiddetto sonno spirituale, che è un po’ più intenso di quello di cui si è parlato, sembra loro che siano la stessa cosa e si lasciano assorbire. Più si abbandonano, più restano assorbite, perché la natura si indebolisce sempre più. Nel loro cervello credono che si tratti di un rapimento, mentre io lo chiamo istupidimento, non facendo esse altro allora che perdere il tempo e rovinarsi la salute,

12. (a una persona accadeva di rimanere in questo stato otto ore), senza che vengano loro meno i sensi né abbiano alcun pensiero di Dio. con il dormire, il mangiare e non fare tanta penitenza, la persona anzidetta cessò di essere in questo stato, perché ci fu chi la capì, mentre, senza volerlo, aveva tratto in inganno il suo confessore, varie persone e se stessa. Sono convinta che il demonio vi aveva contribuito con la sua parte per trarne qualche vantaggio, e non poco cominciava già a ricavarne.

13. È bene sapere che, quando questo stato proviene da Dio, pur essendoci spossatezza interiore ed esteriore, l’anima resta forte e prova grande gioia nel vedersi così vicina a lui. Del resto, non si protrae a lungo, anzi, dura ben poco spazio di tempo, anche se l’anima torna a restare assorta. Tuttavia in questa orazione, tranne in quei casi di debolezza naturale di cui ho parlato, la sospensione non arriva al punto di abbattere il corpo né produce alcuna sensazione esterna. State dunque attente e, se qualcuna si sentirà in questo stato, ne avverta la priora e si distragga come può. La priora non le consenta di avere troppe ore di orazione, ma ben poche, e faccia in modo che mangi e dorma bene, fino a che comincino a ritornarle le forze naturali, nel caso che le abbia perdute a causa di privazioni. Se è di così debole complessione che questo non le basta, credetemi, Dio la vuole solo per la vita attiva, perché nei monasteri dev’esserci di tutto. La si occupi negli uffici e si badi sempre che non rimanga troppo da sola, perché verrebbe a perdere del tutto la salute. Ciò le sarà di grande mortificazione, ma attraverso questo il Signore vuole provare l’amore che ha per lui, vedendo come sopporti la sua assenza, e si compiacerà di ridarle le forze dopo qualche tempo. Se ciò non fosse, con la preghiera vocale e con l’obbedienza trarrà gran guadagno e meriterà ciò che avrebbe meritato per mezzo della contemplazione, e forse di più.

14. Può anche darsi che vi siano persone con un cervello ed un’immaginazione così deboli – come io ne ho conosciute – alle quali sembra di vedere tutto quello che passa loro per la testa: è molto pericoloso. Siccome, però, ne tratterò forse in seguito, non aggiungo altro qui, essendomi dilungata molto in questa mansione, che è quella in cui credo che entri il maggior numero di anime, e in cui, poiché il naturale è congiunto al soprannaturale, il demonio può fare maggior danno che nelle seguenti, ove il Signore non gliene lascia l’opportunità. Sia egli lodato per sempre! Amen. Castello interiore



Sezione 2

Mansioni

 

QUINTE MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Comincia a illustrare come, nell’orazione, l’anima si unisca a Dio. Dice da che cosa si conoscerà che non si tratta di inganno.

 

1. Oh, sorelle! In che modo potrei descrivere le ricchezze, i tesori, i diletti racchiusi nelle quinte mansioni? Sarebbe meglio, credo, non dir nulla di tutte quelle che restano da trattare, perché non si riesce a farlo, né l’intelletto può comprenderle, né i paragoni possono servire a spiegarle, essendo troppo basse le cose della terra per questo scopo. Mandate, mio Signore, luce dal cielo perché io possa illuminare un po’ queste vostre serve, visto che vi siete compiaciuto di far godere ad alcune di esse tanto spesso di queste gioie, così che non siano tratte in inganno, quando il demonio si trasformerà in angelo di luce, essendo tutti i loro desideri tesi a farvi piacere.

2. E anche se ho detto «alcune», ce ne sono ben poche tra noi che non entrino in questa mansione di cui ora parlerò. Qui c’è il più e il meno, e per questa ragione dico che sono la maggioranza quelle che vi entrano. Certo, alcune delle cose che si incontrano in tale mansione credo siano riservate a poche, ma anche se si trattasse solo di arrivare alla porta, è già una grande misericordia di Dio, perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Così dico di noi che portiamo questo sacro abito del Carmelo, che, quantunque siamo tutte chiamate all’orazione e alla contemplazione (perché in ciò è la nostra origine: veniamo dalla stirpe di quei nostri santi Padri del monte Carmelo che in così grande solitudine e con tanto disprezzo del mondo cercavano questo tesoro, questa perla preziosa di cui parliamo), ci disponiamo in poche a ottenere che il Signore ce la scopra. Quanto alle forme esteriori, infatti, siamo sulla buona strada per arrivare dove è necessario, ma quanto alle virtù ci manca un bel pezzo, e non dobbiamo mai trascurarci né molto né poco. Pertanto, sorelle mie, siccome in qualche modo possiamo godere del cielo sulla terra, supplichiamo il Signore di concederci il suo aiuto, affinché non si debba restarne prive per colpa nostra. Ci mostri egli la strada, dando all’anima le forze con cui scavare fino a trovare questo tesoro nascosto, che è realmente in noi stesse. È ciò che vorrei riuscire a spiegare, se il Signore mi concede di saperlo fare.

3. Ho detto «forze dell’anima», affinché intendiate che non sono necessarie quelle del corpo, se Dio nostro Signore non le concede. Egli non impedisce a nessuno di acquistare le sue ricchezze: gli basta che ciascuno gli dia ciò che ha. Sia benedetto un così gran Dio! Ma badate, figlie mie, che per l’acquisto di cui parliamo, non vuole che teniate nulla per voi: poco o molto, vuole tutto per sé e in conformità di quello che voi vedrete di aver dato, riceverete maggiori o minori grazie. Non v’è prova migliore per sapere se la nostra orazione arrivi o no all’unione. Non pensate che si tratti di cosa sognata, come nella precedente orazione. Dico sognata, perché lì sembra che l’anima sia mezzo assopita: né appare del tutto addormentata, né si sente sveglia. Qui, essendo proprio addormentata, e profondamente addormentata alle cose del mondo e a se stessa (perché è un fatto reale che l’anima resta come fuori di sé per la breve durata di questo fenomeno, tanto che non si riesce a pensare, pur volendolo), non occorre far ricorso ad alcun espediente per sospendere il pensiero.

4. Perfino quanto all’amare – se ama – non sa come né che cosa ami, né ciò che voglia. Insomma, è come essere assolutamente morti al mondo per più vivere in Dio. Proprio così: una morte piacevole, uno sradicarsi dell’anima da tutte le operazioni che può avere stando nel corpo; piacevole, perché, pur stando in esso, sembra invero che l’anima se ne separi, per meglio vivere in Dio, in modo che io non so ancora se le resti tanto di vita da poter respirare. Ci stavo pensando ora, e mi sembra proprio di no; per lo meno, se respira, non lo avverte. L’intelletto vorrebbe tutto occuparsi a capire qualcosa di ciò che l’anima sente e, poiché le sue forze non giungono a tanto, rimane così stupito che, pur non perdendosi del tutto, non muove piedi né mani, come si dice tra noi di una persona che resta priva di sensi in modo tale da sembrarci morta. Oh, segreti di Dio! Non mi stancherei mai di cercar di spiegarveli se pensassi di riuscirvi, almeno in parte. Pertanto, dirò mille spropositi pur di cogliere nel segno, almeno una volta, e per rendere più lodi al Signore.

5. Ho detto che non si trattava di cosa sognata. Nella mansione precedente, l’anima, finché non ne abbia molta esperienza, resta in dubbio su quanto è accaduto: se è frutto di una sua illusione, se dormiva, se le fu dato da Dio o dal demonio trasfigurato in angelo di luce. Nutre mille timori, ed è bene che li abbia, perché, come ho detto, perfino la nostra stessa natura ci può ingannare talvolta a questo riguardo. Anche se, infatti, le bestie velenose non hanno facilmente modo di introdursi in quelle mansioni, certe lucertolette sì; poiché sono sottili, s’infilano dappertutto e, pur non essendo nocive, specialmente se non si dà loro importanza, come ripeto, perché sono piccoli pensieri provenienti dall’immaginazione e da ciò che si è detto, spesso infastidiscono. Ora, invece, per quanto sottili siano, le lucertolette non possono entrare in questa mansione, perché non c’è immaginazione, memoria o intelletto capace d’impedire un tale bene. Oserei affermare che se è davvero unione con Dio, non vi può entrare né fare alcun danno neanche il demonio, perché Sua Maestà è così unito e congiunto all’essenza dell’anima che il demonio non oserà avvicinarsi, né credo che neanche intenda tali segreti. Del resto, è chiaro: se, come dicono, egli non conosce i nostri pensieri, molto meno potrà conoscere una cosa tanto segreta che Dio non confida neppure all’intelletto. Oh, stato felicissimo nel quale il maligno non può farci alcun danno! L’anima ne trae grandissimi vantaggi, operando Dio in essa senza che nessuno gli sia d’ostacolo, neanche noi stessi. Che cosa non ci darà mai chi ama tanto dare tutto ciò che vuole?

6. Credo di procurarvi confusione dicendo: «se è davvero unione con Dio», quasi che ci siano altre unioni. E ve ne sono altre! Anche per quanto riguarda le vanità terrene, basta il fatto di amarle molto perché il demonio faccia uscire l’anima da sé, ma non come quando il trasporto le viene da Dio, né con quel diletto, con quell’appagamento, quella pace e quella gioia che sono al di sopra di tutti i piaceri, i diletti, i godimenti della terra, e in più non hanno a che vedere, circa la loro origine, con essi, essendo molto differente l’impressione che se ne ricava, come avrete sperimentato. Una volta ho detto che è come se gli uni fossero avvertiti nella scorza del corpo, gli altri nel midollo delle ossa, e credo d’aver indovinato il paragone. Non so spiegarlo meglio.

7. Mi sembra, però, che non siate ancora soddisfatte e che temiate di potervi ingannare, perché l’esame di ciò che è interiore è ben difficile. Anche se per chi ne ha fatto esperienza basta quanto si è detto, essendo grande la differenza, voglio indicarvi un segno chiaro mediante il quale non potrete esser tratte in inganno né dubitare che è Dio ad operare in voi. Sua Maestà me l’ha fatto venire in mente oggi e credo che sia un segno sicuro. In argomenti difficili, anche se mi pare di comprenderli e di dire la verità, adopero sempre quest’espressione: «mi sembra», perché, se dovessi ingannarmi, sono dispostissima a credere a quanto diranno coloro che sono molto dotti. Essi infatti, pur mancando dell’esperienza di questi favori, sono dotati di un non so qual senso d’intuizione: siccome Dio li riserva ad essere luce della sua Chiesa, quando si tratta di ammettere una verità, li illumina perché sia riconosciuta come tale. Se essi non vivono proiettati al di fuori, ma sono veri servi di Dio, non si meravigliano mai delle sue grandezze, sapendo bene che può fare assai di più. E infine, anche se alcune cose non sono ancora ben chiarite, devono trovarne scritte altre nei libri, attraverso le quali vedono che possono verificarsi anche queste.

8. Di tale realtà ho una grandissima esperienza, come l’ho di certi semidotti paurosi che mi costarono ben caro. Secondo me, chi non crede che Dio possa fare molto di più e che si sia compiaciuto e si compiaccia tuttora di comunicarsi talvolta alle sue creature, tiene assolutamente chiusa la porta ad accogliere le grazie divine. Pertanto, sorelle, ciò non vi accada mai: credete, invece, che Dio può dare sempre di più e non fermatevi mai ad osservare se siano cattivi o buoni quelli ai quali concede le grazie, perché Sua Maestà, come vi ho detto, ne conosce il motivo. Non c’è ragione che noi c’intromettiamo in questo: dobbiamo solo, con semplicità di cuore e umiltà, servire Dio e lodarlo per le sue opere meravigliose.

9. Ritornando dunque al segno che io ritengo sicuro, osservate quest’anima che Dio ha reso del tutto priva d’intelletto per imprimere meglio in essa la vera sapienza. Per tutto il tempo in cui resta in questo stato, che è sempre breve e ad essa sembra anche più breve di quello che è in realtà, non vede né ode né intende nulla. Dio s’imprime in modo tale nell’intimo di quest’anima che, quando ritorna in sé, non può assolutamente dubitare che essa sia stata in Dio e Dio in lei. Questa verità resta impressa in essa così saldamente che, anche se passassero anni senza che Dio torni a farle quella grazia, non la dimentica né può dubitare di averla ricevuta. Lasciamo pur da parte gli altri effetti che ne trae, di cui parlerò in seguito: ciò è quanto interessa al nostro proposito.

10. Ma voi mi direte: in che modo l’anima ha visto o ha capito di essere in Dio, se non vede né intende nulla? Non dico che l’abbia inteso allora, ma che lo intende chiaramente in seguito, e non perché sia una visione, ma per la certezza che di ciò le resta e che solo Dio può concedere. Conosco una persona la quale non era ancora a conoscenza del fatto che Dio è in tutte le cose per presenza, potenza ed essenza, e che dopo una grazia di questo genere accordatale dal Signore, giunse a comprenderlo. Ne ebbe tale certezza che, sebbene uno di quei semidotti di cui ho già parlato, richiesto da lei su come Dio sia in noi (egli ne sapeva tanto poco quanto lei prima che Dio glielo facesse intendere), le rispondesse che vi è solo per grazia, ella, ormai sicura della verità, non gli credette e ne interrogò altri, i quali le dissero come ciò fosse in realtà, del che rimase assai consolata.

11. Non dovete, peraltro, restare ingannate, credendo che questa certezza riguardi una forma corporale, com’è del corpo di nostro Signore Gesù Cristo, presente nel santissimo Sacramento, anche se non lo vediamo; qui, non si tratta di questo, ma della sola divinità. Allora, in che modo ciò che non vediamo resta impresso in noi con tale certezza? Questo io non lo so, sono opere di Dio, ma so di dire la verità. Ma senza questa certezza, stento a credere che ci sia l’unione di tutta l’anima con Dio. Ci sarà solo l’unione di qualche potenza, oppure si tratterà di altro genere di grazie fra le molte che Dio concede all’anima. Non dobbiamo, in tutte queste cose, cercare ragioni che ci spieghino come avvengano. Poiché la nostra intelligenza non giunge a comprenderle, a che scopo vogliamo perderci in esse? Basta rendersi conto che è l’Onnipotente a far tutto. Siccome noi, malgrado ogni nostra diligenza, non siamo capaci di raggiungerle, perché sono opera solo di Dio, non sforziamoci di volerle intendere.

12. Ricordo ora, a proposito del fatto che «non siamo capaci», quello che, come avrete udito, dice la sposa del Cantico dei Cantici: Il re mi ha condotta nella cella del vino; anzi, credo che dica: mi ha introdotta. E non dice che vi sia andata da sé. Ancora, aggiunge che andava di qua e di là in cerca del suo amato. Ritengo che questa orazione sia la cella vinaria dove il Signore intende introdurci, quando e come vuole, ma dove non possiamo entrare da noi, per quanti siano i nostri sforzi. Bisogna che c’introduca Sua Maestà, entrando egli stesso nel centro della nostra anima. Per meglio mostrarci le sue meraviglie, non esige che facciamo altro se non assoggettargli del tutto la nostra volontà, lasciando chiusa la porta delle potenze e dei sensi, che se ne stanno profondamente addormentati. Egli intende entrare nel centro dell’anima senza passare per alcuna porta, come entrò dai suoi discepoli dicendo: Pace a voi, e come uscì dal sepolcro senza rimuovere la pietra. Vedrete in seguito come Sua Maestà vuole che l’anima goda di lui nel centro di se stessa molto più che qui: sarà nell’ultima mansione.

13. Oh, figlie mie, che grandi cose contempleremo, se cercheremo di non veder altro all’infuori della nostra bassezza e miseria e di capire che non siamo degne di essere serve di un così eccelso Signore, le cui meraviglie superano la nostra capacità d’intendere! Sia egli per sempre lodato! Amen.

 

CAPITOLO 2


Prosegue sullo stesso argomento. Chiarisce in cosa consista l’orazione di unione con un appropriato paragone. Parla degli effetti che lascia nell’anima. È un capitolo degno di nota.

 

1. Vi sembrerà che ormai sia detto tutto quello che ha attinenza con questa mansione. Invece manca ancora molto perché, come ho già fatto presente, vi è il più e il meno. Per quanto riguarda l’unione, non credo di saperne dire di più, ma ci sono molte cose da chiarire circa gli effetti che il Signore produce nell’anima da lui favorita di queste grazie, quando essa si dispone a riceverle. Parlerò di alcune di tali grazie e, insieme, dello stato in cui lasciano l’anima. Per farmi capire meglio, voglio servirmi di un paragone adatto a questo scopo, anche perché vedremo come, se è vero che in questa operazione del Signore non possiamo far nulla, possiamo però far molto disponendoci ad ottenere che Sua Maestà ce ne favorisca.

2. Avrete già sentito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui egli solo poteva essere l’autore, e come essa provenga da un seme, simile a un piccolo granello di pepe (che non ho mai visto, lo so unicamente per sentito dire, perciò se in quel che scrivo ci fosse qualche inesattezza, la colpa non è mia). Con il caldo, quando i gelsi cominciano a mettere le foglie, i semi cominciano ad aver vita, perché prima che spuntino le foglie, di cui si devono nutrire, stanno lì come morti. Alimentati dunque dalle foglie del gelso, crescono fino a che, divenuti grandi, vengono posti innanzi ad essi piccoli rami, sui quali con le loro boccucce vanno sfilando la seta traendola da se stessi, e fanno certi bozzoli ben compatti dove si rinchiudono. Lì questi bachi, che sono brutti e grossi, muoiono, e dallo stesso bozzolo viene fuori una farfallina bianca, assai graziosa. Se tutto ciò non si vedesse, ma ci venisse raccontato come cosa di altri tempi, chi potrebbe crederci? Da quali logiche premesse potremmo, infatti, dedurre che un essere così privo di ragione come un verme o un’ape, sia tanto diligente e industrioso nel lavorare a nostro vantaggio, e che il povero piccolo baco perda la vita nel suo lavoro? Anche se non vi dico di più, sorelle, basta questo ad offrirvi per un certo tempo materia di meditazione, potendo voi in ciò considerare le meraviglie e la sapienza del nostro Dio. E che sarebbe se conoscessimo le proprietà di tutte le cose? Non v’è dubbio che ci sia molto utile riflettere su queste meraviglie e rallegrarci di essere le spose di un Re così sapiente e potente!

3. Ritorniamo a quello che stavo dicendo. Questo verme in cui si configura l’anima comincia ad aver vita allorquando, con il calore dello Spirito santo, comincia a giovarsi dell’aiuto generale che Dio concede a tutti noi e a servirsi dei rimedi che egli ha lasciato nella sua Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche: rimedi a cui un’anima, morta per la sua trascuratezza e i suoi peccati e ingolfata in cattive occasioni, può far ricorso. Allora, ricomincia a vivere e si va sostentando con tali rimedi e con buone meditazioni, fino a che sia cresciuta. Ed è appunto questo ciò che importa. Il resto non ha importanza.

4. Quando dunque il verme è cresciuto, come si è detto all’inizio di questo scritto, comincia a filare la seta e a costruire la casa nella quale dovrà morire. Cristo è questa casa: ciò è quanto vorrei qui farvi comprendere. Da qualche parte mi sembra di aver letto o udito che la nostra vita è nascosta in Cristo, o in Dio, che è lo stesso, o che la nostra vita è Cristo. Che il testo dica così o no, poco importa per il mio intento.

5. Osservate ora qui, figlie mie, che cosa possiamo fare con l’aiuto di Dio: Sua Maestà diventi la nostra mansione, fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione. Sembra che voglia dire che possiamo togliere o aggiungere a Dio qualche cosa, dicendo che egli è la nostra mansione e che possiamo fabbricarla noi stessi per alloggiare in essa. Certamente possiamo farlo, non già aggiungendo o togliendo a Dio, ma togliendo o aggiungendo a noi, come fanno quei piccoli vermi. Non avremo, infatti, finito di fare tutto quanto possiamo, che egli unirà il nostro lavoro con la sua grandezza e gli darà così gran valore che sarà egli stesso il premio di quest’opera. E, allo stesso modo in cui è stato lui a sostenere le spese maggiori, vorrà anche unire le nostre piccole pene con le grandi che egli ha sofferto e far sì che siano una cosa sola.

6. Perciò, figlie mie, cominciamo subito questo lavoro e iniziamo a tessere questo piccolo bozzolo, lasciando da parte il nostro amor proprio, la nostra volontà, l’attaccamento alle cose terrene e praticando opere di penitenza, orazione, mortificazione, obbedienza, con tutto il resto che già conoscete. Oh, se facessimo tutto il bene che conosciamo e che, come ci è stato insegnato, dobbiamo fare! Muoia, muoia questo verme, come il baco da seta, terminato il lavoro per cui è stato creato! E vedrete come vedremo Dio e come ci sentiremo avvolte della sua grandezza allo stesso modo di questo piccolo verme nel suo bozzolo! Badate che parlo di vedere Dio, nel modo in cui ho detto che egli si fa sentire in questa forma di unione.

7. Vediamo ora come si trasforma questo piccolo verme, che è lo scopo di tutto quanto ho detto. Esso, quando in quest’orazione è morto a tutte le cose del mondo, si cambia in una farfallina bianca. Oh, grandezza di Dio! Qual è lo stato di un’anima che esce da qui, dopo essere rimasta immersa nella grandezza di Dio e tanto unita a lui solo per un po’, perché, a mio parere, non arriva mai a starvi mezz’ora! Vi dico sinceramente che la stessa anima non si riconosce. Pensate, infatti, alla differenza che passa tra un brutto verme e una bianca farfallina: la stessa differenza passa qui. L’anima ignora come abbia potuto meritare tanto bene – voglio dire da dove le sia potuto venire, perché sa perfettamente di non meritarlo – e sente un così grande desiderio di lodare il Signore che vorrebbe distruggersi e affrontare per lui mille morti. Subito comincia, senza poter fare altrimenti, ad avere l’ansia di sopportare duri patimenti; vivissime sono le sue aspirazioni alla penitenza, alla solitudine, a far sì che tutti conoscano Dio e, di conseguenza, è grande la sua pena nel vederlo offeso. Parlerò in modo più particolare di queste cose nella mansione seguente, perché, se anche la vita e le grazie proprie di questa mansione e della seguente sono quasi le stesse, l’intensità degli effetti che ne derivano è ben diversa. Infatti, come ho già detto, un’anima che Dio ha condotto fin qui, se si sforza di andare avanti, vedrà grandi cose.

8. Oh, c’è proprio da lodare Dio nel vedere l’irrequietezza di questa farfallina che pur non ha mai goduto in tutta la sua vita di maggior pace e riposo! Il fatto è che non sa dove fermarsi e posarsi perché, dopo aver goduto di un tale dono, tutto ciò che vede sulla terra la lascia insoddisfatta, specialmente quando già molte volte Dio le ha fatto gustare questo vino, dal quale quasi ogni volta si traggono nuovi vantaggi. Ormai non dà alcuna importanza a ciò che faceva quand’era verme, che era tessere a poco a poco il bozzolo. Ora le sono nate le ali: come contentarsi, potendo volare, di andare passo passo? Tutto quello che può fare per Dio le sembra poco, in confronto ai suoi desideri. Non le importa neanche ciò che hanno sofferto i santi, sapendo ormai per esperienza come il Signore aiuti un’anima e la trasformi al punto che non sembra più la stessa. Infatti, la debolezza che prima le pareva di avere nei confronti della penitenza, ora è diventata forza. L’attaccamento ai parenti, agli amici, ai beni terreni (che era tale da non essere sufficienti a farlo scomparire né i suoi atti interiori né le sue decisioni, né la sua volontà di distaccarsene, anzi proprio allora le sembrava di attaccarvisi di più), ora è annullato in modo che le pesa essere obbligata a ciò che deve fare per non andare contro il volere di Dio. Tutto la stanca, perché ha sperimentato che il vero riposo non può essere dato dalle creature.

9. Sembra che mi dilunghi troppo, eppure potrei dire molto di più: chi ha ricevuto da Dio questa grazia vedrà infatti che sono breve. Non c’è dunque da meravigliarsi che la nostra farfalletta, sentendosi straniera fra le cose della terra, cerchi di posarsi in qualche altra parte. Ma dove andrà la poverina? Tornare di lì da dove è uscita non può, perché, come si è detto, non è cosa che dipenda da noi, per quanti sforzi possiamo fare; bisogna restare in attesa che Dio si compiaccia di ritornare a favorirci di questa grazia. Oh,, Signore! Quali nuove sofferenze cominciano per quest’anima! Chi l’avrebbe immaginato dopo una grazia così sublime? Alla fin fine, in un nodo o in un altro, c’è sempre da portare una croce finché viviamo e, se qualcuno dicesse che, dopo esser giunto a questo stato, vive sempre fra consolazioni e delizie, io direi a mia volta che non vi è mai pervenuto; che, forse, se è entrato nella mansione precedente, ha goduto solo di qualche diletto spirituale, al quale avranno contribuito la sua naturale debolezza o anche, probabilmente, il demonio, che gli ha dato un po’ di pace per muovergli poi una guerra molto più serrata.

10. Non voglio dire con questo che coloro i quali pervengono a questa mansione non abbiano pace; l’hanno, e molto grande, perché le stesse sofferenze sono qui di tanto pregio e di così buona radice che, sebbene molto gravi, esse stesse generano la pace e la gioia. Proprio dall’insoddisfazione che danno le cose del mondo nasce un desiderio di uscirne, un desiderio tanto penoso, e l’unico sollievo per l’anima sarebbe pensare che Dio vuole che essa viva in quest’esilio. Ma neppure questo pensiero basta, perché l’anima, nonostante tutti i suoi progressi, non è ancora così sottomessa alla volontà di Dio come lo sarà più avanti, anche se non tralascia di confrontarsi con essa, sia pure con grande dolore e con molte lacrime, non potendo fare altro, perché di più non le è concesso. Questa è la sua pena ogni volta che sta in orazione. Forse, in qualche modo deriva da quella pena grandissima che essa ha di vedere Dio offeso e disprezzato in questo mondo e dal pensare alle molte anime che si dannano, sia di eretici, sia di mori. Ma quelle che più la fanno soffrire sono le anime dei cristiani perché, pur sapendo che la misericordia di Dio è così grande che, per quanto essi vivano male, possono sempre emendarsi e salvarsi, teme che se ne dannino molti.

11. Oh, grandezza di Dio! Pochi anni, forse pochi giorni prima, quest’anima non pensava che a se stessa. Ora, chi le ha dato così dolorose preoccupazioni? Pur vivendo molti anni nella meditazione, non riusciremmo a sentirle con la stessa sua intensità. Ma, Dio mio – qualcuno potrà dire –, dunque non sarà sufficiente che io per molti giorni e anni cerchi di riflettere al gran male che è offendere Dio, di pensare che quanti si dannano sono suoi figli e miei fratelli, di considerare i pericoli in cui ci troviamo e quanto sia bene per noi uscire da una così miserabile vita? No, figlie mie, la pena che si sente a causa di tutto ciò non è come quella di cui parlo: la prima potremmo ben averla, con l’aiuto di Dio, meditando molto su quanto si è detto, ma non penetra fin nell’intimo delle viscere come l’altra. Quest’ultima sembra che faccia a pezzi e macini l’anima, senza che essa c’entri per nulla e, a volte, neanche lo voglia. Allora, in cosa consiste? Da dove viene? Ve lo dirò subito.

12. Non avete udito – avendovelo io già detto prima, sebbene non a questo proposito – riguardo alla sposa, che Dio l’ha fatta entrare nella cella vinaria ordinando in lei la carità? Ebbene, lo stesso avviene qui: non appena infatti quest’anima si abbandona ormai nelle sue mani e il suo grande amore la rende così sottomessa che non sa né vuole altro se non che Dio faccia di lei ciò che gli piace (e Dio non farà mai, a quanto credo, tale grazia se non all’anima che già ritiene del tutto sua), la sua volontà è che esca di lì, senza che essa sappia come ciò avvenga, segnata con il suo sigillo. L’anima, realmente, in questo stato, non fa più di quel che fa la cera quando altri le imprime il sigillo: la cera non se lo imprime da sé, è solo disposta a riceverlo. Ciò significa essere molle e, anche ai fini di questa disposizione, non è essa ad ammorbidirsi, ma quel che fa è solo di starsene tranquilla e di assecondare quanto viene fatto. Oh, bontà di Dio, come tutto il nostro bene dev’essere a vostre spese! Chiedete soltanto la nostra volontà e che la cera non opponga resistenza.

13. Vedete dunque, sorelle, ciò che fa qui nostro Signore perché quest’anima si riconosca ormai come sua. Le dà quello che ha, cioè le stesse disposizioni avute da suo Figlio in questa vita. Non può accordarci grazia più grande. Chi più di lui doveva desiderare di uscire da questa vita? Lo ha detto Sua Maestà stesso nell’ultima Cena: Ho desiderato con grande desiderio. Ma come, Signore, non vi si presentò dinanzi agli occhi l’atroce morte che vi attendeva, così dolorosa e terribile? No, voi rispondete, perché il grande amore che ho avuto per le anime e il desiderio della loro salvezza ha superato senza confronto tali pene; e le dure sofferenze che ho patito e che patisco per questo, da quando sto nel mondo, sono tali che al loro confronto le altre non meritano di essere tenute in alcun conto.

14. È ciò su cui ho meditato spesso e, consapevole del tormento che ha sofferto e soffre un’anima che io conosco nel veder offendere nostro Signore, dolore così intollerabile che preferirebbe morire anziché patirlo, pensavo: se un’anima con così poca carità, paragonata a quella di Cristo, che si può dire sia quasi nulla al suo confronto, prova un tormento così insopportabile, quale sarà mai stato il dolore di nostro Signor Gesù Cristo, e che vita sarà stata la sua, essendogli tutto presente e vedendo continuamente le gravi offese che si facevano a suo Padre? Credo, senza ombra di dubbio, che tali sofferenze siano state ben maggiori di quelle della sua sacratissima passione, perché in essa vedeva ormai la fine delle sue sofferenze. Sia questo pensiero, sia la gioia di sapere che la sua morte era la nostra salvezza e quella di mostrare al Padre l’amore che gli portava soffrendo tanto per lui, avranno addolcito i suoi dolori. Così accade a coloro che, spinti dalla forza dell’amore, fanno grandi penitenze, senza quasi sentirle; anzi, essi vorrebbero fare sempre di più e tutto sembra loro poco. Cosa avrà dunque provato Sua Maestà, trovandosi in una così bella occasione per dimostrare a suo Padre con quanta perfezione gli ubbidisse e quanto amasse gli uomini? Oh, che grande gioia soffrire per fare la volontà di Dio! Ma, il vedere continuamente recare tante offese a Sua Maestà e vedere andare tante anime all’inferno ritengo che sia una cosa talmente dura da sopportare che se egli fosse stato soltanto uomo, un giorno di quella pena sarebbe bastato per togliergli non una, ma molte vite.

 

CAPITOLO 3


Prosegue sul medesimo argomento. Parla di un’altra forma di unione che l’anima può raggiungere con l’aiuto di Dio e dice quanto importi a tal fine l’amore del prossimo. È molto utile.

 

1. Torniamo ora alla nostra farfallina e vediamo qualcosa di ciò che Dio le concede in questo stato. Beninteso, l’anima deve cercare di avanzare sempre nel servizio di nostro Signore e nella conoscenza di sé, perché se, paga di ricevere questa grazia e, sentendosi ormai sicura, si lascia andare, deviando dal cammino del cielo, che è l’osservanza dei comandamenti, le accadrà come alla farfalla nata dal baco, che getta il seme perché ne nascano altre, ed essa resta morta per sempre. Dico che getta il seme perché sono convinta che Dio non voglia aver concesso invano una grazia così grande, e che se l’anima non se ne giova per sé, possa giovare ad altri. Infatti, poiché resta con i desideri e le virtù di cui si è parlato, finché persevera nel bene è sempre utile ad altre anime, comunicando loro il suo stesso calore. Anche dopo averlo perduto può rimanerle il desiderio di giovare al prossimo e il piacere di far conoscere le grazie che Dio concede a chi lo ama e lo serve.

2. Conosco una persona alla quale accadeva questo: pur essendo molto colpevole, godeva di far trarre profitto ad altre anime delle grazie che Dio le aveva concesso e di indicare il cammino dell’orazione a quelle che lo ignoravano. Fece così molto, molto bene. In seguito, il Signore tornò a illuminarla. È vero che ancora non aveva avuto gli effetti di cui ho parlato. Ma quanti devono essere quelli che, chiamati dal Signore all’apostolato, resi partecipi come Giuda delle sue comunicazioni ed elevati al regno come Saul, si perdono poi per colpa propria! Da ciò trarremo la conseguenza, sorelle, che per poter acquistare sempre maggiori meriti e per non perderci come costoro, l’unica garanzia possibile è l’obbedienza e il non deviare dalla legge di Dio. Parlo non solo per le anime che ricevono queste grazie, ma per tutte.

3. Mi sembra che questa mansione, nonostante quanto abbia detto, resti un po’ oscura. Siccome l’entrarvi procura grandi vantaggi, sarà bene che non abbiano a perderne la speranza coloro ai quali il Signore non concede favori soprannaturali di tal grado, perché la vera unione si può conseguire molto agevolmente, con l’aiuto di nostro Signore, se ci sforziamo di procurarcela rinunziando alla nostra volontà per attenerci a quella di Dio. Oh, quanti fra noi lo dicono e sembra che non vogliano altra cosa, pronti a morire per questa verità, come credo di aver già detto. Ebbene, io vi dico e ve lo ripeterò molte volte: se fosse veramente così e voi aveste già ricevuto questa grazia del Signore, non ci sarebbe nessuna preoccupazione in voi di giungere o meno a questa unione. Il pregio di tale unione consiste, come dico ora, nel fatto che non si può giungere ad essa senza conformare la nostra volontà a quella di Dio, poiché tale unione non è molto sicura. Oh, che unione desiderabile è mai questa! Felice l’anima che l’ha raggiunta, perché avrà pace in questa e nell’altra vita. Non vi è nulla di ciò che accade in terra che la possa affliggere, a meno che si tratti del pericolo di perdere Dio o di vederlo offeso. Né le malattie, né la povertà, né la morte, tranne quella di coloro che possono essere utili alla Chiesa di Dio, la rattristano. Ha la chiara convinzione che il Signore sa quel che fa meglio di quanto ella desideri.

4. Dovete tener presente che vi sono diversi generi di pene: alcune – come del resto anche certe gioie – sono prodotte spontaneamente dalla natura e anche dalla carità per la compassione dei mali del prossimo, come avvenne a nostro Signore quando risuscitò Lazzaro. Esse non impediscono all’anima di essere unita alla volontà di Dio e nemmeno la turbano con una agitazione violenta, incontrollabile, di lunga durata. Sono pene che passano presto perché, come ho detto a proposito delle gioie dell’orazione, pare che non giungano fin nel fondo dell’anima, ma solo ai nostri sensi e alle potenze. Sono proprie delle mansioni precedenti, mentre non entrano in quella di cui parlerò alla fine. In questa forma di unione non è necessaria la sospensione delle potenze di cui ho parlato, avendo il Signore il potere di arricchire le anime per molte vie e farle giungere a queste mansioni senza la scorciatoia che ho indicato.

5. Ma state bene attente, figlie mie, che il verme deve morire; e ciò costa molto qui, mentre nell’altra unione aiuta molto a morire il vedersi già in una vita completamente nuova. Qui è necessario che, pur restando in questa vita, l’uccidiamo noi. Vi confesso che sarà a prezzo di grandi o grandissime lotte, ma se ne avrà la ricompensa e il premio sarà maggiore se ne uscirete con la vittoria. Che ciò sia possibile non v’è da metterlo in dubbio, purché l’unione con la volontà di Dio sia vera. Questa è l’unione da me desiderata per tutta la vita, quella che chiedo sempre a nostro Signore e che è la più evidente e la più sicura.

6. Ma, poveri noi, quanto saremo in pochi a raggiungerla, anche se a chi si guarda dall’offendere il Signore ed è entrato in religione sembra di aver fatto tutto! Ohimè, restano certi vermi che non si lasciano conoscere finché, come quello che ha roso l’edera di Giona, non abbiano rovinato le virtù, a causa dell’amor proprio, della stima di sé, dei giudizi temerari sugli altri, anche in piccole cose, della mancanza di carità verso il prossimo, non amandolo noi come noi stessi. Pertanto, anche se faticosamente adempiamo i nostri doveri per forza, per non commettere peccato, siamo ben lontane dalle disposizioni necessarie per essere totalmente unite alla volontà di Dio.

7. In che cosa pensate, figlie mie, che consista la volontà di nostro Signore? Nella nostra assoluta perfezione. Ma per arrivare ad essere una cosa sola con lui e con il Padre, come egli stesso ha invocato, guardate quanto ci manca! Vi assicuro che, scrivendo questo, provo molta pena nel vedermi tanto lontana dal traguardo, e tutto per colpa mia. Per raggiungerlo non è necessario che il Signore ci conceda grandi grazie. Basta il dono di averci dato suo Figlio perché ci insegnasse il cammino. Non crediate però che la cosa stia in termini tali che, se muore mio padre o mio fratello, io debba conformarmi alla volontà di Dio tanto da non provarne dispiacere, o che, se sopravvengono infermità e tribolazioni, debba sopportarle con gioia. Può essere una cosa buona, ma a volte è solo frutto di discrezione perché, non potendo porvi rimedio, facciamo di necessità virtù. Quante azioni di questo o di altro genere hanno compiuto i filosofi, perché erano molto sapienti! Qui il Signore non ci chiede che due cose: l’amore di Dio e l’amore del prossimo, che è ciò in cui dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze. Osservando tali precetti con perfezione, facciamo la sua volontà, pertanto saremo unite con lui. Ma quanto siamo lontane, ripeto, dall’adempierli nel modo dovuto a un così gran Dio! Piaccia a Sua Maestà di accordarci la sua grazia per meritare di giungere a questo stato, il che è anche nelle nostre mani, se lo vogliamo.

8. Il segno più certo, a mio parere, dell’osservanza o meno di questi due precetti è vedere se rispettiamo bene quello dell’amore del prossimo. Non possiamo infatti conoscere se amiamo Dio, pur essendoci importanti indizi per capirlo; mentre, se amiamo il prossimo, sì. E siate sicure che quanto più vi vedrete progredite nell’amore del prossimo, tanto più lo sarete anche nell’amore di Dio. Infatti, è così grande quello che Sua Maestà ha per noi che, in ricompensa del nostro amore per il prossimo, farà crescere, servendosi di mille espedienti, quello che noi abbiamo per lui. Di questo non posso dubitare.

9. È per noi molto importante esaminare con grande attenzione come ci comportiamo a questo riguardo perché, se osserviamo il precetto perfettamente, tutto è fatto. Credo che, per la miseria della nostra natura, non arriveremo mai ad avere un perfetto amore del prossimo se non a condizione che nasca dalla radice dell’amor di Dio. Poiché questo ha per noi tanta importanza, sorelle, cerchiamo di esaminare noi stesse fin nelle più piccole cose, senza far caso di certe grandi idee che ci si presentano numerosissime durante l’orazione su tutto ciò che ci sembra di poter intraprendere per il prossimo e per la salvezza di un’anima sola. Se poi, infatti, le opere non sono conformi ai propositi, non c’è ragione di credere che lo faremo. Altrettanto dico dell’umiltà e di tutte le virtù. Sono grandi le astuzie del demonio il quale, per farci credere che possediamo una virtù, mentre non l’abbiamo, metterà sottosopra tutto l’inferno. E ha ragione, perché così ci pregiudica molto. Infatti, queste virtù simulate, avendo tale origine, sono sempre accompagnate da qualche vanagloria, contrariamente a quelle concesse da Dio, che sono esenti così da vanagloria come da superbia.

10. A volte ho piacere nel vedere certe anime che, quando sono in orazione, credono di desiderare, per amore di Dio, di essere umiliate e pubblicamente offese; ma poi, potendolo, nasconderebbero anche una piccola mancanza. Se, per giunta, non avendola commessa, ne fossero accusate, Dio ce ne liberi! Ora, chi non può sopportare queste cose, badi bene a non far conto di ciò che da solo crede di aver stabilito, perché di fatto non è stata la sua una reale determinazione della volontà – che quando c’è davvero è cosa ben diversa – ma un effetto dell’immaginazione, con la quale il demonio opera i suoi assalti e i suoi inganni. Nei confronti delle donne o di gente senza istruzione egli potrà operarne molti per la loro incapacità nel comprendere la differenza che passa fra le potenze e l’immaginazione, e altre infinite cose che accadono nel nostro intimo. Oh, sorelle, come si vede bene chi, fra voi, nutre il vero amore del prossimo e chi, invece, non lo possiede con la dovuta perfezione! Se comprendeste quanto sia importante per noi tale virtù, non vi dedichereste ad altro.

11. Quando vedo anime tutte intente a rendersi conto dell’orazione che hanno, e così concentrate mentre la praticano che, a quanto sembra, non osano muoversi né divergere il pensiero per paura di perdere quel po’ di gusto e di devozione che sentono, capisco quanto poco intendano del cammino per cui si arriva all’unione. Pensano che tutto consista in questo. No, sorelle, no: il Signore vuole opere. Egli vuole, ad esempio, che se tu vedi un’inferma a cui puoi dare qualche sollievo, non ti importi di perdere la tua devozione, ma che tu abbia compassione di lei, che faccia tua la sua sofferenza e, se è necessario, che tu digiuni perché ella abbia da mangiare, non tanto per lei stessa, ma perché sai che tale è la volontà del tuo Signore. Questa è la vera unione con la sua volontà. Ancora: egli vuole che, sentendo lodare molto una persona, te ne rallegri assai più che se lodassero te. Questo in verità è facile perché, quando si è umili, si prova piuttosto pena nel sentirsi lodare. È, inoltre, molto importante rallegrarsi che siano conosciute le virtù delle consorelle e, vedendo qualche loro difetto, soffrirne come se fosse proprio nonché cercare di nasconderlo agli altri.

12. Ho parlato molto di questo argomento già altrove perché sono convinta, sorelle, che se in ciò vi fosse un’incrinatura, saremmo perdute. Piaccia al Signore che non vi sia mai. In tal caso, vi assicuro che non dovete perdere la speranza di ottenere da Sua Maestà l’unione di cui si è parlato. Qualora in ciò vi riconosceste, invece, manchevoli, pur avendo devozioni e diletti tanto che vi sembra di esservi pervenute, e qualche piccola sospensione nell’orazione di quiete (causa, per alcune, di credere subito che tutto sia fatto), state pur certe di non esser giunte ancora all’unione. Chiedete a nostro Signore che vi conceda, con la perfezione, questo amore del prossimo. Lasciate fare a Sua Maestà, che vi darà più di quanto siate capaci di desiderare, se da parte vostra vi sforzerete di fare tutto il possibile per averlo; se rinunzierete alla vostra volontà perché si faccia in tutto quella delle consorelle, anche a scapito del vostro diritto; se dimenticherete il vostro bene per il loro, per quanto possa opporvisi la vostra natura; se procurerete di assumervi ogni fatica, per toglierla alle altre, quando se ne presenti l’occasione. Non crediate che questo non vi debba costare qualcosa e che dobbiate trovarlo bell’e fatto. Considerate quanto è costato al nostro Sposo l’amore che ha nutrito per noi. Egli, per liberarci dalla morte, subì una morte atroce, quella della croce.

 

CAPITOLO 4


Prosegue sul medesimo argomento con maggiori chiarimenti su questo tipo di orazione. Dice quanto importi procedere con attenzione, perché il demonio ricorre a tutta la sua astuzia per far retrocedere l’anima dal cammino intrapreso.

 

1. Credo che desideriate sapere cosa ne sia della nostra farfallina e dove trovi riposo, perché resta inteso che non si ferma né in diletti spirituali né in gioie di questa terra: essa vola più in alto. Tuttavia non posso esaudire il vostro desiderio prima dell’ultima mansione, e ancor là piaccia a Dio che me ne ricordi e abbia tempo di scriverlo! Sono, infatti, passati cinque mesi da quando ho cominciato questo libro e, siccome la mia testa non è in condizioni da permettermi di rileggerlo, credo che ci sia in tutto un gran disordine e forse alcune ripetizioni. Ma, dovendo servire per le mie consorelle, ciò ha poca importanza.

2. Voglio spiegarvi in maniera ancora più chiara cosa sia, a mio parere, questa orazione di unione. Seguendo il mio stile, mi servirò di un paragone. Poi parleremo più a lungo di questa farfallina che non ha sosta (anche se svolge sempre un’utile attività, facendo bene a sé e ad altre anime), perché non trova il suo riposo.

3. Spesso, indubbiamente, avrete sentito dire che Dio celebra lo sposalizio spirituale con le anime. Sia benedetta la sua misericordia per cui egli si umilia tanto! Anche se è un paragone grossolano, non ne trovo un altro che possa spiegare quel che voglio dire, migliore del sacramento del matrimonio. Pur tenendo conto della differenza che presuppone, perché in questa unione di cui parliamo non vi è mai nulla che non sia spirituale (ciò che ha attinenza con il corpo ne rimane ben lungi, e lontano le mille miglia dai diletti che devono provare gli sposi terreni sono le gioie e i diletti spirituali concessi a noi dal Signore), si tratta qui di amore che si unisce all’amore, con operazioni così pure, delicate e soavi che non c’è modo di esprimerle. Eppure il Signore sa farle sentire benissimo.

4. A me sembra che l’unione non giunga ancora ad essere fidanzamento spirituale, ma avviene come quaggiù, quando due devono fidanzarsi: si esamina prima se sono adatti a vivere insieme, se lo desiderino entrambi, e si permette anche che si vedano, perché siano più soddisfatti l’uno dell’altro. Così avviene anche nel nostro caso. Supponiamo che l’accordo sia già preso, che l’anima sia molto ben informata di quanto quell’unione le convenga e sia decisa a fare in tutto la volontà del suo Sposo, non tralasciando nulla di quanto vedrà che gli può essere gradito. Sua Maestà, che conosce la sincerità delle sue disposizioni, contento di lei e volendo che lo conosca meglio, le fa questa grazia di venire – come si dice – a un incontro a vista per unirla a sé. Possiamo chiamarlo un incontro «a vista» perché è molto breve. Lì non si tratta di dare e ricevere, ma soltanto che l’anima veda, in un modo segreto, colui che prenderà per sposo. Per mezzo dei sensi e delle potenze in nessun modo avrebbe potuto percepire in mille anni ciò che qui intende in brevissimo tempo. Lo Sposo, essendo quello che è, con questa sola vista rende l’anima più degna di scambiare con lui la mano, come si dice. Essa, infatti, resta così innamorata che, da parte sua, fa tutto il possibile perché non vada a monte questo divino fidanzamento. Ma se, invece, si lascia andare fino a porre il suo affetto in qualcosa che non sia lui, perde tutto, e la perdita è talmente grande che equivale alla misura delle grazie che egli le va facendo; anzi, è molto più grande di quanto si possa dire.

5. Per questo motivo, anime cristiane che il Signore ha fatto giungere fin qui, vi prego per amor suo di stare bene in guardia e di evitare le occasioni pericolose, perché l’anima, pur trovandosi in questo stato, non è ancora così forte da poterle affrontare, come lo è dopo la celebrazione del fidanzamento, che ha luogo nella mansione seguente. L’incontro, infatti, non è consistito in qualcosa di più di una rapida «vista», come si dice, e il demonio si darà da fare per impegnare la sua battaglia e impedire questo fidanzamento. Dopo, invece, vedendo l’anima completamente sottomessa allo Sposo, non osa tanto perché ne ha paura e sa per esperienza che, se qualche volta ci prova, lui ne esce con grande perdita e l’anima con maggior vantaggio.

6. Eppure debbo dirvi, figlie mie, di aver conosciuto persone già molto avanti nella vita spirituale che, pervenute a questo stato, il demonio, con la sua grande astuzia e le sue insidie, è riuscito a guadagnare a sé. Credo che tutto l’inferno congiuri per vincere perché, come dico spesso, non si tratta della rovina di un’anima sola, ma di moltissime. Egli ne ha ormai esperienza. Se infatti consideriamo il gran numero di anime che, dietro l’esempio di una, Dio attira a sé, c’è davvero da ringraziarlo. E quante migliaia ne hanno convertito i martiri; per esempio, una giovinetta come sant’Orsola! Quante ne avrà perdute il demonio per opera di san Domenico, di san Francesco e di altri fondatori di Ordini, e quante ne perde ora per opera del padre Ignazio, che ha fondato la Compagnia di Gesù! Essi, come appare chiaramente dalla lettura della loro vita, erano tutti favoriti di simili grazie da Dio. Da cosa è venuta la loro virtù trascinatrice se non dagli sforzi che essi hanno compiuto per non perdere, a causa della propria colpa, un così divino fidanzamento? Oh, figlie mie, com’è disposto questo nostro Signore a concederci grazie, ora non meno che allora; anzi, in qualche modo ha più bisogno adesso di anime che le vogliano ricevere, perché oggi sono pochi a preoccuparsi, come allora, del suo onore. Ci amiamo troppo; facciamo troppa attenzione a non perdere nulla dei nostri diritti. Oh, che grande errore! Il Signore, nella sua misericordia, ci illumini perché non si debba cadere in simili tenebre!

7. Mi potreste rivolgere due domande, ovvero essere in dubbio su due cose. La prima: in che modo un’anima così fedele, come si è detto, alla volontà di Dio che non vuole fare in nulla la propria, può essere tratta in inganno? La seconda: per quali vie il demonio può introdursi in voi così pericolosamente da rovinare la vostra anima, voi che siete tanto distaccate dal mondo, frequentate tanto i sacramenti e vivete in compagnia, possiamo dire, degli angeli, giacché, per la bontà del Signore, tutte voi non avete altro desiderio che di servirlo e di riuscirgli gradite in ogni cosa? Nessuna meraviglia, invece, che ciò accada a chi è invischiato nei pericoli del mondo. Certamente avete ragione, e Dio ci ha usato una grande misericordia. Ma quando penso, come ho detto, che Giuda viveva in compagnia degli apostoli, che trattava sempre con Dio stesso e ascoltava le sue parole, mi rendo conto che non c’è sicurezza in questo stato.

8. Rispondendo alla prima obiezione, dico: se quest’anima rimanesse sempre attaccata alla volontà di Dio, evidentemente non si perderebbe. Ma arriva il demonio con le sue grandi astuzie e, sotto colore di bene, la distacca a poco a poco dalla volontà divina in ben piccole cose, destandole interesse per altre che le fa credere non siano cattive, offuscandole man mano l’intelligenza, raffreddandole la volontà e facendole crescere l’amor proprio, finché da una cosa all’altra la va allontanando dal volere di Dio e avvicinando al suo proprio volere. Con questo si risponde anche alla seconda obiezione, perché non esiste clausura tanto stretta dove il demonio non possa introdursi, né deserto così remoto ove rinunzi ad andare. E vi dico anche un’altra cosa: forse il Signore permette tutto ciò per vedere come si comporta quell’anima di cui vuole servirsi per illuminare le altre, perché è preferibile, se dev’essere infedele, che lo sia all’inizio, anziché quando può far danno a molte altre.

9. Il rimedio che a me sembra più sicuro (dopo quello di chiedere sempre a Dio nell’orazione che ci sorregga con la sua mano e di pensare incessantemente che se egli ci lascia, senza dubbio precipiteremo subito nell’abisso, e non confidare mai in noi stesse, perché farlo sarebbe una pazzia) è quello di procedere con particolare cura e attenzione, controllando a che punto siamo circa l’esercizio delle virtù: se andiamo migliorando o peggiorando in qualche cosa, specialmente nell’amore reciproco, nel desiderio di essere considerate ultime fra tutte e nel disbrigo delle cose ordinarie. Se facciamo un esame scrupoloso e preghiamo il Signore di illuminarci, vediamo subito il nostro guadagno o la nostra perdita. Non crediate che Dio, dopo aver elevato un’anima a un così alto grado, se la lasci sfuggire d’un tratto dalle mani senza che il demonio non debba faticare molto per prendersela. Sua Maestà è così sensibile alla sua perdita che le dà mille avvisi interiori di ogni specie; pertanto il pericolo che corre non potrà restarle nascosto.

10. Infine, per concludere, diciamo che bisogna cercar sempre di avanzare e, se non facciamo progressi, averne gran motivo di timore, perché senza alcun dubbio il demonio sta meditando qualche assalto. Non è infatti possibile che, dopo esser pervenuti così in alto, si smetta di avanzare, perché l’amore non è mai ozioso, pertanto arrestarsi sarà un cattivo segno. Se un’anima ha preteso di essere sposa di Dio stesso, se ha già avuto un incontro con Sua Maestà ed è giunta al punto di cui si è parlato, non può mettersi a dormire. Per mostrarvi, inoltre, figlie mie, com’egli tratta le anime che già considera sue spose, cominceremo ora a parlare delle seste mansioni. Vedrete quanto sia poco tutto quello che possiamo patire e fare al suo servizio per disporci a così grandi doni. Può darsi che nostro Signore abbia voluto che mi ordinassero di scrivere queste cose affinché, tenendo gli occhi fissi sul premio e vedendo quanto sia illimitata la sua misericordia, se si degna di comunicarsi e mostrarsi a vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene e, con lo sguardo rivolto alla sua grandezza, corriamo verso di lui, infiammate dal suo amore.

11. Piaccia a Dio che riesca a spiegare qualcosa di un argomento così difficile! Se infatti Sua Maestà e lo Spirito santo non muovono la mia penna, so bene che sarà impossibile. Però, se quanto scrivo non deve essere per voi di alcun profitto, lo supplico di non farmi riuscire a spiegare nulla, non avendo io altro desiderio, come Sua Maestà sa per quello che posso capire di me, che sia lodato il suo nome e che ci sforziamo di servire un Signore, il quale paga in questo modo anche quaggiù, in terra. Da ciò possiamo arguire qualcosa di quanto ci darà in cielo, senza le interruzioni, le sofferenze e i pericoli che s’incontrano in questo mare tempestoso. Se non si corresse il rischio di offenderlo e di perderlo, sarebbe un gran piacere continuare a vivere sino alla fine del mondo, per lavorare in onore di un così gran Dio, nostro sposo e Signore. Piaccia a Sua Maestà che meritiamo di rendergli qualche servizio, senza tutte le manchevolezze che sempre commettiamo anche nelle opere buone.

 

SESTE MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Dimostra come, quando il Signore comincia a concedere maggiori grazie, ci siano maggiori sofferenze. Ne espone alcune e dice come si comportino di fronte ad esse coloro che già stanno in questa mansione. È utile per chi soffre pene interiori.

 

1. Veniamo ora, con l’aiuto dello Spirito santo, a parlare delle seste mansioni, dove l’anima, già ferita dall’amore dello Sposo, cerca con maggior impegno l’opportunità di stare sola e, per quanto le è possibile, tenuto conto del suo stato, di eliminare tutto ciò che può essere di ostacolo alla sua solitudine. La vista dello Sposo è rimasta talmente impressa in essa che tutto il suo desiderio è di tornare a goderne. Ho già detto che in quest’orazione non si vede nulla, nemmeno con l’immaginazione, perché si possa parlare di vista. Uso il termine vista per il paragone a cui ho fatto ricorso. Ormai l’anima è ben decisa a non prendere altro sposo. Ma lo Sposo non bada al suo grande desiderio di veder celebrato il fidanzamento. Egli vuole che lo desideri ancor più intensamente e che le costi qualcosa quel bene più grande di ogni bene. Ora, pur essendo poco tutto quello che si può soffrire di fronte a un così grande guadagno, io vi dico, figlie mie, che l’anima ha bisogno della testimonianza e del pegno di cui già si vede favorita, per riuscire a sopportare le prove che l’attendono. Oh, mio Dio, quali pene interiori ed esteriori l’anima soffre prima di entrare nella settima mansione!

2. In verità, quando alcune volte ci penso, temo che, se si prevedessero, sarebbe assai difficile che la nostra debolezza naturale si determinasse a sopportarle, per quanti beni ci si prospettassero, salvo che non si fosse pervenuti alla settima mansione, dove l’anima non ha più paura di nulla, non essendoci nulla che non sia profondamente decisa ad affrontare per amor di Dio. Ne è causa il fatto dell’essere lì, quasi sempre, in tale unione con Sua Maestà da trarne tutta la forza di cui ha bisogno. Credo che sia opportuno parlarvi di alcune pene che qui si soffrono e di cui ho la certezza assoluta. Forse non tutte le anime saranno condotte per questa strada, anche se dubito molto che vivano del tutto libere da pene terrene quelle che, sia pur ad intervalli, godono realmente dei beni del cielo.

3. Benché non intendessi parlare di ciò, ho pensato che le anime oppresse da tali angustie avranno grande consolazione nel sapere cosa accada a quelle favorite da Dio di simili grazie, perché allora sembra davvero che tutto sia perduto. Non parlerò di tali pene nel loro ordine progressivo, ma come mi si presenteranno alla mente. Voglio cominciare dalle più piccole, che sono effetto di certe mormorazioni, sia delle persone con cui si hanno rapporti, sia di quelle con cui non se ne hanno e delle quali non si sarebbe mai pensato che potessero occuparsi di noi. «Vuol fare la santa», dicono, «esagera nelle pratiche per ingannare il mondo e far apparire spregevoli gli altri che, senza tante cerimonie, sono migliori cristiani di lei». E occorre notare che essa non fa nessuna cerimonia, ma cerca solo di adempiere bene i doveri del suo stato. Coloro che stimava amici si allontanano da essa; anzi proprio essi la mordono con maggior accanimento e sono queste le ferite che dolgono di più. Dicono: «Quell’anima è fuori strada e vive in un grande inganno»; «tutto è opera del demonio»; «le avverrà come alla tale e alla talaltra che si sono perdute»; «dà motivo di screditare la virtù»; «inganna i confessori». E andranno da loro a dirglielo, riferendo esempi di ciò che è accaduto a parecchi che si sono perduti seguendo questa strada. E mille specie di derisioni e di chiacchiere simili.

4. Conosco una persona che, al punto in cui stavano le cose, temette molto di non trovare più chi la confessasse: essendo molte le dicerie che correvano sul suo conto, non è il caso di indugiare a parlarne. Il peggio è che tali mormorazioni non finiscono tanto presto, ma durano tutta la vita, con la continua raccomandazione che gli uni rivolgono agli altri di guardarsi dal trattare simili persone. Mi direte che c’è anche chi ne parla bene. Oh, figlie mie, quanto sono pochi i fautori in confronto ai molti denigratori! Del resto, le lodi sono un altro motivo di angustia, maggiore dei precedenti. L’anima infatti riconosce chiaramente che, se ha qualche bene, le è dato da Dio e non è in alcun modo suo, essendosi vista poco prima assai povera e in preda a grandi peccati. Pertanto, il sentirsi lodare le procura un tormento intollerabile, almeno all’inizio. Dopo, infatti, meno, per alcune ragioni. La prima, perché l’esperienza le mostra chiaramente che gli uomini sono pronti a dir bene come a dir male, così che non fa più conto di una cosa che dell’altra. La seconda, perché è stata più illuminata dal Signore sul fatto che nessun bene è suo, ma dato da Sua Maestà, e come se lo vedesse in una terza persona, dimenticando che si tratta di lei, si rivolge a renderne lode a Dio. La terza, perché, avendo visto alcune anime avvantaggiate dal conoscere le grazie di cui Dio la favorisce, pensa che Sua Maestà abbia permesso che la stimassero buona, mentre non lo è, con lo scopo che ne venisse loro un bene. La quarta, perché tenendo presente, più che il proprio, l’onore e la gloria di Dio, si libera dal timore, frequente nei principianti, che quelle lodi debbano esserle dannose, come ha visto che è stato per alcune persone, e le importa poco di incorrere nel disonore, purché per suo mezzo Dio sia lodato anche una sola volta di più. Dopo, avvenga quel che vuole avvenire.

5. Queste e altre ragioni attenuano la grande pena che tali lodi producono, anche se quasi sempre una qualche pena sussiste, a meno che non vi si presti attenzione né poco né molto. Ma è senza confronto maggior tormento vedersi pubblicamente ritenuti buoni senza motivo, che non essere oggetto di tutto ciò che si è detto prima. Quando l’anima arriva a non preoccuparsene, ancor meno le importerà del resto, anzi ne godrà, e le critiche suoneranno al suo orecchio come una musica assai soave. È, questa, una grande verità: l’anima, anziché lasciarsi abbattere dalle denigrazioni, ne resta fortificata, perché l’esperienza le ha ormai fatto conoscere il grande vantaggio che le viene da esse. Le sembra, pertanto, che chi la perseguita non offenda Dio, ma che Sua Maestà permetta che ciò avvenga per un suo maggior profitto. E siccome tale profitto le appare evidente, prova per le persone da cui è biasimata un affetto particolare, assai tenero, sembrandole che le siano più amiche e le procurino maggiori vantaggi di quelle che dicono bene di lei.

6. Il Signore suole anche mandare gravissime infermità. Questa è una sofferenza ancora più dura, specialmente quando i dolori sono acuti. In certo modo, se hanno particolare intensità, mi sembra costituiscano il maggior tormento che possa esserci sulla terra – intendo dire esteriore –, ne vengano pur quanti si vuole. Ciò, ripeto, se si tratta di dolori molto forti, perché sconvolgono l’interiore e l’esteriore, in modo tale da opprimere l’anima, la quale non sa più cosa fare di sé e, ben volentieri, accetterebbe qualunque rapido martirio, anziché sopportarli, anche se nella fase più acuta non durano molto. Infine, Dio non manda sofferenze maggiori di quelle che si possono sopportare e, in primo luogo, concede il dono della pazienza. Ma ordinariamente invia varie sofferenze molto gravi con malattie di ogni specie.

7. Conosco una persona che da quando il Signore cominciò a farle la grazia di cui ho parlato, cioè da quarant’anni, non può dire, in verità, di essere stata un solo giorno senza avere dolori e senza soffrire in vario modo, sia, ripeto, per mancanza di salute fisica, sia per altre gravi pene. È vero però che era stata assai incline al male, e di fronte al fatto di aver meritato l’inferno, tutto le sembrava poco. Forse altre, che non abbiano offeso tanto nostro Signore, saranno condotte per un diverso cammino. Io sceglierei sempre quello della sofferenza, almeno per imitare nostro Signore Gesù Cristo, anche se non vi fosse altro guadagno; figuriamoci se si pensa ai molti che sempre ci sono! Oh! e che potrei dire poi delle pene interiori? Se si riuscisse a descriverle bene, le altre sembrerebbero piccole; solo che è difficile spiegare in che modo si sentano.

8. Cominciamo dal tormento di imbattersi in un confessore così guardingo e poco sperimentato da non ritenere nulla per sicuro. Teme tutto e dubita di tutto, appena vede cose che non sono ordinarie; specialmente se nell’anima che ne è l’oggetto scopre qualche imperfezione (convinto che debbano essere angeli coloro ai quali Dio concede tali grazie e che sia impossibile averle finché siamo in questo corpo), subito condanna tutto come opera del demonio o effetto di malinconia. Ciò non mi meraviglia. Di malinconia ce n’è tanta nel mondo e il demonio se ne serve per apportare danni che i confessori hanno ben ragione di temere e di stare molto in guardia. Ma la povera anima, che vive nello stesso timore, che ricorre al confessore come a un giudice, ed è da lui condannata, non può evitare di trarne motivo di un così grande tormento e turbamento quale può essere inteso solo da chi ne avrà fatto esperienza. Ecco un altro supplizio che tali anime soffrono, specialmente se sono state inclini al male: pensare che per i loro peccati Dio voglia permettere che siano ingannate. Sebbene siano sicure delle grazie che talvolta Sua Maestà concede loro e non possano credere che provengano da altro spirito se non da quello di Dio, per il fatto che la grazia è cosa che passa presto, mentre il ricordo dei peccati è sempre presente e si vedono piene di difetti – i quali non mancano mai –, subito il loro tormento ricomincia. Quando il confessore le rassicura, si attenua, anche se poi ritorna, ma quando egli lo asseconda aumentando la paura, diventa una pena quasi intollerabile, specialmente se seguita da certe aridità in cui sembra non aver mai avuto né di poter mai avere alcun pensiero di Dio. Udendo parlare di Dio è come se si trattasse di una persona che si è udita nominare molto tempo addietro.

9. Tutto questo non è nulla, se non vi si aggiunge, per l’anima, il timore di non saper informare i confessori e di ingannarli. E, quantunque esaminandosi attentamente non scorga in sé nemmeno un primo moto che tenga loro nascosto, ciò non le giova. L’intelletto è così offuscato da essere incapace di vedere la verità. Crede solo a ciò che l’immaginazione gli presenta (perché allora è lei la padrona) e a tutte le insensatezze che gli suggerisce il demonio, a cui nostro Signore senza dubbio consente di mettere l’anima alla prova e anche di farle credere che è biasimata da Dio. Sono tanti i motivi di lotta, accompagnati da un’angoscia così viva e intollerabile, che io non so a cosa poterla paragonare se non alle pene dell’inferno, perché in questa tempesta non è possibile alcuna consolazione. Se vuole averla dal confessore, sembra che i demoni abbiano fatto ricorso a lui, perché la faccia soffrire di più. Un confessore che aveva in cura un’anima in preda a questo tormento, allorché era passato le diceva (sembrandogli un’angoscia pericolosa, perché risultava da tante cose messe insieme) di avvisarlo quando si trovasse in quello stato, ma era sempre peggio, tanto che egli si convinse di non poterci fare nulla. Se ella prendeva un libro in volgare, le accadeva, pur essendo una persona che sapeva leggere benissimo, di non capire nulla, come se non conoscesse l’alfabeto, perché la sua intelligenza era allora priva di ogni capacità.

10. In conclusione, in questa tempesta non c’è altro rimedio che aspettare la misericordia di Dio il quale, all’improvviso, con una sola sua parola o con qualunque fortuito avvenimento, libera l’anima da ogni angoscia così rapidamente che sembra non ci siano mai state nubi in essa, talmente è piena di sole e del tutto consolata. E, come chi è scampato vittoriosamente da una battaglia pericolosa, rende grazie a nostro Signore che ha combattuto per la sua vittoria, sapendo bene di non essere stato lui a combattere, perché tutte le armi con cui poteva difendersi erano, come gli sembra di aver visto, nelle mani del nemico. Si rende, pertanto, chiaramente conto della sua miseria e di quanto poco possiamo da parte nostra se il Signore ci abbandona.

11. Le pare di non aver più bisogno di riflettere per capire questa verità, perché l’esperienza avutane con il vedersi totalmente incapace le ha fatto conoscere la nostra nullità e il grado della nostra miseria. La grazia infatti (anche se non ne è certo priva, perché durante tutta questa tempesta non offende né offenderebbe mai Dio per nessuna cosa al mondo) è così nascosta nell’anima, che crede di non avere né di avere mai avuto neppure una piccolissima scintilla di amor di Dio: se ha compiuto qualche opera buona o se Sua Maestà le ha elargito qualche dono, ciò le appare tutto un sogno e una fantasia. I peccati, vede chiaramente di averli commessi.

12. Oh, Gesù, che pena lo spettacolo di un’anima così abbandonata. Non le giovano a nulla, come ho detto, tutte le consolazioni della terra! Pertanto non pensate, sorelle, se vi accadrà di trovarvi in questo stato, che i ricchi e quelli che vivono in libertà siano, in tali circostanze, più di voi in grado di rimediare ai loro mali. No, no; a me sembra che avverrebbe loro come avviene ai condannati, il cui tormento, lungi dal poter essere alleviato, sarebbe, anzi, accresciuto dalla vista di tutte le gioie del mondo poste loro innanzi. Così è qui, perché la sofferenza viene dall’alto e i conforti terreni non hanno alcun potere in tale circostanza. Questo nostro grande Iddio vuole che riconosciamo la sua sovranità e la nostra miseria, e ciò ha grande importanza per quello che si dirà più avanti.

13. Che farà dunque questa povera anima nel caso che debba durare a lungo in questo stato? Se prega, infatti, è come se non pregasse – intendo dire che non trova consolazione – perché nulla penetra nel suo intimo e nemmeno comprende lei stessa quello che dice, anche se la preghiera è vocale. Quanto a quella mentale, non è questo assolutamente il momento, non essendovi disposte le potenze, anzi la solitudine le nuoce più che giovarle. Ciò nonostante lo stare con qualcuno e il sentire rivolgersi la parola è per lei un altro tormento. Così, per quanti sforzi faccia, manifesta esteriormente un fastidio e un malumore di cui ci si accorge assai bene. Ma potrà dire quello che prova? No, è qualcosa di indicibile, perché sono angustie e pene spirituali a cui non si sa dare un nome. Il miglior rimedio – non dico per farle scomparire, non trovandone uno per questo, ma per renderle sopportabili – è attendere a opere esteriori di carità e sperare nella misericordia di Dio, che non manca mai a chi confida in lui. Sia egli per sempre benedetto! Amen.

14. Altre sofferenze esteriori causate dal demonio non credo siano troppo frequenti né ugualmente penose, perciò non v’è ragione di parlarne. Per quanto i demoni facciano, esse non giungono, a mio parere, a rendere inabili le potenze né a turbare l’anima al punto di cui ho parlato. Rimane infatti sempre la ragione per pensare che non hanno potere di fare più di quel che il Signore permette loro e, finché non si perde la ragione, tutto è poco di fronte a quanto si è detto.

15. Di altre pene interiori parleremo via via in queste mansioni, trattando dei diversi modi di fare orazione e delle grazie del Signore. Se alcune di queste pene sono anche più dure, quanto a intensità di patimento, delle precedenti, come si vedrà dallo stato in cui lasciano il corpo, non meritano il nome di sofferenze, né è giusto chiamarle così, essendo grazie sublimi di Dio, durante le quali l’anima intende che sono tali e al di sopra di ogni suo merito. La più grande di queste pene si proverà prima di entrare nella settima mansione, con molte altre. Parlerò di alcune, perché di tutte sarà impossibile anche solo dichiararne la natura, a causa della loro origine, diversa da quelle di cui si è parlato, molto più alta delle precedenti. Se delle pene di grado inferiore non ho potuto dire di più, meno ancora potrò dire di queste altre. Il Signore voglia concedermi sempre il suo aiuto, per i meriti di suo Figlio! Amen.

 

CAPITOLO 2


Parla di alcuni modi con cui il Signore risveglia l’anima. Sembra che in essi non ci sia nulla da temere, anche se si tratta di favori molto elevati e di grazie sublimi.

 

1. Sembra quasi che abbiamo abbandonato del tutto la farfallina, e invece no; perché sono queste tribolazioni a farla volare ancora più in alto. Cominciamo dunque ora a parlare di come lo Sposo si comporta con lei e di come, prima d’essere del tutto suo, glielo fa desiderare a lungo, servendosi di mezzi così delicati che la stessa anima non li comprende e nemmeno io credo di riuscire a far capire, pur tentando di spiegarli, se non a chi ne abbia l’esperienza. Sono infatti impulsi che partono dal profondo dell’anima, così delicati e sottili che non so a quale paragone ricorrere per darne un’idea esatta.

2. Tali impulsi differiscono molto da tutto ciò che quaggiù ci possiamo procurare da noi stessi, e anche da quei diletti di cui si è parlato. Spesso, quando si è distratti e neanche ci si ricorda di Dio, Sua Maestà scuote l’anima come una cometa che passi rapidamente, o un tuono. Non si ode alcun rumore, ma l’anima intende perfettamente di essere stata chiamata da Dio. Lo intende così bene che a volte, specialmente all’inizio, trema e geme, perfino, senza aver nulla che le dolga. Sente di essere ferita in modo assai piacevole, ma non riesce a capire come lo sia né chi l’abbia ferita; solo si rende ben conto che è una ferita preziosa e non vorrebbe mai guarirne. Si lamenta con lo Sposo con parole d’amore, anche esteriori, senza potersi frenare; comprende che egli è presente, ma senza manifestarsi in modo da lasciarla godere di lui. È una grande pena, pur se piacevole e dolce, e anche se l’anima volesse sottrarvisi, non potrebbe farlo. Non lo vorrebbe mai perché le procura una gioia ben più grande della deliziosa sospensione, priva di pena, dell’orazione di quiete.

3. Mi sto struggendo, sorelle, per farvi intendere quest’operazione d’amore, ma non so come riuscirci. Sembra infatti una contraddizione che, da una parte, l’Amato faccia conoscere chiaramente all’anima di essere con lei, e dall’altra, la chiami con un segno così sicuro che non vi possono essere dubbi, con un fischio così penetrante perché lo oda, che essa non può non sentirlo. Eppure si direbbe che mentre lo Sposo, il quale risiede nelle settime mansioni, parla in questo modo – non sono però, le sue, parole articolate –, gli abitanti delle altre mansioni, né sensi, né immaginazione, né potenze, osino muoversi. Oh, mio potente Dio, come sono grandi i vostri segreti, e come diverse le cose dello Spirito santo da quanto si può vedere e intendere quaggiù, dove non c’è nulla che possa servire a chiarire questa cosa pur tanto piccola in confronto a quelle meraviglie che voi operate nelle anime!

4. L’effetto che ne risulta è così grande che l’anima si va struggendo di desiderio e non sa cosa chiedere, perché le sembra chiaro di avere con sé il suo Dio. Mi direte: Ma se intende questo, che cosa desidera o di che cosa si affligge? Cosa vuole di più? Non lo so; so che questa pena sembra penetrarla fin nelle viscere e, quando chi la ferisce ne estrae la saetta, le pare proprio che se la trascini dietro con sé, tale è il sentimento d’amore di cui arde. Stavo ora pensando se per caso da questo fuoco del braciere acceso, che è il mio Dio, non si fosse staccata una scintilla e avesse colpito l’anima in modo da farle sentire l’ardore di quel fuoco, ma non essendo tanto forte da consumarla ed essendo così dolce, l’avesse lasciata con quella pena prodottale nel toccarla. Ecco, a mio avviso, il miglior paragone che son riuscita a trovare. Infatti questo dolore piacevole – che non è un dolore – non è sempre uguale. Anche se a volte dura molto, altre finisce subito, a seconda di come il Signore voglia comunicarlo, non essendo cosa che si possa procurare con nessun espediente umano. E anche quando dura un po’, va e viene. In conclusione, non è mai costante, e per questo non finisce mai di bruciare l’anima. Infatti, quando essa sta per accendersi, la scintilla si spegne e l’anima rimane con il desiderio di tornare a patire quel dolore amoroso che la scintilla le produce.

5. Qui non c’è da pensare che si tratti di un effetto della stessa natura o della malinconia e nemmeno di un inganno del demonio o di illusione, perché si vede bene che è un movimento proveniente da dove abita il Signore, che è immutabile. Gli effetti non sono come quelli prodotti dalle altre devozioni, nelle quali il profondo assorbimento causato dal gusto spirituale può far sorgere qualche dubbio. Qui tutti i sensi e le potenze, privi assolutamente di sospensione, vanno considerando che cosa ciò possa essere, senza costituire – a mio giudizio – il minimo intralcio né poi accrescere o togliere quella piacevole pena. Colui al quale il Signore ha fatto un tale dono (e se gliel’ha fatto, leggendo questo scritto lo capirà), gliene renda infinite grazie, perché non deve temere si tratti d’inganno. Tema molto unicamente di mostrarsi ingrato di fronte a un così grande favore, cerchi di sforzarsi di servire Dio e di migliorare in tutto la propria vita, e vedrà dove arriverà e come riceverà doni sempre più grandi. Una persona che aveva ricevuto questa grazia, e l’aveva goduta per alcuni anni, ne era così soddisfatta che solo con essa si sarebbe ritenuta assai ben pagata, anche se avesse servito un buon numero di anni il Signore fra grandi sofferenze.

6. Forse mi chiederete perché ci sia maggiore sicurezza in questo favore che in altri. A mio parere, per le seguenti ragioni. La prima, perché non credo che il demonio possa mai dare una pena così piacevole come questa: potrà dare il piacere e il diletto che sembrano spirituali, ma unire la sofferenza, e una sofferenza così grande, con la tranquillità e la gioia dell’anima non è in suo potere. Tutta la sua potenza è di natura esteriore e le sue pene, quando le dà, non sono mai, a mio giudizio, piacevoli né tranquille, ma inquiete e piene di lotte. La seconda, perché questa piacevole tempesta viene da una regione diversa da quelle su cui egli può spadroneggiare. La terza, per i grandi vantaggi che ne trae l’anima, dei quali i più frequenti sono la risoluzione di patire per Dio, il desiderio di avere molte sofferenze, una ben salda determinazione di starsene lontana dai piaceri e dalle conversazioni del mondo, e altre cose simili.

7. Che non sia effetto d’immaginazione è ben evidente perché, pur con tutti gli sforzi, non si potrà riprodurlo. Ed è cosa tanto notoria che l’illusione è assolutamente impossibile, voglio dire che è impossibile immaginarsi che il favore ci sia quando non c’è, né dubitarne quando c’è. Se restasse qualche dubbio, cioè se si fosse incerti di esserne stati oggetto, si sappia che questi non sono veri impeti, perché quelli veri si fanno sentire così bene come alle orecchie una voce molto forte. Inoltre non può venire dalla malinconia, neanche lontanamente, perché essa non costruisce né fabbrica le sue illusioni se non nell’immaginazione, mentre questa pena procede dall’intimo dell’anima. Posso anche ingannarmi, ma finché qualcuno competente in materia non verrà a darmi altre ragioni, sarò sempre di questo parere. Conosco, ad esempio, una persona che, pur temendo sempre molto di essere in inganno, non poté mai dubitare di questa orazione.

8. Il Signore suole anche servirsi di altri mezzi per scuotere l’anima. All’improvviso, mentre si sta pregando vocalmente, senza pensare a cose interiori, sembra di sentire un interno ardore, come se d’un tratto ci investisse un profumo penetrante che si comunicasse a tutti i sensi. Non dico che sia un profumo o altra cosa di tal genere; ricorro a questo paragone soltanto per far capire che lo Sposo è lì. L’anima, indotta da un dolcissimo desiderio di godere di lui, rimane disposta a compiere grandi atti d’amore e di lode a nostro Signore. L’origine di questa grazia è la medesima della precedente di cui si è parlato, ma qui non c’è nulla che dia pena, neanche gli stessi desideri di godere Iddio sono penosi: ed è il desiderio che l’anima sente più di frequente. Mi sembra che nemmeno a suo riguardo ci sia nulla da temere per alcune delle ragioni già dette, e che bisogna solo cercare di accoglierla con rendimento di grazie.

 

CAPITOLO 3


Parla dello stesso argomento: dice in che modo Dio parla all’anima quando si compiace di farlo, e insegna come bisogna comportarsi in questo caso, senza attenersi al proprio parere. Indica alcuni segni che servono a far conoscere se vi sia o non vi sia inganno. È di grande utilità.

 

1. Dio usa ancora un altro mezzo per risvegliare l’anima e, anche se questa grazia sembra, in certo modo, superiore alle precedenti, può essere soggetta a maggiori pericoli; pertanto mi tratterrò un po’ a parlarne. Consiste in certe parole che egli dice all’anima in vari modi: alcune sembrano venire dall’esterno, altre dall’intimo dell’anima, altre dalla parte superiore di essa, altre così dal di fuori che si odono con le orecchie, perché si direbbero dette con voce articolata. Qualche volta, anzi spesso, possono essere una chimera, specialmente in persone di debole immaginazione o malinconiche, intendo dire di una notevole malinconia.

2. Di queste due categorie di persone non bisogna tener conto, neanche se affermano di vedere, udire e intendere; né bisogna però turbarle dicendo loro che sono vittime del demonio, ma ascoltarle come persone malate. La priora o il confessore, con cui si apriranno, raccomandino loro di non darvi importanza, perché non è questo l’essenziale nel servizio di Dio. Aggiungano che il demonio ne ha ingannate molte per tale via, anche se non è il loro caso, per non affliggerle più di quello che comporti il loro umore. Dicendo invece che si tratta di malinconia, non la si finirebbe più: arriverebbero a giurare di vedere e di udire, convinte che sia proprio così.

3. Tuttavia bisogna tener presente che occorre dispensarle dall’orazione e far di tutto perché non si preoccupino di quel che sentono. Il demonio suole infatti servirsi di queste anime così ammalate; anche se non per nuocere loro, per danneggiarne altre. Ma, siano esse inferme o sane, di queste cose bisogna sempre diffidare, finché non si riesca a capire da quale spirito provengano. Pertanto dico che la cosa migliore da farsi è sempre, all’inizio, cercare di liberarsene, perché se vengono da Dio, l’essere messi alla prova le aiuterà ad andare avanti e a farle crescere. È proprio così, ma bisogna pur evitare di opprimere e turbare troppo l’anima la quale, certamente, qui non può fare nulla.

4. Ritorniamo dunque a ciò che dicevo circa le parole rivolte all’anima. Quale che sia la loro apparente provenienza, esse possono procedere da Dio e anche dal demonio e dall’immaginazione. Indicherò ora, se mi riesce, con l’aiuto del Signore, i segni per distinguerne l’origine e capire quando possono essere pericolose, perché ci sono molte anime, fra gente di orazione, che le sentono, e vorrei, sorelle, che voi non pensaste di far male, sia a non prestarvi fede, sia a credervi. Quando riguardano soltanto voi e sono parole di consolazione o di consiglio circa i vostri difetti, le dica pur chi vuole o siano pur effetto di fantasia, ciò importa poco. Vi prevengo di una cosa: non pensate, anche se provengono da Dio, di esser per questo migliori delle altre. Non ne disse, forse, egli molte ai farisei? Tutto sta, quindi, nel modo di trarne profitto. Inoltre, non badate a quelle che non sono del tutto conformi alla sacra Scrittura, più che se le udiste dallo stesso demonio, perché anche se provengono dalla vostra debole immaginazione, devono ritenersi una tentazione contro la fede; pertanto occorre opporvi sempre resistenza perché vadano cessando. E cesseranno di certo, avendo in sé poca forza.

5. Rifacendomi, dunque, al punto di partenza, il fatto che le parole provengano dall’intimo, dalla parte superiore dell’anima o dall’esterno, non ha importanza ai fini di riconoscerle come parole di Dio. I segni più sicuri che di ciò si possano avere, secondo me, sono i seguenti: il primo e il più certo è la sovrana potenza che hanno in sé, perché sono insieme parole ed opere. Mi spiego meglio. Un’anima è in preda a tutte le tribolazioni e inquietudini interiori di cui si è parlato, con l’intelletto fra le tenebre e piena di aridità. Allora, basta una sola di queste parole, come ad esempio: «Non affliggerti», che essa riacquista pace e serenità. Si sente inondata di luce, una volta scomparsa totalmente quell’afflizione da cui le sembrava che il mondo intero e tutti i dotti riuniti insieme ad esporle motivi intesi a ridarle sicurezza non potessero riuscire a liberarla, per quanti sforzi facessero. Oppure, è afflitta e tutta piena di paura perché il suo confessore e altre persone le hanno detto che è in preda allo spirito del demonio, ma con questa sola parola: «Sono io, non temere», la paura scompare del tutto e resta molto consolata, sembrandole che nessuno riuscirà più a farle credere il contrario. Un’altra volta è molto in ansia per alcuni affari importanti che non sa come andranno a finire. Le viene detto di tranquillizzarsi perché tutto andrà bene e ne acquista subito la certezza, liberandosi dall’ansia. E così avviene in molti altri casi.

6. Il secondo segno è che l’anima rimane in una grande quiete, in un raccoglimento devoto e pacifico e nella disposizione migliore per lodare Dio. Oh, Signore! Se una sola parola trasmessa con un vostro paggio (perché, a quanto si dice, almeno in questa mansione, le parole non sono pronunziate dal Signore stesso, ma da qualche angelo) ha tanta forza, quale forza lascerete nell’anima, una volta che essa sia unita a voi e voi ad essa per amore?

7. Il terzo segno è che queste parole non si dimenticano nemmeno dopo moltissimo tempo e alcune mai, come avviene, invece, di quelle che si odono quaggiù. Dico di quelle che udiamo dagli uomini, le quali, anche se dette da persone di grande serietà e cultura, non restano scolpite nella memoria come queste, e nemmeno vi si presta altrettanta fede se riguardano avvenimenti futuri. Queste, infatti, lasciano una certezza assoluta, anche se a volte, per cose all’apparenza impossibili, non si può evitare il dubbio circa la loro realizzazione e l’intelletto vacilli un po’. L’anima perdura in una sicurezza che non deflette, benché le sembri che tutto vada al contrario di quanto ha udito. Passano anni e non cessa di pensare che Dio ricorrerà ad altri mezzi che gli uomini non conoscono, ma che, alla fine, le sue parole si adempiranno; infatti, avviene così. Nondimeno, ripeto, quando vede che le cose prendono tutt’altro andamento, continua a soffrirne perché, trattandosi di parole che ha udite da molto tempo ed essendo passati gli effetti e la certezza di allora sull’origine divina di esse, le sorge il dubbio che siano state opera del demonio o frutto della sua immaginazione. Nessun dubbio, però, le sorge al momento, e sarebbe pronta a morire per attestare la verità di quelle parole. Ma, ripeto, il demonio, con tutte queste fantasticherie, che certo suscita per angustiare e intimorire l’anima, specialmente se dall’avverarsi delle parole udite deve dipendere il bene di molte anime o se si tratta di opere dirette a maggior lode e servizio di Dio e nelle quali s’incontrano gravi difficoltà, quali tristi effetti non produrrà? Per lo meno indebolirà la fede, ed è un grande male non credere che Dio abbia la potenza di compiere cose superiori alla nostra intelligenza.

8. Nonostante tutte queste lotte, anche se c’è chi dice alla persona, di cui offriamo l’esempio, che si tratta di stramberie (intendo riferirmi ai confessori con i quali se ne parla) e nonostante tutti gli avvenimenti contrari che fanno ritenere impossibile l’adempimento delle parole divine, resta – non so dove – una scintilla così viva di certezza che, anche se tutte le altre speranze fossero morte, l’anima, pur volendolo, non potrebbe spegnerla. Alla fine, come ho detto, si adempie la parola del Signore e l’anima ne resta così felice e soddisfatta che non vorrebbe far altro se non lodare di continuo Sua Maestà. Prova ancora più gioia nel vedere adempiuto quello che le era stato detto che per la riuscita dell’opera stessa, anche se essa fosse per lei di molta importanza.

9. Non so perché l’anima desideri tanto che queste parole risultino veritiere. Credo che neanche se essa dovesse essere considerata bugiarda ne soffrirebbe in ugual misura. Come potrebbe riferire qualcosa se non quanto le viene detto? Molte volte una certa persona ricordava, in simile caso, il profeta Giona, quando temeva che Ninive non venisse distrutta. Infine, siccome si tratta dello spirito di Dio, è giusto che l’anima gli serbi questa fedeltà di desiderare che non sia ritenuto menzognero, egli che è la somma verità. Pertanto, è grande la sua gioia quando, dopo mille tentativi di eludere le contrarietà, e fra difficoltà di ogni genere, vede adempiersi quanto le è stato detto. Anche se l’anima dovesse subirne grandi tribolazioni, preferisce sopportare qualunque sofferenza anziché vedere inadempiute le parole che ritiene fermamente dette dal Signore. Forse non tutte le anime avranno questa debolezza, se può chiamarsi tale, perché, per conto mio, non oso condannarla come alcunché di cattivo.

10. Se le parole provengono dall’immaginazione, non c’è nessuno di questi segni, né certezza né pace né gioia interiore. Tuttavia potrebbe accadere – e io stessa so di alcune persone alle quali è accaduto mentre erano molto assorte nell’orazione di quiete e nel sonno spirituale – che alcune anime sono così deboli di temperamento o d’immaginazione che, sia a causa di ciò, sia non so per quale altra ragione, trovandosi in questo grande raccoglimento, escono talmente fuori di sé, da non sentire più nulla all’esterno. I loro sensi sono così assopiti che esse sembrano prese dal sonno, e forse sono proprio addormentate. Allora, come in un sogno, sembra loro di udire parole e di vedere cose che pensano venire da Dio ma che, alla fine, lasciano gli effetti di un sogno. Potrebbe anche accadere, come a volte avviene, che, chiedendo qualcosa a nostro Signore con grande devozione, sembri loro che egli risponda promettendo quanto desiderano. Ma chi avrà grande esperienza delle parole di Dio, non potrà essere tratto in inganno – a mio giudizio – dagli effetti dell’immaginazione.

11. C’è più da temere che siano del demonio. Ma quando sono accompagnate dai segni di cui ho parlato, si può essere certi che provengano da Dio. Tuttavia, quando si tratta di cosa importante e si deve agire nell’interesse proprio o di terze persone, non si deve mai fare nulla, o anche solo pensare di fare alcunché, senza il parere di un confessore dotto, prudente e vero servo di Dio, quand’anche, sentendole ripetutamente, sembri chiaro che le parole vengono da Dio. Questo, infatti, è il volere di Sua Maestà e, così facendo, si eseguono i suoi ordini, avendoci egli detto di considerare il confessore come lui stesso dove non si può dubitare che siano parole sue. Esse ci valgano d’incoraggiamento nelle difficoltà: nostro Signore, quando lo vorrà, disporrà il confessore e lo porterà a credere che si tratta del suo spirito. In caso contrario, non ci sarà più alcun obbligo. Ma, agire in modo diverso da quanto si è detto, e attenersi in questa circostanza al proprio parere, credo sia molto pericoloso. Pertanto, sorelle, vi raccomando da parte di nostro Signore di far sì che ciò non accada mai.

12. C’è un altro modo con cui il Signore parla all’anima, e a me sembra un segno sicurissimo della sua opera: è la visione intellettuale, di cui in seguito dirò come avvenga. Ha luogo così nell’intimo dell’anima, e sembra di udire così chiaramente e, al tempo stesso, segretamente, con l’udito spirituale, pronunciare proprio dal Signore quelle parole, che lo stesso modo di intendere, insieme con ciò che la visione opera, rassicura e dà la certezza che il demonio non può intromettersi minimamente. I grandi effetti che lascia sono, appunto, motivo di crederlo; se non altro c’è la sicurezza che con un po’ di avvertenza si può sempre avere per le seguenti ragioni. La prima, perché c’è una evidente differenza circa la chiarezza del linguaggio: nelle parole di Dio essa è tale che ci si rende conto anche di una sola sillaba mancante e si ha il ricordo preciso del diverso modo in cui tale parole ci sono state dette, anche se il senso sia sempre lo stesso, mentre se sono frutto d’immaginazione, il linguaggio non sarà così chiaro né le parole così distinte, ma come mezzo sognate.

13. La seconda, perché spesso non si pensava nemmeno a ciò cui le parole si riferiscono – intendo dire che vengono all’improvviso, e volte anche mentre si sta in conversazione – e, benché assai di frequente rispondano ai pensieri che a un tratto ci passano allora per la mente o a quello che si è pensato prima, spesso riguardano cose mai pensate né credute possibili. Pertanto, non potrebbe fabbricarle l’immaginazione per ingannare l’anima, facendole credere ciò che non ha mai desiderato né voluto né conosciuto.

14. La terza, perché nelle parole di Dio l’anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell’immaginazione è come una persona che va componendo a poco a poco ciò che ella stessa desidera udire.

15. La quarta, perché le parole sono assai diverse, e una sola di quelle divine fa capire molto più di quello che il nostro intelletto non potrebbe mettere insieme in così breve spazio di tempo.

16. La quinta, perché insieme con le parole, spesso, in un modo che io non saprei spiegare, si comprende assai più di quello che esse significano, benché senza suoni. Circa questo modo di intendere ne parlerò più a lungo altrove, perché si tratta di una cosa molto delicata che serve a far lodare nostro Signore. Intorno a tali modi d’intendere e alle loro differenze alcune persone sono rimaste assai perplesse (specialmente una, che ne ha sofferto molto, e così ce ne saranno altre), non sapendo che cosa pensarne. So che quella persona ha esaminato la cosa con molta attenzione, avendole il Signore fatto varie volte questa grazia, e il suo maggior dubbio, all’inizio, era che si trattasse di una sua fantasia, perché quando procedono dal demonio si arriva a capirlo più presto, anche se sono tante le sue sottigliezze che sa ben mascherarsi in spirito di luce. Questo potrà farlo, sì, a mio parere, nei riguardi delle parole, dicendole ben chiare, perché non resti alcun dubbio che sono, ad udirsi, come quelle dello spirito di verità; ma non potrà contraffarne gli effetti di cui si è parlato, né lasciare nell’anima quella pace né quella luce; al contrario, solo inquietudine e turbamento. Riuscirà peraltro a far poco o nessun danno, se l’anima è umile e si regola come ho detto, cioè non assumendo da sé alcuna iniziativa, quali che siano le parole che ode.

17. Quando crede trattarsi di favori e doni del Signore, consideri attentamente se per essi si ritenga migliore, e se non resta tanto più confusa quanto più tenere sono le parole che sente, creda pure che non sono di origine divina. Non c’è dubbio infatti che, quando lo sono, più il favore è grande, più l’anima che lo riceve si ritiene dappoco, più si ricorda dei suoi peccati, più dimentica il suo progresso spirituale e più applica la sua volontà e la sua memoria a voler solo l’onore di Dio, senza preoccuparsi del suo profitto, con maggior timore di allontanarsi, sia pur minimamente, dalla sua volontà, e con maggior convinzione di non aver mai meritato quella grazia, ma l’inferno. Se tutti i favori e i doni dell’orazione producono questi effetti, l’anima proceda senza paura, confidando nella misericordia del Signore che è fedele e non permetterà al demonio di ingannarla. Ciò nonostante, è bene procedere con timore.

18. Può darsi che coloro i quali non sono condotti dal Signore per questa strada ritengano che queste anime potrebbero non ascoltare le parole loro rivolte e, se sono interiori, distrarsi modo da non percepirle. Così facendo sarebbero libere da ogni pericolo. A ciò rispondo che è impossibile. Non parlo delle parole dell’immaginazione a cui si può opporre un rimedio, non assecondando i nostri desideri e non badando ad esse. Ma per le parole di Dio non c’è nessun rimedio perché lo stesso spirito che parla fa arrestare in modo tale ogni altro pensiero e fa stare attenti a ciò che dice che sarebbe, in certo senso, più facile, mi sembra, e credo sia proprio così, a una persona di finissimo udito non sentirne un’altra che le parlasse molto forte. Essa potrebbe, infatti, deviare l’attenzione e applicare il pensiero e l’intelligenza ad altre cose. A questo riguardo, però, non è possibile, perché non si può assolutamente né tapparsi le orecchie né pensare ad altro fuorché a quanto ci viene detto. Solo colui che, pregato, mi pare, da Giosuè, ha potuto fermare il sole, può arrestare le nostre potenze e tutto il nostro mondo interiore in modo che l’anima vede bene che un altro Signore ben più potente governa quel castello, e ciò le ispira grande devozione e umiltà. Così, non c’è alcun mezzo per evitare di ascoltarlo. Ci conceda la divina Maestà la grazia di attendere solo a compiacerlo dimenticandoci, come ho detto, di noi stessi! Amen. Piaccia al Signore che sia riuscita a spiegare queste cose com’era nella mia intenzione e che ciò serva di qualche insegnamento per chi riceverà tale grazia!

 

CAPITOLO 4


Si riferisce al momento in cui Dio sospende l’anima nell’orazione mediante il rapimento, l’estasi o il trasporto d’amore, che per me sono una cosa sola. Mostra altresì come sia necessario un grande coraggio per ricevere da Sua Maestà grazie sublimi.

 

1. Tra le sofferenze e le altre pene descritte, quale riposo può avere la povera farfallina? Tutto contribuisce a farle desiderare maggiormente di godere dello Sposo. Sua Maestà, da buon conoscitore qual è della nostra debolezza, la va abilitando con questi e con molti altri espedienti ad avere il coraggio di unirsi a così grande Signore e prenderlo per Sposo.

2. Forse riderete delle mie parole, che vi sembreranno sciocchezze, perché ciascuna di voi reputa, probabilmente che non vi sia bisogno di coraggio e che non possa esserci nessuna donna, neanche della più bassa condizione, che non ne abbia abbastanza per sposare il re. Credo anch’io che sia così per quanto riguarda un re della terra, ma per il Re del cielo vi assicuro che ce ne vuole di più di quel che pensate, perché la nostra natura è molto timida e vile ai fini di un bene così grande. Sono convinta: se Dio non ci infondesse coraggio, sarebbe una cosa impossibile, malgrado la considerazione di tutti i vantaggi che se ne hanno. Ora vedrete ciò che fa Sua Maestà per concludere questo fidanzamento. A me sembra attuarsi quando favorisce l’anima di rapimenti, con i quali la trae fuori dei sensi, perché se, rimanendone padrona, si vedesse così vicina a questa grande Maestà, forse non le sarebbe possibile restare in vita. S’intende che ci riferiamo a rapimenti che siano tali, e non a quelle debolezze a cui noi donne siamo soggette in questa vita e che ci fanno apparire tutto come rapimento o estasi. Infatti, credo di averlo detto, ci sono complessioni così deboli che si sentono morire per un’orazione di quiete. Voglio qui esporre alcune forme di rapimenti che ho conosciuto (avendone trattato con molte persone spirituali), anche se non so se riuscirò a farlo come in altro luogo in cui ne ho scritto, insieme ad altre cose che qui avvengono. Mi sembra, per vari motivi, che non sia inopportuno tornare a parlarne, non foss’altro per riunire qui tutto ciò che riguarda le mansioni.

3. Una prima forma di rapimento si ha quando l’anima, pur non essendo in orazione, è colpita da una parola di Dio che le ritorna in mente o che ode: sembra allora che Sua Maestà, mosso a compassione dal fatto di averla vista soffrire tanto tempo per il desiderio di lui, ravvivi nel suo intimo la scintilla di cui abbiamo già parlato, in modo che essa, bruciatasi tutta, risorge a nuova vita come l’araba fenice e, si può piamente credere, perdonata delle sue colpe. Così purificata, egli la unisce a sé, senza che anche in questa grazia alcuno intenda nulla, tranne loro due. Anzi, nemmeno la stessa anima lo intende in modo da poterlo poi dire, benché conservi l’uso delle sue facoltà interiori. Non si trova, infatti, nello stato di chi è colpito da uno svenimento o da un parossismo, che non percepisce nessuna cosa interiore né esteriore.

4. Ciò che a me sembra chiaro è che l’anima non è mai stata così sveglia per le cose di Dio né con tanta luce e conoscenza di Sua Maestà. Sembrerà impossibile perché, se le potenze, e così anche i sensi, sono talmente assorte da poterci far dire che sono morte, come si può spiegare che l’anima comprende tale segreto? Io non lo so, e forse non lo sa nessuna creatura, ma solo il Creatore, com’è di molte altre cose che avvengono in questo stato, intendo dire in queste due ultime mansioni, le quali si potrebbero unire benissimo, non essendovi fra l’una e l’altra porta chiusa. Ma, siccome nell’ultima ci sono cose che non vengono svelate a chi non vi è ancora pervenuto, mi è sembrato bene dividerle.

5. Quando il Signore crede opportuno, mentre l’anima è in questa sospensione, scoprirle alcuni segreti come, ad esempio, certe cose del cielo, e le concede visioni immaginarie, essa poi sa ben dirlo, perché tutto le resta così impresso nella memoria che non lo dimentica mai più. Ma, quando si tratta di visioni intellettuali, non può neanche farne cenno. In quei momenti, infatti, alcune devono essere così elevate che, per chi vive ancora di questa vita, non è conveniente avere di esse tale conoscenza da poterne parlare. Tuttavia, una volta tornata padrona dei propri sensi, con il loro aiuto l’anima è in grado di rivelare molte di queste visioni intellettuali. Può darsi che qualcuna fra voi non sappia ancora che cosa sia una visione, specialmente intellettuale. Ne parlerò a suo tempo, avendomelo comandato chi ha l’autorità di farlo, e anche se vi sembra fuori luogo, forse per alcune anime sarà utile.

6. Ma voi mi direte: Se, dopo, non resterà memoria di tali grazie così sublimi con cui il Signore favorisce qui l’anima, quale profitto può essa trarne? Oh, figlie mie! è così grande che non si riesce a darne una idea adeguata. Non si sanno esprimere, è vero, ma restano ben impresse nella parte più intima dell’anima e non si possono mai dimenticare. Ma, se non si accompagnano ad immagini e le potenze non le intendono, come si possono ricordare? Non so spiegarmi neanche questo, ma so che certe verità riguardanti la grandezza di Dio restano così scolpite nell’anima che, quand’anche non ci fosse la fede a dirle chi egli sia e ad imporle di riconoscerlo per suo Dio, l’adorerebbe come tale fin da quel momento, come fece Giacobbe quando vide la scala. Con la visione dovette intendere altri segreti che poi non seppe riferire. Ma, se avesse visto soltanto una scala sulla quale scendevano e salivano gli angeli, non avrebbe inteso né così grandi misteri, né avrebbe avuto una maggior luce interiore.

7. Non so se dico il giusto parlando di ciò perché, se pur ne ho sentito riferire, non sono certa di ricordarmene bene. Nemmeno Mosè seppe riferire tutto quello che vide nel roveto, ma solo quello che Dio volle che dicesse. Peraltro, se il Signore non avesse mostrato alla sua anima certi segreti con tale certezza da fargli vedere e credere che egli era Dio, non avrebbe affrontato tante e tanto gravi tribolazioni. Egli dovette intendere così grandi cose fra le spine di quel roveto da trarne coraggio per fare quello che fece in favore del popolo d’Israele. Pertanto, sorelle, non dobbiamo affannarci per riuscire a penetrare i segreti di Dio. Ma, così come crediamo che egli è onnipotente, dobbiamo, evidentemente, credere che vermiciattoli di tanto scarsa capacità quali noi siamo, non possono intendere le sue magnificenze. Rendiamogli grandi lodi, perché si compiace di farcene intendere alcune.

8. Vorrei riuscire a trovare un paragone per cercare di far capire qualcosa di ciò che vado dicendo. Credo, però, che non ve ne sia nessuno idoneo. Tuttavia diciamo questo: supponiamo di entrare in una di quelle sale che sono nei palazzi dei re o dei gran signori e che si chiamano – credo – camarin, dove si tiene una quantità di cristalli di vario genere, di terrecotte e molti altri oggetti, disposti in tal modo che si vedono quasi tutti entrando. Una volta io fui condotta in una di queste sale in casa della duchessa d’Alba, dove, trovandomi di passaggio, il rispetto dell’obbedienza dovuta ai superiori m’impose di fermarmi, poiché ella stessa lo aveva chiesto con insistenza. Appena entrata, rimasi sbigottita, chiedendomi, poi, quale utilità potesse venire da quella baraonda di cose. Mi sembrò che la vista di tanta varietà di oggetti potesse servire a lodare il Signore, e ora mi fa piacere costatare come, in realtà, mi sia utile per spiegare l’argomento di cui tratto. Pur essendomi fermata lì un certo tempo, era tanto quel che c’era da vedere, che subito dimenticai ogni cosa, al punto che di nessuno di quegli oggetti mi ricordai più che se non li avessi mai visti, né saprei dire come fossero fatti. Così qui, quando l’anima è divenuta una cosa sola con Dio e si trova in quella mansione del cielo empireo, che dobbiamo pur avere dentro di noi (perché è chiaro che se Dio vi risiede, dev’esserci nel nostro intimo qualcuna di queste mansioni); sebbene durante l’estasi non sempre il Signore vuole che l’anima scopra tali segreti (essendo così assorta nel godere di lui, che le basta tanto bene), a volte, però, egli si compiace anche di farla risvegliare dalla sospensione, affinché veda rapidamente ciò che vi è in quella mansione. Pertanto, ritornata in sé, essa resta con l’immagine delle meraviglie vedute, ma non può descriverne alcuna, né la sua natura può arrivare più in là di ciò che Dio ha voluto che veda in modo soprannaturale.

9. Ho detto che si è trattato di vedere: è, quindi, visione immaginaria? No, non voglio intendere questo, perché non di questo ora mi occupo, ma di visione intellettuale; siccome, però, non sono colta, la mia ignoranza fa sì che io non riesca a spiegarmi. Ciò che, infatti, ho detto fin qui, se va bene, capisco chiaramente di non essere stata io a dirlo. Sono convinta che se a volte l’anima, nei rapimenti di cui Dio la favorisce, non intende tali segreti, non si tratta di rapimenti, ma di qualche debolezza naturale che possono avere le persone di gracile complessione, come sono le donne, le quali, non appena la forza dello spirito supera la loro capacità, restano in una specie di assorbimento, come mi sembra di aver detto a proposito dell’orazione di quiete. Queste sospensioni non hanno nulla a che vedere con i rapimenti, perché in essi, credetemi, Dio rapisce a sé tutta l’anima e le va mostrando, come a sua propria cosa e ormai sua sposa, una piccola parte del regno che si è guadagnata per essere tale. Anche se si tratta di una piccola parte, è sempre molto quello che c’è in un Dio così grande. Ed egli non vuole essere disturbato da nulla, né da potenze né da sensi, ragion per cui subito ordina che si chiudano le porte di tutte queste mansioni, lasciando aperta solo quella in cui sta lui, perché vi possiamo entrare. Sia benedetta tanta misericordia! Saranno ben a ragione maledetti colo che non vorranno giovarsene, perdendo così questo nostro Signore.

10. Oh, sorelle mie, non è nulla quello che abbiamo lasciato né quanto facciamo o possiamo fare per un Dio che vuole comunicarsi così a un verme della terra! E se abbiamo speranza di godere di un tal bene anche in questa vita, che aspettiamo? In che ci attardiamo? Cosa può trattenerci, sia pur un momento, dal cercare questo nostro Signore, come faceva la sposa per i quartieri e le piazze? Oh, che beffa è tutto quello che il mondo ci offre, se non ci aiuta ad arrivare a questo, dovessero pur durare per sempre le sue dolcezze, le sue ricchezze, i suoi godimenti, e fossero pur tanti quanti è possibile immaginarne, giacché non sono altro che una nauseante immondizia, paragonati a questi tesori che si godranno senza fine! E anch’essi non sono nulla in confronto alla felicità di possedere colui che è il Signore di tutti i tesori del cielo e della terra.

11. Oh, cecità umana! Fino a quando, fino a quando i nostri occhi resteranno offuscati da questa terra? Quantunque fra noi essa non sembri tanta da accecarci del tutto, vedo certe pagliuzze, certe pietruzze che, se le lasciamo aumentare, saranno sufficienti a danneggiarci molto. Almeno, sorelle, per amore di Dio, serviamoci di questi difetti per riconoscere la nostra miseria ed averne miglior vista, come dal fango venne la vista al cieco, guarito dal nostro Sposo. Vedendoci tanto imperfette, aumentiamo le nostre preghiere perché egli tragga dalle nostre miserie il bene, e perché si accontenti Sua Maestà in tutto.

12. Ho divagato molto senza accorgermene. Perdonatemi, sorelle, e credete che, giunta a queste grandezze di Dio – intendi dire, a parlare di esse –, non posso fare a meno di lamentarmi molto nel vedere ciò che perdiamo per nostra colpa, perché sono cose, è vero, che il Signore concede a chi vuole, ma se noi lo amassimo come egli ci ama, le concederebbe a tutti. Non desidera altro che di avere a chi dare, non riducendosi, per questo, le sue ricchezze.

13. Ritorniamo dunque a quello che dicevo. Lo Sposo comanda di chiudere le porte delle mansioni, e anche quelle del castello e del muro di cinta. Appena, infatti, l’anima viene rapita, le va via il respiro in modo che se, a volte, gli altri sensi continuano a funzionare ancora per un po’, non può assolutamente parlare. Altre volte, invece, si perdono subito tutti: il corpo e le mani si raffreddano, al punto che si ha l’impressione di non avere più anima e non si sa nemmeno, qualche volta, se si respiri. Ciò dura per poco tempo, intendo dire senza interruzione, perché, diminuendo un po’ questa grande sospensione, sembra che il corpo torni alquanto in se stesso e riprenda fiato, per tornare a morire e a dare maggior vita all’anima. Ciò nonostante, questa grande estasi non si protrae molto.

14. Tuttavia accade, anche se è finita, che la volontà resti così assorta e l’intelletto così fuori di sé per molti giorni, che sembra non sia capace di attendere se non a ciò che può incitare la volontà ad amare. Per questo motivo, essa è molto sveglia, mentre è profondamente addormentata per quanto riguarda la tendenza ad attaccarsi a qualunque creatura.

15. Oh, quando l’anima ritorna del tutto in sé, come rimane confusa e quali immensi desideri prova di dedicarsi a Dio, in qualunque modo egli voglia servirsi di essa! Se dalle precedenti orazioni restano gli effetti di cui si è parlato, che sarà quando si è ricevuta una grazia così grande come questa? L’anima vorrebbe avere mille vite per impiegarle tutte nel servizio di Dio, e che tutte le cose della terra fossero altrettante lingue che lo lodassero a causa di essa. Ha un’ansia vivissima di penitenza, ma non le costa molto praticarla, perché la forza dell’amore le impedisce di sentirla come tale; vede chiaramente che non era poi un grande sforzo per i martiri sopportare i loro tormenti, essendo tutto facile con un tale aiuto da parte di nostro Signore. Pertanto le anime così favorite si lamentano con Sua Maestà quando non si offre loro motivo di sofferenza.

16. Se questa grazia viene concessa in segreto, l’anima la ritiene particolarmente grande, perché quando la riceve in presenza di altri ne prova tanta vergogna e confusione che in qualche modo si svuota di quel che ha goduto, per la pena e la preoccupazione che le procura il pensiero di ciò che diranno coloro che l’hanno vista in quello stato. Siccome conosce la malizia del mondo, si rende conto che forse non l’attribuiranno alla sua vera causa, ma che, probabilmente, ciò per cui avrebbero dovuto lodare il Signore sarà per loro occasione di avventare giudizi temerari. In certo modo, questa pena e questa vergogna mi sembrano una mancanza di umiltà. È vero, l’anima non può evitarle. Ma se desidera essere vilipesa, che le importa delle chiacchiere altrui? Una persona che si trovava in questa afflizione si sentì dire da nostro Signore: «Non darti pena, perché o essi dovranno lodare me o mormorare di te e in entrambi i casi ne avrai da guadagnare». Seppi poi che questa persona, a tali parole, si era molto rianimata e consolata, e ve lo scrivo qui, a conforto di chi dovesse trovarsi in questa stessa afflizione. Sembra che il Signore voglia far intendere a tutti che quell’anima è ormai sua e che nessuno deve toccarla. Se la si attacca nel corpo, nell’onore, nei beni, alla buon’ora, tutto ridonderà a gloria di Sua Maestà; ma nell’anima non è così. Se essa non si allontana dal suo Sposo per una colpevole temerarietà, egli la difenderà da tutto il mondo e anche da tutto l’inferno.

17. Non so se sia riuscita a far capire qualcosa di ciò in cui consiste il rapimento. Spiegarlo completamente è impossibile, come ho già detto, ma credo che a parlarne con questo intento non si sia perduto nulla, non foss’altro per distinguerne gli effetti, essendo assai diversi quelli dei finti rapimenti. Li chiamo finti non perché l’anima che li ha voglia ingannare, ma perché ne è ingannata essa stessa. Siccome i segni e gli effetti non corrispondono a una grazia così grande, ne resta così infamata che, a ragione, poi, non si crede neppure a quelle che ne sono favorite dal Signore. Sia egli per sempre benedetto e lodato! Amen.

 

CAPITOLO 5


Prosegue sul medesimo argomento e mostra come Dio elevi l’anima mediante un volo dello spirito, cioè in modo diverso da quello di cui si è parlato. Adduce alcuni motivi per cui occorre aver coraggio. Spiega, in modo piacevole, qualcosa di questa grazia del Signore. È molto utile.

 

1. C’è un’altra forma di rapimento o volo dello spirito, come io lo chiamo. Quantunque sia tutt’uno col precedente, sostanzialmente, l’anima l’avverte in modo assai diverso perché d’improvviso, a volte, sente un movimento interiore così veemente e lo spirito sembra rapito con una velocità tale da causare molta apprensione, specialmente all’inizio. Per questo motivo vi dicevo che coloro cui Dio conceda tali grazie hanno bisogno di un grande coraggio e anche di fede, di speranza e di un completo abbandono a ciò che il Signore voglia fare dell’anima. Credete che una persona pienamente in sé sia poco turbata nel sentirsi portar via l’anima (e con essa, a volte, anche il corpo, come abbiamo letto di alcune), senza sapere dove vada, che cosa o chi la porti via e in che modo? Infatti all’inizio di questo improvviso turbamento non si ha ancora la certezza che esso venga da Dio.

2. Ma non vi è qualche difesa per poter resistere? Assolutamente no, anzi, tentare di resistere è peggio, come ho saputo da una persona, perché sembra che Dio voglia far vedere all’anima, la quale tante volte e tanto sinceramente si è rimessa nelle sue mani, offrendosi tutta a lui con piena volontà, che ormai non è più padrona di sé: egli la rapisce con un movimento assai più impetuoso. È così che quella persona aveva stabilito di non far diversamente dalla pagliuzza attirata dall’ambra – vi sarà forse accaduto di vederlo – e abbandonarsi nelle mani dell’Onnipotente, ritenendo che la cosa migliore fosse fare di necessità virtù. Ho parlato della paglia perché è proprio così. Con la stessa facilità con cui un gigante solleva una paglia, questo nostro grande e possente gigante rapisce lo spirito.

3. Sembra, in verità, che il bacino d’acqua di cui abbiamo parlato – credo fosse nella quarta mansione, perché non me ne ricordo bene –, che  si riempiva con tanta soavità e dolcezza, cioè senza alcun movimento, sia qui fatto straripare da questo grande Dio che trattiene le sorgenti delle acque e non fa uscire il mare dai suoi confini. Sembra che si dilatino quelle sorgenti che alimentavano l’acqua del bacino. Allora, con grande impeto si solleva un’onda così potente che fa salire in alto questa navicella della nostra anima. Nello stesso modo in cui una nave non può, malgrado ogni sforzo del pilota e di tutti quelli che la governano, fermarsi dov’essi vogliono, se le onde la investono con furia, molto meno la parte interiore dell’anima può fermarsi dove vuole, né far sì che i sensi e le potenze si sottraggano all’impulso di chi li muove. Qui non si bada affatto a ciò che è esteriore.

4. Non c’è dubbio, sorelle, che solo scrivendo queste cose sono sbigottita del modo in cui qui si manifesta l’immensa potenza del nostro grande Re e Imperatore. Figuriamoci che sarà per chi ne farà l’esperienza! Sono convinta che se Sua Maestà si svelasse alle persone più traviate del mondo come fa con queste anime, anche se non per amore, non oserebbero offenderlo per paura. Oh, quale sarà, dunque, l’obbligo delle anime che per una via così sublime sono state istruite a compiere tutti i loro sforzi per non indignare questo nostro Signore! In suo nome, sorelle, supplico quelle tra voi a cui Sua Maestà abbia fatto tali grazie o altre simili, di non trascurarsi, accontentandosi solo di ricevere. Badate che chi molto riceve, molto deve pagare.

5. Anche a questo riguardo, essendo il debito motivo di grande avvilimento, l’anima ha bisogno di molto coraggio e, se nostro Signore non glielo desse, vivrebbe sempre in grande afflizione perché, considerando quello di cui Sua Maestà la favorisce e riguardando se stessa, vede quanto poco lo serva di fronte al molto che gli deve. Inoltre, questo poco che l’anima fa per lui è pieno di mancanze, imperfezioni e debolezza tali che, per non ricordarsi dei difetti con cui compie qualche opera buona, se la compie, preferisce cercare di dimenticarla, aver presente i suoi peccati e rimettersi alla misericordia di Dio, non avendo di che pagarlo: vi supplisca la pietà e la misericordia che egli ha avuto sempre verso i peccatori.

6. Forse le risponderà quello che disse a una persona che se ne stava molto afflitta davanti a un Crocifisso proprio per questo motivo, considerando di non aver mai avuto nulla da dare né da lasciare per Dio. Lo stesso Crocifisso la consolò dicendole che egli le dava tutti i dolori e le pene sofferti nella sua passione, affinché li considerasse come propri e li offrisse a suo Padre. Quell’anima restò così confortata e così arricchita che, a quanto mi ha detto lei stessa, non se ne può dimenticare e, ogni volta che sente la sua grande miseria, questo ricordo la rianima e la consola. Potrei qui riferire parecchie cose del genere perché, avendo trattato con molte persone sante e con anime di orazione, ne conosco un buon numero; ma non lo faccio, affinché non pensiate che si tratti di me. Quello che vi ho detto mi sembra molto utile per farvi comprendere quanto il Signore si compiaccia del fatto che noi impariamo a conoscerci e che procuriamo sempre di insistere a considerare la nostra povertà, la nostra miseria, convinte di non aver nulla che non riceviamo da lui. Pertanto, sorelle mie, sia per questo, sia per molte altre cose che si presentano a un’anima alla quale il Signore ha fatto ormai raggiungere questo stato, ci vuole coraggio, anzi, a mio parere, ce ne vuole di più in quest’ultimo stato che negli altri, se non manca l’umiltà. Il Signore ce la dia per quello che egli è!

7. Torniamo, ora, al fulmineo rapimento dello spirito di cui parlavo. Esso è tale che lo spirito sembra realmente separarsi dal corpo e, d’altro canto, è chiaro che la persona non muore; tuttavia, per alcuni istanti, ella non può dire se l’anima si trovi o no unita al corpo. Le sembra di essere trasportata tutta intera in un’altra regione assai diversa da questa in cui viviamo, dove le appare una luce così dissimile da quella di quaggiù che, se impiegasse tutta la vita a cercare di immaginarsela, insieme con le altre cose lì viste, le sarebbe impossibile riuscirvi. Accade che, in un solo istante, le vengano insegnate contemporaneamente tante verità di cui non sarebbe potuta giungere a conoscere la millesima parte, neppure affaticandosi molti anni ad ordinarle con l’intelletto e con l’immaginazione. Questa non è visione intellettuale, ma immaginaria, che si vede con gli occhi dell’anima molto meglio di quanto noi non vediamo quaggiù con quelli del corpo. Allora, senza parole, s’intendono parecchie cose: voglio dire che se, ad esempio, si vedono alcuni santi, si riconoscono come se si fosse a lungo trattato con loro.

8. A volte, insieme con le cose che si vedono con gli occhi dell’anima, ne appaiono altre in visione intellettuale, specialmente un gran numero di angeli con il loro Signore. Senza che si veda nulla né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, per uno straordinario modo di conoscere che non saprei spiegare, si percepisce tutto questo e altro ancora, impossibile a dirsi. Chi ne farà esperienza, avendo maggiore capacità di me, saprà forse spiegarle, benché mi sembri assai difficile. Se, mentre avviene tutto questo, l’anima si trovi unita al corpo o no, non saprei dirlo, per lo meno non potrei giurare che lo sia, e nemmeno che il corpo sia privo d’anima.

9. Molte volte ho pensato che, come il sole fisso in cielo ha tanta forza da far giungere, in un istante i suoi raggi sulla terra senza muoversi da lì, così l’anima – che è una cosa sola con lo spirito come il sole con i suoi raggi – può, restando al suo posto, per la sola forza del calore che le viene dal vero sole di giustizia, elevarsi sopra se stessa mediante una qualche sua parte superiore. Infine, non so quel che dico, ma è certo che, con la stessa velocità con cui la palla esce dall’archibugio quando vi appiccano il fuoco, si leva nell’interno dell’anima un volo (non so trovare altro nome da dargli) che, se anche non fa rumore, è un movimento così evidente da non potersi ritenere in nessun modo illusione. Mentre l’anima è completamente fuori di sé, per quel che può capire, le vengono mostrate grandi cose. Tornata in sé, si ritrova arricchita di beni assai preziosi e disprezza talmente tutte le cose della terra, che le sembrano immondizia in confronto a quelle da essa viste. Da allora in poi vive quaggiù con grande pena e non le interessa più nulla di tutto ciò che prima soleva apparirle attraente. Sembra che il Signore abbia voluto mostrarle qualcosa del paese che le è destinato, come gli inviati del popolo d’Israele portarono i frutti della terra promessa, affinché, conoscendo il luogo dove andrà a riposare, sopporti le sofferenze di questo ben faticoso cammino.

10. Anche se una cosa che passa così presto non vi sembrerà molto utile, sono tali i vantaggi che lascia nell’anima che solo chi ne farà esperienza potrà comprenderne il valore. Da ciò si vede bene che non è opera del demonio. Né la propria immaginazione né il demonio potrebbero mostrare cose che lasciano nell’anima tali effetti di pace, serenità, profitto, e specialmente tre vantaggi di un grado molto elevato: anzitutto la conoscenza della grandezza di Dio, perché più testimonianze abbiamo di essa e più riusciamo a capirla; in secondo luogo la conoscenza di noi stessi e l’umiltà, al pensiero che un essere così basso nei confronti del Creatore di tante meraviglie abbia osato offenderlo al punto che non osa guardarlo; in terzo luogo, infine, il disprezzo di tutte le cose della terra, fatta eccezione per quelle che può rivolgere al servizio di un così grande Dio.

11. Questi sono i gioielli che lo Sposo comincia subito a regalare alla sposa. Essi sono di tanto valore che ella li metterà al sicuro. Tali incontri le restano così impressi nella memoria che credo le sarà impossibile dimenticarli, fino a quando non ne godrà eternamente. Il dimenticarli le sarebbe molto dannoso, ma lo Sposo che le concede questi regali ha il potere di darle la grazia di non perderli.

12. Tornando ora al coraggio che bisogna avere, credete che sia cosa da poco ciò che accade? Sembra infatti che l’anima si separi realmente dal corpo, perché ci si accorge di perdere i sensi senza conoscerne il motivo. È necessario che dà tutto il resto dia anche questo coraggio. Direte che la paura è ben ripagata. È quello che dico anch’io. Sia per sempre lodato colui che può dare tanto! E piaccia a Sua Maestà di farci la grazia di essere degni di servirlo!

 

CAPITOLO 6


Parla di un effetto dell’orazione descritta nel capitolo precedente. Dice in che modo si può capire se questo favore sia vero o se si tratti di un inganno. Ricorda un’altra grazia che il Signore concede all’anima per indurla a lodarlo.

 

1. Dopo queste grazie così elevate l’anima resta talmente desiderosa di godere pienamente di colui che gliene ha fatto dono, che vivere ormai le diventa un grande tormento, anche se delizioso. Ha un’ansia indicibile di morte; pertanto, con lacrime incessanti, supplica Dio di toglierla da questo esilio. Tutto quello che in esso vede l’infastidisce. Nella solitudine trova un po’ di sollievo, ma la sua pena non tarda a sopravvenire e non le è possibile vivere senza di essa. In conclusione, questa nostra farfallina non riesce a trovare un riposo duraturo. Siccome l’anima trabocca d’amore, qualunque occasione serva ad accendere di più il suo fuoco, le fa prendere il volo. Pertanto, in questa mansione sono molto frequenti i rapimenti , senza che vi sia modo di evitarli, neppure quando avvengono in pubblico. Le immediate conseguenze di persecuzioni e mormorazioni che seguono non consentono all’anima di vivere senza timori, benché non voglia soggiacervi, per il gran numero delle persone che glieli suscitano, specialmente i confessori.

2. Mentre da una parte l’anima, nel suo intimo, sembra avere una grande sicurezza, soprattutto quando è sola con Dio, dall’altra vive in grande angustia, perché teme che il demonio la inganni in modo da farle offendere colui che essa tanto ama. Le mormorazioni le procurano poca sofferenza, a meno che non sia lo stesso confessore ad angustiarla con il suo biasimo, come se in ciò essa potesse qualcosa. Non fa che chiedere a tutti preghiere e supplicare Sua Maestà di condurla per un altro cammino, essendole stato detto di far così, perché quello che batte è assai pericoloso. Ma, siccome essa vi ha trovato così grandi vantaggi da essere convinta, in base a quanto legge, ode e sa, che, con l’osservanza dei comandamenti di Dio, è il cammino che la condurrà al cielo, non riesce, anche se vuole, a desiderare di uscirne, e si rimette nelle mani di Dio. Tuttavia, questa impossibilità di desiderarlo le dà pur essa pena, sembrandole di non obbedire al confessore, perché nell’obbedienza e nel desiderio di non offendere il Signore consiste, a suo parere, tutto il rimedio per non essere ingannata. Non commetterebbe deliberatamente – le sembra – un solo peccato veniale neanche se la facessero a pezzi e si affligge molto vedendo di non poter evitare di farne molti senza rendersene conto.

3. Dio concede a quest’anima un così profondo desiderio di non scontentarlo in nulla, neppure in una minima cosa, e di evitare, potendolo, qualunque imperfezione, che solo per questo, anche se non vi fossero altri motivi, essa vorrebbe fuggire dalla gente. Invidia molto coloro che vivono e sono vissuti nei deserti. Al tempo stesso, vorrebbe cacciarsi in mezzo al mondo, per cercare di contribuire a far sì che anche un’anima sola lodi di più Dio. Se si tratta di una donna, essa si affligge che il suo sesso le sia d’impedimento per l’attuazione del suo desiderio. Invidia molto quelli che hanno la libertà di alzare la voce, per far sapere a tutti chi sia questo gran Dio degli eserciti.

4. Oh, povera farfallina, legata con tante catene che non ti lasciano volare come vorresti! Abbiate pietà di lei, mio Dio. Disponete ormai le cose in modo che essa possa soddisfare, almeno in parte, i suoi desideri, a vostro onore e gloria. Non badate alla pochezza dei suoi meriti e alla bassezza della sua natura. Voi avete la potenza, Signore, di far ritirare l’immenso mare e le acque del grande fiume Giordano per lasciar passare i figli di Israele. Non abbiate dunque compassione di lei. Aiutata dalla vostra forza, può sopportare molte peripezie, vi è fermamente disposta e desidera affrontarle. Stendete, Signore, il vostro braccio potente perché non trascorra la vita fra cose tanto basse. Appaia la vostra grandezza in una debole donna, in una vile creatura, affinché il mondo, sapendo che nulla viene da essa, renda lode a voi. Qualunque cosa le costi, è questo che vuole, e darebbe mille vite, se tante ne avesse, perché l’anima vi lodi un po’ più a causa sua. Riterrebbe tali vite molto ben impiegate, ma vede, in realtà, di non essere degna di patire per voi nemmeno una minima pena, tanto più di morire.

5. Non so a quale proposito né perché ho detto questo, sorelle, avendo parlato senza rendermene conto. Beninteso, sono questi, senza alcun dubbio, gli effetti lasciati da quelle sospensioni o estasi. Non sono desideri passeggeri ma duraturi e, quando si presenta l’occasione di dimostrarlo, la loro sincerità è evidente. Perché dico duraturi, se alcune volte l’anima si sente così vile, anche nelle minime cose, così piena di timore e priva di energia da sembrarle impossibile di avere coraggio per nulla? Credo che allora il Signore l’abbandoni alla sua natura per un suo maggior bene. Così, infatti, essa vede che se ha avuto coraggio per qualcosa, le è stato dato da Sua Maestà. Lo vede con tale chiarezza da rimanerne annientata, ma al tempo stesso più illuminata circa la conoscenza della misericordia di Dio e della sua grandezza, che egli ha voluto manifestare in una tanto vile creatura. Di solito, però, lo stato dell’anima è quello di cui abbiamo parlato.

6. Tenete presente una cosa, sorelle: questi grandi desideri di vedere nostro Signore sono, a volte, così opprimenti che non bisogna assecondarli. Occorre invece distogliere da essi l’attenzione, se naturalmente lo potete. Riguardo a certi desideri, di cui parlerò più avanti, come vedrete, ciò è assolutamente impossibile. Quando si tratta dei primi, invece, alcune volte si può farlo, perché la ragione mantiene tutta la sua capacità e ci si può, pertanto, conformare alla volontà di Dio e dire quello che diceva san Martino. Bisogna distogliere l’attenzione, se opprimono molto: essendo infatti, a quanto sembra, desideri di persone già molto progredite nella via della perfezione, potrebbero essere suscitati dal demonio allo scopo di farci pensare di essere tali, mentre è bene procedere sempre con timore. Tuttavia sono convinta che il demonio non potrà dare la quiete e la pace che questa pena produce nell’anima, ma solo un movimento di passione, come quello che si sente quando abbiamo qualche afflizione per le cose del mondo. Chi però non ha fatto esperienza di entrambi i desideri non si renderà conto della differenza e, pensando che i suoi siano qualcosa di grande, li asseconderà come può, con grave pregiudizio della sua salute, perché questa pena è continua, o almeno assai frequente.

7. Sappiate anche che la debolezza fisica ne è spesso causa, specialmente se si tratta di persone così sensibili che piangono per ogni cosa. Mille volte il demonio farà loro credere che piangono per Dio, mentre non è vero. Quando, senza potersi frenare, si prorompe in un fiume di lacrime, naturalmente per un po’ di tempo, alla minima parola che si oda di Dio o al minimo pensiero che se ne abbia, può anche darsi che ciò avvenga a causa di certi umori che si accumulano intorno al cuore. Questi sono un maggiore incentivo al pianto dell’amore che si nutre per Dio, tanto da far sembrare che tali lacrime non debbano aver mai fine. Convinte, ormai, che le lacrime sono buone, queste persone non le trattengono, ma fanno di tutto per dar loro libero sfogo, non desiderando altro che piangere. Il demonio, qui, ha lo scopo di indebolirle in modo tale che dopo non possano attendere all’orazione né osservare la Regola.

8. Mi sembra che vogliate chiedermi cosa dovete fare, visto che presento pericoli in tutto, credendo che perfino in una cosa così buona come le lacrime possa esserci inganno, e che pensiate se l’ingannata non sia piuttosto io. Potrebbe anche essere, ma credete che non parlo senza aver costatato che in alcune persone questo inganno è possibile – non certo in me perché io non sono affatto sensibile, anzi ho un cuore così duro che, a volte, ne provo pena. Tuttavia, quando all’interno il fuoco è grande, per quanto duro possa essere il cuore, distilla lacrime come un alambicco. Voi vi accorgerete perfettamente se le lacrime vengono da questa fonte perché, invece di turbare, confortano e rasserenano, e rare volte fanno male. D’altronde, quel che ha di buono quest’inganno – quando esiste – è nuocere solo al corpo (beninteso se si ha umiltà) e non all’anima. Ma quand’anche non vi fosse alcun danno, è sempre bene stare in guardia.

9. Non dobbiamo credere che, piangendo molto, sia fatto tutto, ma dobbiamo metter mano a molte opere e praticare le virtù: ecco quanto converrà più al nostro caso. Le lacrime vengano pure, quando Dio vorrà mandarcele, senza che noi facciamo nulla per provocarle. Esse serviranno ad innaffiare la nostra arida terra e le saranno di grande aiuto a dare frutti; tanto più quanto meno ce ne occuperemo, perché è acqua che cade dal cielo. Quella che tiriamo fuori stancandoci a scavare non ha nulla a che vedere con questa. Molte volte infatti scaveremo fino a restarne spossate e non troveremo neanche una pozza d’acqua, tanto meno una sorgente. Di conseguenza, sorelle, credo che la cosa migliore da farsi sia porsi dinanzi al Signore e considerare sia la sua misericordia e grandezza, sia la nostra pochezza. Ci dia poi lui ciò che vuole, acqua o siccità: egli sa meglio di noi quel che più ci serve. Così vivremo tranquille e il demonio non avrà facilmente motivo di ordirci inganni.

10. Nel corso di questi effetti, che sono penosi e insieme piacevoli, il Signore talvolta concede all’anima certe gioie e una certa strana orazione, di cui non si sa capire la natura. Ne parlo qui affinché, se vi facesse questa grazia, sappiate che è una cosa che capita, e gliene rendiate grande lode. È, a mio parere, una stretta unione delle potenze; solo che nostro Signore le lascia libere – altrettanto fa con i sensi – di godere di tale gioia, senza però che esse intendano di che cosa godano e come ne godano. Sembra arabo, ma accade proprio così, ed è una gioia goduta in tale eccesso dall’anima, che essa non vorrebbe essere sola a goderne, ma farne partecipi tutti, affinché l’aiutassero a lodare nostro Signore a cui è indirizzato ogni suo slancio. Oh, se ciò le fosse possibile, quali feste e quali dimostrazioni sarebbero le sue, perché il mondo intero si rendesse conto della sua felicità! Le sembra di aver ritrovato se stessa e vorrebbe, come il padre del figliol prodigo, invitare tutti a fare grandi feste, poiché si vede in un luogo dove non può dubitare di essere al sicuro, almeno per allora. E ne ha, ritengo, ben ragione, non essendo possibile che sia il demonio a darle tanta gioia interiore, proveniente dalla parte più intima dell’anima, accompagnata da tanta pace e tutta rivolta a lodare Dio.

11. È molto se, in preda a questo grande impeto di gioia, l’anima tace e può dissimulare, e le riesce non poco penoso. In questo stato doveva trovarsi san Francesco quando, incontrando i briganti mentre girava per la campagna gridando, disse loro che egli era l’araldo del gran Re. E quanti altri santi se ne vanno nei deserti per poter, come san Francesco, farsi banditori delle lodi di Dio! Io ne ho conosciuto uno, chiamato fra Pietro d’Alcántara – che credo si possa ritenere santo, a giudicare dalla sua vita –, il quale faceva proprio così, e coloro che qualche volta lo udivano, lo credevano pazzo. Oh, che santa pazzia, sorelle! Se Dio la desse a tutte noi! E che grazia egli vi ha fatto accogliendovi in un luogo dove, anche se egli vi concede tale favore e voi andate a manifestarlo, ne riceverete incoraggiamento e non biasimo, come sarebbe stato se vi foste trovate nel mondo, in cui levar grida delle sue lodi è così poco in uso, da non far meraviglia che susciti mormorazioni.

12. Oh, tempi infelici e vita miserabile quella in cui ora viviamo! Come sono fortunate le anime cui è toccata la felice sorte di starne fuori! A volte mi procura una gioia particolare, quando siamo riunite, vedere nelle mie sorelle un così grande gaudio interiore, che fanno a gara nel rendere lodi a nostro Signore per il fatto di trovarsi in un monastero. Ne sono felice perché si riconosce assai chiaramente che quelle lodi partono dall’intimo della loro anima. Vorrei, sorelle, che voi lo faceste spesso: basta che una cominci per incitare le altre. E in che cosa potete meglio impiegare la vostra lingua, quando siete insieme, che nelle lodi di Dio, avendo tanto di che lodarlo?

13. Piaccia a Sua Maestà di concederci spesso questa orazione che è così sicura e vantaggiosa! L’acquistarla è impossibile, essendo cosa del tutto soprannaturale. A volte accade che duri un giorno intero e l’anima, allora, somiglia a chi ha bevuto molto – non, però, tanto da essere del tutto fuori dei sensi – o anche a una persona malinconica che, pur non avendo perduto interamente la ragione, non si libera più da un’idea in cui è fissa l’immaginazione, né c’è alcuno che possa rimuoverla da lì. Sono, questi, paragoni molto grossolani per esprimere gli effetti derivanti da così eccelsa causa, ma il mio scarso ingegno non riesce a trovarne altri. È però certo che questo gaudio rende l’anima così dimentica di sé e di tutte le cose, che è incapace di pensare né riesce a parlare se non per rendere grandi lodi a Dio, il che deriva dalla sua gioia. Aiutiamo quest’anima, figlie mie, aiutiamola tutte! A che scopo voler essere più sagge? Cosa ci può dare una gioia più grande? E ci aiutino anche tutte le creature per tutti i secoli dei secoli! Amen, amen, amen.

 

CAPITOLO 7


Dice quale sia la pena che sentono dei propri peccati le anime alle quali Dio concede queste grazie. Parla anche del grande errore in cui s’incorre, per quanto spirituali si possa essere, non abituandosi a tener sempre presente l’umanità di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, la sua sacratissima passione e la sua vita, la sua gloriosa Madre e i suoi santi. È un capitolo molto utile.

 

1. Forse vi parrà, sorelle – e lo dico specialmente a quelle tra voi che non sono arrivate ad avere tali grazie, perché chi le ha godute, e se erano divine, mi comprenderà – che queste anime alle quali il Signore si comunica in modo così eccezionale siano ormai talmente sicure di godere di Dio eternamente, da non avere più motivo di temere né di piangere i loro peccati. Sarebbe un gravissimo errore, perché quanto più si riceve dal nostro Dio, tanto più cresce il dolore dei peccati. Sono convinta che non cesserà finché non saremo dove nessuna cosa può dare pena.

2. È vero che la pena alcune volte opprime di più, altre meno, e che anche il modo di sentirla è diverso dall’ordinario. L’anima, infatti, non pensa al castigo che dovrà subire a causa dei suoi peccati, ma solo alla sua estrema ingratitudine verso colui al quale deve tanto e che tanto merita di essere servito. Negli eccelsi favori che egli le comunica conosce, infatti, assai meglio la grandezza di Dio. Si spaventa di essere stata tanto temeraria, piange del suo poco rispetto, giudica talmente insensato il suo errore da non finire mai di deplorarlo quando pensa di aver trascurato, per cose tanto vili, una Maestà così sublime. Si ricorda molto più spesso di questo che delle grazie di cui è oggetto, le quali, pur essendo così grandi come sono quelle di cui ho parlato e le altre di cui parlerò, le sembrano trasportate da un fiume traboccante, che solo di tanto in tanto gliele reca, mentre i peccati sono come fango sempre presente: le ritornano continuamente alla memoria. E questa è una grande croce.

3. Conosco una persona la quale, prescindendo dal fatto che voleva morire per vedere Dio, lo desiderava anche per non sentire continuamente la pena procuratale dalla consapevolezza di essere stata tanto ingrata verso colui al quale doveva e avrebbe dovuto sempre moltissimo. Le sembrava infatti che i peccati di nessuno potessero equiparare  i suoi, convinta che non vi fosse alcuna creatura che Dio avesse sopportato così a lungo e che avesse favorito di tante grazie come lei. Per quanto riguarda la paura dell’inferno, queste anime non ne hanno affatto. Quella di perdere Dio, a volte, procura loro una grande angoscia, ma sopravviene di rado. Tutto il loro timore è che Dio ritiri da esse la sua mano sì che abbiano ad offenderlo e ricadano in quel miserabile stato in cui si sono viste per qualche tempo. Della propria pena come della propria beatitudine, nessuna preoccupazione e, se desiderano non star molto in purgatorio, è più per non essere allora lontane da Dio che per le pene che vi dovranno sopportare.

4. Per quanto un’anima possa essere favorita, ritengo che non sarebbe sicura se dimenticasse di essersi trovata per qualche tempo in miserabile stato perché, pur essendo un ricordo penoso, è proficuo sotto molti punti di vista. Forse a me sembra così, in quanto, essendo stata grande peccatrice, ho sempre presenti le mie colpe. Quelle che, invece, sono state virtuose, non avranno di che affliggersi, benché non possiamo mai essere esenti da colpe finché viviamo in questo corpo mortale. Nei confronti di tale pena non arreca alcun sollievo pensare che nostro Signore ha ormai perdonato e dimenticato i nostri peccati, anzi essa aumenta alla vista di una bontà che non cessa di elargire grazie a chi non ha meritato altro che l’inferno. Penso che questo dovette essere un grande martirio per san Pietro e la Maddalena perché, accesi com’erano da un così ardente amore, favoriti da tante grazie, consapevoli della grandezza e maestà di Dio, sarà stato ben duro per loro sopportare simile vista, da cui avranno tratto motivo del più commosso rammarico.

5. Vi sembrerà anche che anime le quali godono di cose tanto alte non debbano più meditare sui misteri della sacratissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo, dedicandosi ormai solo ad amare. Questo è un argomento di cui ho già scritto a lungo altrove. Anche se in proposito io abbia incontrato opposizioni e mi sia stato detto che non me ne intendo – perché sono diverse le vie attraverso le quali nostro Signore conduce le anime e, una volta superati gli inizi, è meglio occuparsi di ciò che riguarda la divinità, rifuggendo da tutto ciò che è corporeo –, nessuno riuscirà a farmi ammettere che questo sia un buon cammino. Posso anche ingannarmi o è possibile che, in fondo, diciamo tutti la stessa cosa; ma io ho visto che il demonio per questa strada tentava di ingannarmi e ne sono rimasta così scottata che mi propongo di ripetervi qui ciò che vi ho già detto molte volte, affinché siate molto guardinghe a questo riguardo. Badate che oso anche dirvi di non credere a chi vi parlasse diversamente. Cercherò di spiegarmi meglio di quanto non abbia fatto altrove. Se, infatti, chi aveva promesso di trattare di ciò per iscritto si fosse esteso di più nel darne spiegazione, forse avrebbe potuto chiarire bene l’argomento, mentre parlarne così, in modo approssimativo, a persone tanto poco istruite come noi, può essere molto dannoso.

6. Alcune anime crederanno anche di non poter pensare alla passione. Tanto meno potranno, quindi, pensare alla sacratissima Vergine e alla vita dei santi, il cui ricordo è per noi tanto utile ed incoraggiante. Non riesco a capire a cosa pensino, perché staccarsi da tutto ciò che è corporeo e bruciare continuamente d’amore va bene per spiriti angelici, ma non per noi che viviamo in corpi mortali. Se abbiamo bisogno di pensare a coloro che, pur avendo il corpo, hanno compiuto per Dio straordinarie imprese, trattare con loro e ricercarne la compagnia, a maggior ragione non dobbiamo allontanarci volontariamente da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla sacratissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo. Ma non posso credere che tali anime lo facciano; è solo che non capiscono, e così nuoceranno a sé e agli altri. Per lo meno, io assicuro loro che non entreranno in queste due ultime mansioni perché, perduta la guida, che è il buon Gesù, non riusciranno a trovare la strada. Sarà già molto se potranno stare nelle altre con sicurezza. Lo stesso Signore dice che egli è la via; dice anche che egli è la luce, che nessuno può andare al Padre se non per lui, e che chiunque vede lui, vede il Padre suo. Diranno che bisogna dare un senso diverso a queste parole. Io non ne conosco altri. Con questo, che la mia anima ha sempre sentito esser quello vero, mi sono trovata assai bene.

7. Ci sono alcune anime – e sono molte quelle che ne hanno parlato con me – che, appena elevate da nostro Signore alla contemplazione perfetta, vorrebbero rimanere sempre in quello stato, il che non è possibile. È certo però che, dopo aver ricevuto da Dio questa grazia, restano in tale condizione da non poter più discorrere, come prima della passione e della vita di Cristo. Io ne ignoro la causa, ma è un fatto assai frequente che l’intelletto non sia più capace di meditazione. La causa però credo debba essere questa: siccome nella meditazione tutto consiste nel cercare Dio, una volta che lo si è trovato e che l’anima ha preso l’abitudine di tornare a cercarlo per opera della volontà, non vuole stancarsi mettendo in azione l’intelletto. Credo anche che la volontà, questa generosa potenza, una volta infiammata, non voglia, se possibile, servirsi dell’intelletto. E non farebbe male, ma sarà impossibile che vi riesca, specialmente finché non si arrivi a queste ultime mansioni. Pertanto si perderà tempo, perché spesso è necessario l’aiuto dell’intelletto per infiammare la volontà.

8. Notate bene, sorelle, questo punto è importante; perciò voglio chiarirlo meglio. L’anima desidera dedicarsi tutta ad amare e non vorrebbe attendere ad altro, ma non potrà farlo, pur volendolo, in quanto, sebbene la volontà non sia morta, è morente il fuoco che, di solito, la fa ardere: è necessario che qualcuno vi soffi sopra perché sprigioni calore. Sarebbe forse bene, per l’anima, rimanere in quest’aridità, aspettando dal cielo il fuoco che consumi il sacrificio che essa fa di se stessa a Dio, come il nostro padre Elia? No, certamente; non è bene aspettarsi miracoli. Il Signore li fa quando ne ha piacere in favore di quest’anima. Lo si è già detto e lo si dirà ancora più avanti. Ma Dio vuole che noi ci riteniamo così spregevoli da non meritarli e che ci aiutiamo da noi stessi in tutti i modi possibili. Sono convinta che, fino a quando  non sopraggiungerà la morte, per quanto elevata sia la nostra orazione, bisogna fare così.

9. In verità, coloro che il Signore ha introdotto nella settima mansione, assai di rado o quasi mai hanno bisogno di questa diligenza, per la ragione che dirò a suo luogo, se riuscirò a ricordarmene. Tuttavia essi non smettono mai di stare con Cristo, nostro Signore che, in un modo ammirabile, in cui il divino si unisca all’umano, è sempre la loro compagnia. Pertanto quando il fuoco di cui si è parlato non è acceso nella volontà e non si sente la presenza di Dio, bisogna cercarla. Questo vuole Sua Maestà, ed è quanto faceva la sposa del Cantico dei Cantici. Chiediamo alle creature – come insegna sant’Agostino, credo nelle sue Meditazioni o nelle Confessioni – chi sia colui che le ha fatte, e non stiamocene lì come sciocchi, perdendo tempo ad aspettare quello che ci è stato dato una volta. All’inizio, infatti, può accadere che il Signore non torni a favorircene prima che sia trascorso un anno e anche più. Sua Maestà sa il perché; noi non dobbiamo cercar di saperlo né c’è motivo di farlo. Conoscendo dunque per quale via possiamo far contento Dio, cioè quella dei comandamenti e dei consigli, procediamo in essa con grande diligenza, pensiamo alla sua vita, alla sua morte e al molto che gli dobbiamo. Il resto verrà quando il Signore vorrà.

10. A questo punto mi si risponderà che non è possibile fermarsi su tali argomenti e, da quanto abbiamo detto, sarà forse, in qualche modo, una giusta obiezione. Ma voi ormai sapete che una cosa è discorrere con l’intelletto e un’altra è considerare le verità che la memoria presenta all’intelletto. Forse direte di non capirmi, ed effettivamente può darsi che io stessa non capisca tanto da sapermi spiegare, ma farò del mio meglio. Io chiamo meditazione un discorso continuato dell’intelletto che si svolge in questo modo: cominciamo con il pensare alla grazia che Dio ci ha concesso nel darci il suo unico Figlio e non ci fermiamo lì, ma percorriamo tutti i misteri della sua vita gloriosa. Oppure, cominciamo con l’orazione nell’Orto degli ulivi, e l’intelletto segue nostro Signore fino alla sua crocifissione; oppure, prendiamo un brano della passione, per esempio la cattura, e meditiamo su questo mistero, considerando in tutti i particolari le circostanze che sono motivo di riflessione o di commozione, come il tradimento di Giuda, la fuga degli apostoli e il resto. È un’orazione magnifica e assai meritoria.

11. Eppure, ripeto, questa è l’orazione che le anime elevate da Dio a stati soprannaturali e alla contemplazione perfetta dichiarano di non poter fare, e non senza ragione. Come ho detto, ne ignoro la causa, ma ordinariamente non vi riescono. Non avranno però ragione se dicono di non potersi trattenere in questi misteri né richiamarli spesso alla mente, specialmente quando la Chiesa cattolica li celebra. Non è infatti possibile che un’anima, dopo aver ricevuto tante grazie da Dio, perda il ricordo di così preziose testimonianze d’amore, che sono vive scintille atte ad accendere sempre più quello da essa nutrito verso nostro Signore. Indubbiamente, non si comprende essa stessa, perché allora questi misteri si capiscono in maniera più perfetta. L’intelletto infatti li rappresenta così al vivo e restano impressi nella memoria così profondamente che la sola vista del Signore steso a terra nell’Orto degli ulivi con quel sudore spaventoso basta ad occuparle il pensiero non soltanto per un’ora, ma per molti giorni. Con un semplice sguardo considera chi egli sia e quanta la sua ingratitudine di fronte a così immenso dolore. Subito accorre la volontà, sia pure senza tenerezza di devozione, ma con il desiderio di fare qualcosa per ricambiare una simile grazia, di soffrire qualcosa per colui che ha tanto sofferto, e con altre aspirazioni dello stesso genere che occupano la memoria e l’intelletto. Ritengo che sia questo il motivo per cui l’anima non può proseguire a discorrere lungamente sulla passione, il che le fa credere di non poterci pensare.

12. Se davvero non lo fa, è bene che vi si sforzi. Io so, infatti, che questo non sarà di ostacolo alla più alta orazione e non ritengo ben fatto che non vi si applichi spesso. Se, nel frattempo, il Signore le manda una sospensione, benissimo, perché allora, anche contro sua voglia, egli le farà lasciare l’oggetto della sua meditazione. E sono sicurissima che questo modo di procedere non sia di ostacolo, ma di aiuto per ogni sorta di bene. Sarebbe di ostacolo se l’anima si sforzasse molto a discorrere nel modo di cui ho parlato all’inizio, ma sono convinta che ciò riuscirà impossibile a chi è arrivato più in alto. Non si devono certo condannare coloro che non possono seguire questo cammino né si devono giudicare incapaci di godere di beni così grandi come sono quelli racchiusi nei misteri del nostro sommo bene Gesù Cristo. Ma nessuno, sia pur spirituale quanto si voglia, mi indurrà mai a credere che rinunciarvi sia la strada giusta.

13. Ci sono alcune anime alle quali in principio, e anche quando sono già un po’ avanzate, appena arrivano all’orazione di quiete e cominciano ad assaporare le grazie e i diletti che il Signore concede, sembra molto desiderabile starsene sempre lì a goderne; ma, mi credano, devono guardarsi, come ho detto altrove, dall’assorbirsi troppo. La vita è lunga e ci sono in essa molte sofferenze: per sopportarle con perfezione abbiamo bisogno di considerare come le hanno sopportate Cristo, nostro modello, e anche i suoi apostoli e i santi. È troppo eccelsa la compagnia del buon Gesù per potercene separare, come lo è quella della sua santissima Madre. Egli gradisce molto che compatiamo le sue pene, anche se a volte, per questo, dobbiamo rinunciare alle nostre gioie e consolazioni. Figlie mie, i diletti nell’orazione non sono così continui da non lasciare tempo per altro. Se qualcuna di voi mi dicesse che il suo diletto è continuo, cioè che non può mai fare quanto si è raccomandato, riterrei il suo stato assai sospetto. Ritenetelo per tale anche voi, e cercate di trarvi fuori da quest’inganno e di riprendervi dalla sospensione con tutte le vostre forze. Qualora esse non bastassero , parlatene alla priora, affinché vi dia un ufficio così impegnativo da eliminare questo pericolo. Almeno per la testa e per il cervello esso è assai grave, nel caso che tale stato duri a lungo.

14. credo di aver fatto capire quanto convenga, per spirituali che si possa essere, non rifuggire dalle cose corporee al punto che possa sembrare dannosa anche la sacratissima umanità di Cristo. In opposizione a ciò si citano le parole che il Signore disse ai suoi discepoli, cioè che conveniva loro che egli se ne andasse. Io non posso sopportarlo. Certamente non lo disse alla sua santissima Madre, perché era salda nella fede: ella sapeva che era Dio e uomo e, benché l’amasse più di ogni altro, nutriva in sé un amore tanto perfetto che la sua presenza le era piuttosto di aiuto. Quanto agli apostoli, essi non dovevano allora essere così saldi nella fede come lo furono in seguito e come dobbiamo esserlo noi ora. Vi ripeto, figlie mie, che ritengo questo cammino pericoloso e che il demonio potrebbe giungere a farci perdere la devozione al santissimo Sacramento.

15. L’inganno in cui a me parve di esser anch’io caduta non arrivò fino a questo punto, ma solo a non godere più di pensare a nostro Signore Gesù Cristo, per andarmene dietro a quel rapimento, in attesa dei suoi diletti. Vidi però chiaramente che ero fuori strada perché, non potendo goderne sempre, il mio pensiero andava errando qua e là e l’anima sembrava un uccello che svolazzasse senza trovare ove posarsi. Così, perdevo molto tempo, non progredivo nelle virtù e non miglioravo nell’orazione. Non ne capivo la causa né l’avrei mai capita, credo, convinta com’ero di percorrere la via giusta, se un servo di Dio, con il quale parlai del mio modo di fare orazione, non mi avesse aperto gli occhi. Vidi, allora, chiaramente quanto fossi fuori strada. Da quel momento non finisco mai di dolermi che ci sia stato un tempo in cui non sia riuscita ad accorgermi che non si poteva guadagnare nulla con una così grande perdita. Ora, quand’anche potessi averlo, non vorrei nessun bene che non fosse acquistato per mezzo di colui dal quale ci sono venuti tutti i beni. Sia egli per sempre lodato! Amen.

 

CAPITOLO 8


Dice come Dio si comunichi all’anima nella visione intellettuale e dà alcuni consigli. Parla degli effetti che questa visione produce quando è vera. Raccomanda di mantenere il segreto su tali grazie.

 

1. Perché vi sia più chiaro, sorelle, che vi ho detto la verità e che quanto più un’anima avanza, tanto più essa vive in compagnia di questo nostro buon Gesù, sarà bene parlare di come, quando Sua Maestà lo vuole, non possiamo far altro se non stare sempre con lui, il che è ben evidente dai diversi modi con cui si comunica a noi e ci attesta il suo amore. Sono alcune apparizioni e visioni davvero mirabili di cui voglio dirvi in breve qualcosa – se al Signore piacerà che riesca a spiegarmi – affinché non abbiate a spaventarvi qualora egli vi conceda qualche grazia di tal genere; e, quand’anche non le conceda a noi, ci servano a rendergli grandi lodi per il fatto di volersi comunicare in questo modo a una creatura, pur essendo così grande la sua maestà e la sua potenza.

2. Accade dunque che quando l’anima non pensa neanche lontanamente di ricevere tale grazia, non avendo mai pensato di meritarla, sente presso di sé nostro Signore Gesù Cristo, senza tuttavia vederlo né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima. Questa si chiama, non so perché, visione intellettuale. Io ho visto la persona favorita da Dio di questa grazia, con altre di cui parlerò più avanti, molto combattuta all’inizio, perché non poteva capire di cosa si trattasse, non vedendo nulla. Eppure, comprendeva così chiaramente che era il nostro Signore Gesù Cristo colui che le si manifestava in quel modo, da non poterne dubitare che si trattasse di una visione, perché circa la sua provenienza, se da Dio o no, anche se i grandi effetti prodotti avrebbero dovuto bastare a farle capire che veniva da Dio, aveva sempre gran timore. Non aveva mai sentito parlare di visione intellettuale, né immaginava che esistessero visioni di tal genere, ma si rendeva perfettamente conto che colui che essa sentiva lì presente era lo stesso il quale le parlava spesso nella maniera di cui si è detto prima, mentre fino a quando Dio non la favorì di quest’ultima grazia, non sapeva mai chi le parlasse, anche se intendeva le parole.

3. So che, impaurita da questa visione (perché tali visioni non passano presto come quelle immaginarie, ma durano molti giorni e, talvolta, anche più di un anno), si recò con grande afflizione dal suo confessore. Egli le domandò come poteva sapere che fosse nostro Signore, se non vedeva nulla, e le domandò anche come era il suo viso. Ella rispose che non lo sapeva, che non vedeva alcun viso né poteva dire niente di più di quanto aveva detto; sapeva soltanto che era lui a parlarle e che non si trattava di una fantasia. E, pur oppressa dai timori che le incutevano, tuttavia per lo più non poteva aver dubbi, specialmente quando egli le diceva: «Non aver paura, sono io». Queste parole avevano una tale forza che in quel momento ogni dubbio era impossibile, e una tale divina compagnia la lasciava piena di coraggio e di gioia. Vedeva infatti che ciò l’aiutava molto a pensare continuamente a Dio e a guardarsi con molta attenzione dal fare qualunque cosa potesse dispiacergli, sembrandole che tenesse continuamente gli occhi su di lei. Ogni volta che voleva trattare con Sua Maestà, sia nell’orazione, sia fuori di essa, le pareva che le fosse così vicino da non poter fare a meno di udirla, anche se ella udiva le sue parole non quando voleva, ma improvvisamente, quando era necessario. Sentiva che stava al suo lato destro, e ciò non per mezzo di questi nostri sensi con i quali possiamo avvertire che una persona sta vicino a noi, ma in altro modo più delicato, che non credo si possa esprimere. Tuttavia la certezza è la stessa, e anche maggiore, perché con i sensi si potrebbe esser tratti in inganno da illusione, mentre qui è impossibile. Questa grazia apporta infatti grandi vantaggi ed effetti interiori che non si potrebbero avere se si trattasse di malinconia; e neppure si deve sospettare che sia il demonio a procurare un bene così grande. L’anima non sentirebbe una pace così profonda né avrebbe così incessanti desideri di compiacere Dio e un così grande disprezzo per tutto ciò che non l’avvicini a lui.

4. Fu, poi, evidente che non era opera del demonio perché la verità della visione andò rivelandosi sempre più chiaramente. Ciò nonostante, io so che questa persona talvolta era piena di paura. Altre volte provava un’indicibile confusione, non sapendo da dove le venisse un bene così grande. Eravamo talmente una cosa sola, quella persona ed io, che non passava niente nella sua anima di cui io non fossi a conoscenza. Posso essere, pertanto, un buon testimone e potete ritenere per vero tutto ciò che dirò a suo riguardo. È questa una grazia del Signore che apporta sempre un’enorme confusione e umiltà. Se fosse opera del demonio sarebbe tutto il contrario. Ed essendo così evidente che è un dono di Dio e che nessun espediente umano riuscirebbe a procurarcela, l’anima che ne è favorita non può assolutamente pensare che sia un bene acquistato da essa, ma solo donatole da Dio. Quantunque alcune delle grazie da me esposte prima siano superiori, questa comporta una particolare conoscenza di Dio, dalla cui continua compagnia nasce nell’anima un amore tenerissimo verso Sua Maestà, desideri ancor più vivi di quelli già detti di darsi tutta al suo servizio, e una grande purezza di coscienza, perché la presenza di colui che ha sempre vicino la rende attenta a ogni minima cosa. Noi sappiamo bene, è vero, che Dio è sempre presente a tutte le nostre azioni ma, ciò nonostante, la nostra natura è tale che ce ne dimentichiamo. Qui però una simile dimenticanza è impossibile, perché l’anima è tenuta desta dal Signore che le sta vicino. E anche le altre grazie di cui abbiamo parlato sono molto più frequenti, perché l’anima si trova quasi sempre nello stato di amore attuale verso colui che vede o sente vicino a sé.

5. Infine, dal profitto che ne trae l’anima si vede che questa è una grazia immensa, di grande valore. Essa ne ringrazia il Signore che gliela concede senza alcun merito suo, e non la cambierebbe con nessun tesoro o diletto del mondo. Pertanto, quando il Signore ritiene opportuno privarla di essa, l’anima resta in una grande solitudine, ma tutte le diligenze a cui potesse ricorrere per tornare ad avere quella compagnia servirebbero a poco. Il Signore la concede quando vuole e non si può acquistare. A volte si tratta anche della presenza di qualche santo, e se ne trae ugualmente gran profitto.

6. Voi direte che, se non si vede nulla, come si capisce che è Cristo, la sua gloriosissima Madre o un santo? L’anima non lo sa dire né può capire come lo intenda, ma ne ha una sicurissima cognizione. Sembra essere più comprensibile se si tratta del Signore, il quale ci parla, ma se si tratta di un santo che non parla e che sembra messo là dal Signore per dar aiuto e compagnia all’anima, è molto più sorprendente. Così è di altre cose spirituali che non si sanno esprimere, ma che servono a farci capire l’inadeguatezza della nostra natura a intendere le infinite grandezze di Dio, visto che non siamo capaci di comprendere neppure queste. L’unica cosa che possono fare coloro che ne sono oggetto è ammirarle e renderne lode a Sua Maestà, ringraziandolo in modo particolare. Non essendo doni che si elargiscono a tutti, sono da tenersi in gran pregio. L’anima deve cercare di servire di più il Signore, che a tal fine l’aiuta in tanti modi. Da ciò deriva che essa non si stimi, per questi favori, più degli altri e che ritenga di essere, fra tutte le creature della terra, quella che serve meno Dio, sembrandole di esservi obbligata più di qualsiasi altra: pertanto ogni mancanza che commette la trafigge nell’intimo, e giustamente.

7. Chiunque di voi sarà condotta dal Signore per questo cammino potrà accorgersi, in base agli effetti di cui ho parlato, che non si tratta di inganno e neanche di immaginazione perché, ripeto, se la visione viene dal demonio, ritengo impossibile che possa durare a lungo, con un così notevole profitto per l’anima e tanta pace interiore. Non è questo il suo costume, né un essere così malvagio potrebbe, pur volendolo, operare tanto bene: subito ci sentiremmo pieni di fumo della stima di noi stessi, ritenendo di essere migliori degli altri. Inoltre, questa unione continua dell’anima con Dio, con il pensiero sempre fisso su di lui, gli farebbe tanta rabbia che, se tentasse di ingannarla, non ripeterebbe spesso il tentativo. Dio, poi, è troppo fedele per permettergli di avere tanta influenza su un’anima che non aspira ad altro se non a compiacere Sua Maestà e ad offrire la sua vita per il suo onore e la sua gloria; farà, anzi, subito in modo che sia libera dall’inganno.

8. Il mio ragionamento è e sarà sempre questo: dal momento che l’anima sente, come si è detto, gli effetti propri delle grazie divine, se qualche volta Sua Maestà permetterà al demonio di arrischiarsi a tentarla, la farà uscire vittoriosa dalla prova e il nemico resterà umiliato. Pertanto, figlie mie, se qualcuna di voi va per questa strada, lo ripeto, non abbia paura. È bene, certo, che il timore ci sia, che si proceda con più attenzione del solito e, anche, che non si creda, per il fatto di esser state così favorite, di potersi alquanto trascurare: questo sarebbe segno che le grazie non vengono da Dio, come se non se ne costatassero gli effetti di cui si è parlato. Sarà anche opportuno, all’inizio, parlarne, sotto segreto di confessione, con un uomo di grande dottrina, essendo proprio i dotti a doverci illuminare; oppure, trovandola, con qualche persona molto avanzata nella vita spirituale. Se non è dotata di grande spiritualità, preferite chi è dotto; se, invece, lo fosse, consultate l’uno e l’altra. E qualora vi dovessero dire che è un’immaginazione, non datevi peso, perché quell’immaginazione non può fare né gran bene né gran male alla vostra anima. Raccomandatevi alla divina Maestà, affinché non permetta che cadiate in inganno. Se dovessero dirvi, invece, che si tratta del demonio, sarebbe più spiacevole. Ma chi è veramente dotto non ve lo dirà, quando abbia a costatare gli effetti che abbiamo segnalato. Qualora ve lo dicesse, so che lo stesso Signore, che sta con voi, vi consolerà, vi rassicurerà e, a poco a poco, darà lume a lui perché illumini voi.

9. Se si interpella una persona che, quantunque dedita all’orazione, non è condotta dal Signore per questo cammino, subito si spaventerà e condannerà tutto. Per questo motivo vi consiglio di rivolgervi a chi sia molto dotto e, possibilmente, anche esperto di cose spirituali. La priora voglia permetterlo. Anche se le sembra, in base alla vita virtuosa di quell’anima, che essa possa ritenersi sicura, è obbligata a consentirle questa comunicazione: saranno, così, sicure entrambe. L’anima, poi, una volta che abbia parlato con tali persone, se ne stia in pace e non faccia parola di ciò con altri, perché talora il demonio, senza che ce ne sia motivo, ispira così esagerati timori da costringere l’anima a non accontentarsi di una sola consultazione. Specialmente se il confessore ha poca esperienza, se si mostra timoroso o se è lui stesso a indurre l’anima a chiedere consigli, viene a divulgarsi ciò che era bene restasse del tutto segreto, e l’anima finisce con l’essere perseguitata e tormentata. Mentre pensava che queste cose fossero occulte, scopre che sono di dominio pubblico: da qui molte conseguenze spiacevoli per lei e, dati i tempi in cui viviamo, probabilmente anche per l’Ordine. Pertanto occorre avere una grande prudenza, e io la raccomando vivamente alle priore. [10]. Queste non devono pensare che una sorella, perché favorita da grazie di tal genere, sia migliore delle altre. Il Signore conduce ciascuna come gli sembra necessario. Le grazie dispongono, sì, l’anima che vi cooperi, a diventare una grande serva di Dio, ma a volte egli conduce per questo cammino le più deboli. Pertanto, a tale riguardo non c’è ragione né di approvare né di condannare, ma bisogna solo considerare le virtù. Quella che servirà nostro Signore con maggiore mortificazione, umiltà e purezza di coscienza, sarà la più santa, anche se la certezza in questa vita non può essere assoluta e occorre attendere che il vero Giudice dia a ciascuno quel che si merita. Allora, resteremo stupiti nel vedere quanto sia diverso il suo giudizio da quello che noi quaggiù possiamo credere. Sia egli per sempre benedetto! Amen.

 

CAPITOLO 9


Dice come il Signore si comunichi all’anima nella visione immaginaria e raccomanda insistentemente di guardarsi dal desiderare di andare per questo cammino. Ne spiega le ragioni. È un capitolo molto utile.

 

1. Veniamo ora alle visioni immaginarie, dove si dice che il demonio può introdursi più facilmente che nelle precedenti, e dev’essere così. Ma, quando vengono da nostro Signore mi sembrano, in un certo modo, molto più vantaggiose perché più conformi alla nostra natura, tranne quelle che egli accorda nell’ultima mansione, alle quali nessun’altra è pari.

2. Ora, dunque, consideriamo come si presenta nostro Signore nella visione di cui vi ho parlato nel capitolo precedente: è come se in una custodia d’oro avessimo una pietra preziosa di enorme valore e di straordinarie proprietà. Sappiamo con assoluta certezza che è lì, anche se non l’abbiamo mai vista, e portandola con noi non manchiamo di giovarci delle sue virtù. Il non averla mai vista non ci impedisce di apprezzarla molto, perché ci ha guariti – come l’esperienza ci insegna – da certe malattie che essa ha la proprietà di sanare. Tuttavia non osiamo guardarla né aprire la custodia. D’altronde, non potremmo farlo, perché il modo di aprirla è noto solo a colui cui appartiene tale gioiello. Questi, pur avendocelo prestato perché ne traessimo giovamento, si è tenuta la chiave della custodia e l’aprirà, come cosa di sua proprietà, quando vorrà mostrarcela. Così anche se la riprenderà quando lo crederà opportuno, come infatti fa.

3. Supponiamo ora che qualche volta egli voglia aprirla subito per farne beneficiare colui al quale l’ha prestata. È evidente che questi, in seguito, proverà una gioia ben più grande al ricordo del mirabile splendore della pietra, che così gli resterà più impressa nella memoria. Ebbene, lo stesso accade in questa visione: quando nostro Signore si compiace di favorire maggiormente un’anima, le mostra chiaramente la sua sacratissima umanità, nel modo che vuole, o come era quando viveva nel mondo o dopo la sua risurrezione. Benché ciò avvenga con tanta rapidità che potremmo paragonarla a quella di un lampo, tale gloriosissima immagine resta così impressa nella mente che ritengo impossibile se ne cancelli fino a quando sarà da noi vista dove si potrà goderne in eterno.

4. Se pur dico «immagine», bisogna intendere questo termine non nel senso che appaia a chi la vede come una pittura, ma come veramente viva, come quella, cioè, di un essere che, a volte, si ferma a parlare con l’anima e le svela perfino grandi segreti. Dovete però tener presente che, anche se la visione si protrae per un certo tempo, non si può fissarvi lo sguardo più di quanto si possa fissare il sole. Pertanto, questa vista è sempre rapidissima, e non perché il suo splendore offenda gli occhi dell’anima, come il fulgore del sole offende quelli del corpo. Parlo di occhi dell’anima, essendo essi, qui, a percepire tutto (se si tratta di vista con gli occhi del corpo, non saprei dirne nulla, perché la persona suddetta, di cui posso parlare con tanti particolari, non ha mai avuto tal genere di visioni, e dare esatta informazione di ciò che non si conosce per esperienza è molto difficile). Il suo splendore è come una luce infusa, simile a quella del sole coperto da qualcosa di trasparente, come un diamante, qualora si potesse ridurlo a un velo, e la sua veste sembra di tela d’Olanda. L’anima quasi sempre, quando Dio la favorisce di questa grazia, entra nel rapimento, perché la sua pochezza non può sopportare una vista che le incute tanta paura.

5. Dico paura in quanto, pur essendo lo spettacolo più bello e piacevole che una persona possa mai immaginare, vivesse anche mille anni e facesse ogni sforzo per rappresentarselo (supera, infatti, di molto la capacità della nostra immaginazione e del nostro intelletto), la presenza di Dio è di così immensa maestà che l’anima è presa da grande spavento. Certo, qui non c’è bisogno di chiedere come sappia chi egli sia senza che nessuno gliel’abbia detto, perché si dà ben a conoscere come il Signore del cielo e della terra, ciò che non possono fare i re di questo mondo i quali per se stessi passano inosservati se sono privi del loro seguito o non si dice chi siano.

6. Oh, Signore, come noi cristiani vi conosciamo male! Che sarà il giorno in cui verrete a giudicarci se, quando venite qui a trattare così familiarmente con la vostra sposa, il guardarvi suscita tanto sgomento? Oh, figlie mie! Che sarà quando con voce severa vi dirà: Andate, maledetti dal Padre mio?

7. Questa grazia che Dio concede all’anima ci lasci impresso nella mente tale pensiero, che sarà per noi di grande aiuto. San Girolamo, pur essendo santo, l’aveva sempre presente, e se noi faremo lo stesso, non ci sembrerà nulla tutto quello che potremo soffrire per il rigore della nostra Regola, poiché, quand’anche tali sofferenze durassero a lungo, non si tratterebbe che di un momento, in confronto all’eternità. Vi assicuro che, per quanto miserabile io sia, la mia paura dei tormenti dell’inferno è stata sempre di nessun rilievo di fronte al pensiero che i dannati vedranno un giorno pieni d’ira questi occhi così belli, così dolci e misericordiosi del Signore. Mi sembra che il mio cuore non potrebbe sopportarlo: tutta la mia vita è stato così. Quanto più dovrà temere, pensandoci, chi ha avuto tale visione, se l’emozione che in essa si prova è tale da far perdere i sensi! Questa dev’essere la causa per cui l’anima rimane sospesa. Mediante l’estasi il Signore viene in aiuto alla sua debolezza, facendola unire alla sua grandezza in questa divina e altissima comunicazione.

8. Se l’anima può indugiare a lungo nella contemplazione del Signore, non credo che si tratti di visione, ma di figura creata dall’immaginazione per effetto di un’intensa meditazione: essa sarà come una cosa morta in confronto a quella di cui parlo.

9. Ad alcune persone accade (e so che è vero perché ne hanno parlato con me, e non tre o quattro, ma molte), a causa di una troppo debole fantasia o di un intelletto troppo fervido, o non so per quale altro motivo, di restare talmente immerse nell’immaginazione da credere di vedere realmente tutto quello che pensano. Ma, se avessero avuto una vera visione, comprenderebbero, senza possibilità di dubbio, il loro errore perché, essendo loro stesse a fabbricare quello che vedono con l’immaginazione, non ne sentono nessun effetto e rimangono molto più fredde che se vedessero un’immagine devota. È chiaro che non si deve badare a tutto ciò. Del resto, è cosa che si dimentica più presto di un sogno.

10. Non avviene così nella visione di cui parliamo. Mentre l’anima è ben lontana dall’aspettarsi di vedere qualcosa, e non le passa neppure per la mente, d’un tratto le si presenta tutta intera la visione che sconvolge le potenze e i sensi, riempiendola di timore e di turbamento, per darle poi una pace deliziosa. Come quando san Paolo fu rovesciato a terra si scatenò nel cielo quella furiosa tempesta, così qui, in questo mondo interiore, si genera una violenta commozione, e poi in un attimo, ripeto, tutto ritorna calmo e l’anima si ritrova con la cognizione di tali sublimi verità da non aver più bisogno di alcun maestro. La vera sapienza, senza alcuno sforzo da parte sua, ha annullato la sua ignoranza e, per un certo tempo, essa conserva una certezza così assoluta della provenienza divina di questa grazia che, qualunque cosa le dicessero in contrario, non potrebbero farle temere di essere stata ingannata. In seguito, quando è il confessore a cercare di intimorirla, Dio permette che le sorga qualche dubbio e pensi che, a causa dei suoi peccati, ciò sarebbe anche possibile, ma senza convinzione, come avviene – secondo quanto ho detto ad altro riguardo – nelle tentazioni in materia di fede, in cui il demonio può ben turbare l’anima, ma non impedirle di restar salda in essa. Anzi, quanto più egli la combatte, tanto più si rafferma in essa la certezza che il demonio non potrebbe esserle causa di così grandi beni. Ciò è del tutto esatto perché il suo potere nell’intimo dell’anima è limitato: potrà, sì, presentare immagini, ma non con questa verità e maestà, e con tali effetti.

11. Siccome i confessori non possono vedere tutto ciò né, forse, chi è favorito da Dio di questa grazia sa spiegarsi con loro, hanno paura, e ben a ragione. Pertanto, bisogna procedere con cautela, aspettare che il tempo mostri il frutto di queste apparizioni, e osservare se, a poco a poco, esse lascino l’anima nell’umiltà e la rafforzino nella virtù. Qualora siano opera del demonio, se ne vedranno presto i segni, cogliendolo in mille menzogne. Un confessore che abbia esperienza e che sia passato per queste cose, non ha bisogno di molto tempo per capirlo. Subito, dalla relazione che gliene faranno, riconoscerà se è opera di Dio o dell’immaginazione o del demonio, specialmente se Sua Maestà gli ha dato il dono del discernimento degli spiriti. Avendo questo dono ed essendo un uomo dotto, saprà rendersene conto benissimo.

12. Ciò che soprattutto occorre, sorelle, è che siate molto franche e sincere con il confessore. Non dico nel rivelargli i vostri peccati, perché questo è ovvio, ma anche nel dargli conto della vostra orazione. In caso contrario, non posso assicurarvi né che andiate per la strada giusta né che sia Dio a farvi da maestro. Egli ama molto che noi ci atteniamo, con chi lo rappresenta, alla stessa verità e chiarezza che dobbiamo avere verso di lui, nel desiderio di fargli conoscere tutti i nostri pensieri e, ancor più, le nostre azioni, per piccole che siano. Se agite così, non abbiate timori né inquietudini perché, quand’anche tali visioni non venissero da Dio, purché vi assistano l’umiltà e una buona coscienza, non vi nuoceranno. Sua Maestà dal male sa trarre il bene e, proprio per quella via attraverso la quale il demonio avrebbe voluto farvi perdere, guadagnerete di più. Persuase che Dio vi concede grazie così grandi, vi sforzerete di accontentarlo meglio, avendo sempre presente nella mente la sua immagine. Diceva un illustre teologo che, se il demonio, da bravo pittore qual è, gli avesse mostrato un’immagine del Signore molto somigliante, egli non se ne sarebbe afflitto, perché se ne sarebbe servito per ravvivare la propria devozione e fare guerra al demonio con le sue stesse malizie. Infatti, aggiungeva, per quanto un pittore sia malvagio, non per questo si deve tralasciare di riverire l’immagine che egli ritrae, se rappresenta colui che è tutto il nostro Bene.

13. Gli sembrava inoltre molto sconveniente il consiglio, dato da alcuni, di fare un gesto spregevole quando una tale visione si presentasse allo sguardo, perché, diceva, dovunque vediamo l’immagine del nostro Re, dobbiamo onorarla. E ritengo che abbia ragione, perché uno scherno simile affliggerebbe anche noi. Se, infatti, quaggiù, una persona che ne ama un’altra venisse a sapere che essa fa oltraggi di tal genere al suo ritratto, non potrebbe averne piacere. Quanto a maggior ragione, allora, dovunque ci accada di vedere un crocifisso o un’immagine del nostro Re, dobbiamo averne rispetto. Anche se di ciò ho parlato altrove, mi fa piacere ripeterlo qui, perché ho conosciuto una persona che aveva ricevuto l’ordine di ricorrere a questo rimedio e ne era molto afflitta. Non so chi abbia inventato un siffatto espediente. Serve soltanto a tormentare l’anima, che non può esimersi dall’obbedire, se il confessore le dà questo consiglio, credendosi perduta non facendolo. Ma il mio è che, quand’anche ve lo dia, non vi atteniate ad esso, esponendogli con umiltà quanto vi ho detto. Sono rimasta perfettamente convinta delle buone ragioni che mi addusse colui il quale in tale circostanza ebbe a consigliarmi.

14. Uno dei grandi vantaggi che l’anima trae da questa grazia del Signore è che, pensando a lui, alla sua vita e alla sua passione, ricorda il suo dolcissimo e bellissimo volto, e questo le è di grande consolazione, come quaggiù, dopo aver visto una persona che ci ricolma di benefici, pensiamo a lei con più piacere che se non l’avessimo mai conosciuta. Vi assicuro che tale soave ricordo procura una viva consolazione e un grande profitto. Apporta molti altri beni ma, avendo già tanto parlato degli effetti che queste visioni producono, e dovendone parlare ancora, non voglio stancarmi né stancarvi oltre. Voglio solo raccomandarvi vivamente che, sapendo o sentendo dire che Dio concede queste grazie a certe anime, non lo supplichiate né desideriate mai di essere da lui condotte per questo cammino. [15]. Anche se vi sembra eccellente, e dev’essere tenuto in grande stima ed onore, non conviene farlo per alcune ragioni. La prima, perché è una mancanza di umiltà volere che vi sia dato ciò che non avete mai meritato. Credo infatti che chi nutre un tal desiderio, di umiltà ne abbia ben poca. Come un povero contadino è lungi dal desiderare di essere re, sembrandogli una cosa impossibile, perché non la merita, così la persona umile è ben lontana dal desiderare simili grazie. Credo del resto che, per questa via, il Signore non le accorderà mai perché, per accordarle, dà anzitutto una profonda conoscenza di se stessi. E un’anima che ha tali pretese, come può rendersi veramente conto che il Signore gliene fa una molto grande nel non precipitarla nell’inferno? La seconda, perché non v’è alcun dubbio che sia in inganno o in grave pericolo, in quanto al demonio basta solo vedere una porta aperta per ordirci mille insidie. La terza è data dalla stessa immaginazione perché, quando il desiderio è veemente, la stessa persona si figura di vedere e di udire quello che desidera, come avviene a coloro che sognano di notte ciò che di giorno hanno molto pensato e desiderato. La quarta, perché è una gran temerità volersi scegliere da se stessi la strada, non sapendo quale sia quella che più conviene al nostro caso, invece di lasciare al Signore, che ci conosce, la cura di condurci per il cammino adatto, e compiere così, in tutto, la sua volontà. La quinta: pensate forse che siano poche le sofferenze affrontate da coloro a cui il Signore concede queste grazie? Tutt’altro: sono invece grandissime e di diverso genere. E chi vi dice che sareste capaci di sopportarle?  La sesta, perché potrebbe darsi che proprio dove pensate di guadagnare, abbiate a perdere, come avvenne a Saul per il fatto di essere re.

16. Infine, sorelle, oltre a queste ragioni, ce ne sono altre. Credetemi, il partito più sicuro è non volere se non ciò che vuole Dio, il quale ci conosce più di quanto non ci conosciamo noi stessi e ci ama. Mettiamoci nelle sue mani, affinché si compia in noi la sua volontà e non potremo sbagliare, se ci atterremo sempre a questo con ferma risoluzione. Inoltre, badate bene che per il fatto di ricevere molte grazie di tal genere non si merita più gloria, ma si è, invece, più obbligati a servire Dio, proprio perché si riceve di più. Per quanto riguarda l’acquisto di maggiori meriti, il Signore non ce ne toglie la possibilità: tale acquisto è in mano nostra. Ci sono, infatti, molte anime sante che non hanno mai saputo cosa sia ricevere una di queste grazie, ed altre che le ricevono e non sono sante. Né dovete pensare che esse siano continue, anzi, è a prezzo di moltissime sofferenze averle dal Signore anche una sola volta. Pertanto, all’anima non viene in mente di chiedersi se le riceverà ancora, ma pensa solo al modo di prestare, in cambio, i suoi sevizi.

17. È vero, tali grazie devono essere di grande aiuto per possedere le virtù a un più alto grado di perfezione, ma chi ne sarà in possesso per averle guadagnate a prezzo delle sue fatiche avrà certo molto maggior merito. Conosco una persona – anzi due, una delle quali era un uomo – a cui il Signore aveva fatto alcune di queste grazie, entrambe così desiderose di servire Sua Maestà a proprie spese, senza questi grandi favori, e così ansiose di soffrire che si lamentavano con nostro Signore di tali elargizioni. Se avessero potuto, le avrebbero rifiutate. Io parlo solo dei diletti che il Signore dà nella contemplazione, non delle visioni, di cui sempre si vede bene il gran profitto che se ne trae e la stima che bisogna farne.

18. In verità, anche questi desideri, a mio parere, sono soprannaturali e propri di anime molto innamorate, le quali vorrebbero mostrare al Signore che non lo servono per averne un compenso. Pertanto, come ho detto, non è mai il pensiero della gloria che ne avranno in contraccambio a spingerle a servirlo, ma il desiderio di soddisfare il loro amore, la cui natura è di operare sempre, in mille modi. Se lo potesse, l’anima escogiterebbe nuovi espedienti per consumarsi in esso, e se, per la maggior gloria di Dio, fosse necessario che essa rimanesse annientata per sempre, vi acconsentirebbe di tutto cuore. Sia lodato eternamente colui che vuol mostrare la sua grandezza, abbassandosi a comunicare con creature così miserabili! Amen.

 

CAPITOLO 10


Parla di altre grazie che Dio concede all’anima in maniera diversa da quelle già dette e del gran profitto che se ne trae.

 

1. Il Signore, in queste apparizioni, si comunica all’anima in molti modi. A volte, sceglie il momento in cui è afflitta, altre quello in cui sta per sopravvenirle una grande sofferenza; altre, infine, lo fa quando vuole dilettarsi con lei e darle diletto. Non c’è motivo di specificare particolarmente tutto ciò. Il mio intento infatti non è altro che far conoscere, fin dove io possa capirne, le diverse grazie proprie di questo cammino, perché sappiate, sorelle, di quale genere siano e quali effetti producano, né scambiate per visione ogni immaginazione, e perché, quando la visione sia reale, consapevoli di una tale possibilità, non abbiate a turbarvi o affliggervi. Ricordatevi che il demonio guadagna molto e si rallegra in sommo grado nel vedere un’anima afflitta e turbata, sapendo che ciò le è di ostacolo nell’impegnarsi tutta nell’amore e nelle lodi di Dio. Sua Maestà si comunica anche in altri modi più elevati e meno pericolosi, perché il demonio non potrebbe, credo, operarvi contraffazioni. Queste non si possono esprimere con parole, trattandosi di cose molto occulte, mentre le visioni immaginarie si possono spiegare più facilmente.

2. Quando piace al Signore, accade che l’anima, mentre è in orazione e perfettamente in sé, sia colta improvvisamente da una sospensione in cui egli le fa intendere grandi segreti, che essa crede di vedere in Dio stesso. Non è, questa, una visione della sacratissima umanità, anche se dico che l’anima vede. In realtà, essa non vede nulla, non trattandosi di visione immaginaria, ma profondamente intellettuale, nella quale le si rivela come in Dio si vedano tutte le cose e come gli le contenga tutte in se stesso. Ed è molto utile perché, sebbene non duri che un momento, resta profondamente impressa in noi e ci riempie di confusione, scorgendosi in essa più chiaramente la malizia dell’offendere Dio, in quanto proprio in Dio – cioè mentre stiamo dentro di lui – commettiamo le più grandi cattiverie. Voglio vedere se riesco a servirmi di un paragone per farvelo capire. Benché sia così e ci sia stato detto molte volte, o non ci badiamo o non vogliamo capirlo: non sembra infatti possibile, comprendendolo bene, azzardarsi a tanto.

3. Immaginiamo dunque che Dio si a come una casa o un palazzo molto grande e bello: questo palazzo, ripeto, è lo stesso Dio. Può forse il peccatore, per commettere le sue iniquità, uscirne fuori? No, certamente. In questo modo, dentro tale palazzo, che è Dio stesso, vengono perpetrate tutte le abominazioni, le disonestà e le iniquità che noi peccatori commettiamo. Oh, che cosa spaventevole, degna di profonda riflessione e molto utile per noi che sappiamo poco e non riusciamo ad intendere queste verità, altrimenti sarebbe impossibile avere una temerità così insensata! Consideriamo, sorelle, la grande misericordia e la gran pazienza di Dio che non ci sprofonda, all’istante, nell’abisso; rendiamogli le più sentite grazie e vergogniamoci di risentirci per qualunque cosa si faccia o si dica contro di noi. È, infatti, la maggiore iniquità del mondo offendersi, a volte, per una parola detta in nostra assenza e forse senza cattiva intenzione, mentre vediamo Dio, nostro Creatore, sopportare dalle sue creature tante miserie in se stesso.

4. Oh, miseria umana! Quando, dunque, imiteremo in qualche cosa questo grande Dio? Oh, non ci avvenga mai di credere che facciamo alcunché se sopportiamo un’ingiuria! Superiamo tutto di vero cuore e amiamo chi ci offende, perché questo gran Dio non ha cessato di amarci, anche se lo abbiamo molto offeso. Assai a buon diritto, pertanto, vuole che tutti perdonino, quali che siano le offese ricevute. Vi ripeto, figlie mie, che questa visione, pur essendo tanto rapida, è una grande grazia di cui Dio fa dono all’anima, a patto che essa voglia giovarsene, tenendola continuamente presente.

5. Accade anche, in modo improvviso e inesplicabile, che Dio mostri in se stesso una verità la quale sembra eclissare tutte quelle che si trovano nelle creature, e faccia intendere assai chiaramente che egli solo è la verità che non può mentire. Si comprende, allora, ciò che dice Davide in un salmo: che ogni uomo è mendace, parole che non si intenderebbero mai così bene, anche se si udissero molte volte. Dio è infallibile verità. Mi viene ora in mente quanto fosse grande la domanda di Pilato a nostro Signore allorché, durante la sua passione, gli domandò che cosa fosse la verità, e vedo quanto poco noi conosciamo quaggiù questa suprema verità.

6. Vorrei spiegarmi meglio su tale argomento, ma non mi è possibile. Da quel che si è detto deduciamo, sorelle, che per conformarci in qualche cosa al nostro Dio e Sposo, sarà bene che ci adoperiamo sempre a procedere in questa verità. Non dico solo che non dobbiamo mentire – quanto a ciò, grazie a Dio, vedo che in queste nostre case si ha gran cura di non dire bugie per nulla al mondo – ma che dobbiamo camminare nella verità davanti a Dio e davanti agli uomini in tutti i modi possibili, specialmente non volendo che ci ritengano migliori di quello che siamo. Inoltre è bene che diamo, nelle nostre opere, a Dio quello che è suo e a noi quello che è nostro, cercando di far valere in tutto la verità. Così facendo, stimeremo ben poco questo mondo, che è tutto menzogna e falsità, e come tale non può essere durevole.

7. Una volta io stavo considerando quale potesse essere la ragione per cui nostro Signore ama tanto la virtù dell’umiltà. Mi venne in mente – senza alcuna riflessione, mi sembra, ma all’improvviso – che ciò deve essere perché Dio è la somma Verità, e l’umiltà consiste nel procedere nella verità. È una grande verità che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miseria e nullità, e chi non capisce questo, cammina nella menzogna. Chi invece più lo intende, più è accetto alla somma Verità, perché cammina in essa. Piaccia a Dio, sorelle, concederci la grazia di non perdere mai la conoscenza di noi stesse! Amen.

8. Nostro Signore concede all’anima queste grazie perché, quale a sua vera sposa ormai risoluta a compiere in tutto la sua volontà, vuole indicare come potrà farlo e rivelarle qualcosa delle sue grandezze. Non c’è motivo di dilungarsi; ho parlato di queste due grazie perché mi sembrano molto utili. In doni di tal genere non c’è nulla da temere, ma solo da lodare il Signore che ce li dà. Né il demonio né l’immaginazione hanno qui, secondo me, alcuna influenza, e l’anima ne resta molto consolata.

 

CAPITOLO 11


Tratta di certi desideri di godere Dio, dati da lui stesso all’anima, così grandi e impetuosi che espongono al rischio di perdere la vita, e del profitto che si trae da questa grazia del Signore.

 

1. Saranno bastate tutte queste grazie che lo Sposo concede all’anima perché la colombella o farfallina (non pensate che me ne dimentichi) sia soddisfatta e si posi dove la coglierà la morte? No, certamente; anzi, il suo stato è peggiore. Anche se ormai da molti anni riceve tali doni, geme continuamente e si strugge in lacrime, perché ognuno di essi le è causa di maggiore angoscia. Ciò è dovuto al fatto che, conoscendo sempre meglio le grandezze del suo Dio e vedendosi così separata da lui nonché così lontana dal godere del suo possesso, i suoi desideri vanno aumentando, perché cresce anche l’amore, man mano che scopre quanto meriti di essere amato questo grande Dio e Signore. Nel giro di pochi anni, tali desideri crescono tanto da produrre la grande pena di cui ora parlerò. Ho detto anni, per conformarmi all’esperienza della persona cui ho accennato, ma so bene che a Dio non si devono porre limiti, potendo egli in un attimo far giungere un’anima al grado più elevato dei favori di cui si tratta in questo scritto. Sua Maestà ha il potere di fare ciò che vuole e ha il vivo desiderio di far molto per noi.

2. Accade a volte che, mentre l’anima, ardendo in se stessa, si consuma fra le ansie, le lacrime, i sospiri e i grandi impeti di cui ho parlato (cose tutte che sembrano procedere dal nostro amore e, per quanto vi si unisca un vivo dolore, non sono nulla in confronto al martirio di cui parlerò, perché questo è come un fuoco che emette fumo e che si può ancora sopportare), ecco che per un minimo pensiero o per una parola udita circa il ritardo della morte, riceve – non si sa da dove né in che modo – un colpo o, meglio, si sente come ferita da una saetta di fuoco. Non dico che sia una saetta ma, qualunque cosa sia, si vede chiaramente che non può procedere dalla nostra natura. Non è nemmeno un colpo, anche se dico colpo, ma ferisce profondamente. E non dove si sentono i dolori di quaggiù, mi sembra, ma nel più profondo e nel più intimo dell’anima. Là questa saetta, rapidissima, riduce in polvere tutto ciò che trova della nostra terrestre natura e, mentre agisce, è impossibile ricordarsi del nostro essere umano perché in un attimo immobilizza le potenze a tal punto che non resta loro la libertà di far nulla, tranne ciò che può intensificare questo dolore.

3. Non vorrei che ciò sembrasse un’esagerazione. Anzi, mi accorgo di restare al di sotto della verità, che è tale da non potersi dire. Si tratta di un rapimento dei sensi e delle potenze a tutto ciò, ripeto, che non contribuisce ad aumentare questa pena. L’intelletto, infatti, è ben desto solo per capire con quanta ragione l’anima debba affliggersi di esser lontana da Dio; vi coopera anche Sua Maestà dando, in quella circostanza, una così viva cognizione di sé da aumentare la pena in altissimo grado, tanto che chi ne soffre finisce con il prorompere in alte grida. Per quanto sia persona paziente e abituata a soffrire grandi dolori, non può trattenersi dal farlo, perché tale dolore, ripeto, non risiede nel corpo ma nell’intimo dell’anima. Da ciò essa comprende quanto più dure siano le sofferenze dell’anima di quelle del corpo e pensa che di tal genere devono essere quelle delle anime del purgatorio, a cui la mancanza del corpo non impedisce di soffrire molto più di quel che si soffre quaggiù, avendo il corpo.

4. Ho visto una persona in questo stato, e ho creduto proprio che stesse per morire, né c’è da meravigliarsene, perché il pericolo della morte, qui, è certamente grande. Pertanto, anche se la sofferenza dura poco, lascia il corpo completamente slogato, e le pulsazioni sono allora così rallentate, come se ormai si stesse per rendere l’anima a Dio, né più né meno, perché il calore naturale viene a mancare e l’anima brucia in modo tale che, se fosse un po’ più forte, Dio adempirebbe i suoi desideri. E questo senza che avverta poco o molto dolore nel corpo, anche se le sue membra, come ho detto, si slogano, al punto che per due o tre giorni non ha nemmeno la forza di scrivere ed è in preda a grandi dolori. Mi sembra, inoltre, che resti sempre più debole di prima. Il non soffrire, lì per lì, fisicamente, deve dipendere dal fatto che il tormento interiore dell’anima è tanto più grave che essa non bada affatto al corpo, come quando nella nostra vita terrena abbiamo un dolore molto acuto in un membro: pur avendone molti altri, essi si avvertono poco. Questo io l’ho sperimentato molto bene. Nel presente caso non si sente proprio nulla, né credo che si sentirebbe alcunché neanche se ci facessero a pezzi.

5. MI direte che ciò è imperfezione: perché l’anima non si conforma alla volontà di Dio, dal momento che gli è perfettamente sottomessa? Fin qui lo poteva fare, e questo le rendeva sopportabile la vita. Ora no, perché la sua ragione è ridotta a tale che non ne è più padrona né può pensare ad altro se non al motivo che essa ha di affliggersi: essendo separata dal suo Bene, perché voler vivere? Sente una strana solitudine: non c’è nessuna creatura terrena che possa farle compagnia, e nemmeno, credo, riuscirebbero a fargliela gli abitanti del cielo, tranne colui che essa ama. Anzi, tutto la tormenta. Si vede come sospesa in aria, senza un punto d’appoggio sulla terra né la possibilità di salire al cielo. È arsa dalla sete e non può attingere l’acqua: una sete intollerabile, giunta a tale estremo che niente potrebbe estinguerla tranne l’acqua – e altra non ne vuole – se non quella di cui il Signore parlò alla samaritana, ma quest’acqua non le è concessa.

6. Oh, mio Dio e Signore, come mettete alle strette chi vi ama! Ma tutto è poco in confronto a ciò che poi date. È bene che il molto costi molto, tanto più che, se serve a purificare l’anima perché entri nella settima mansione, come il purgatorio purifica quelle che devono entrare nel cielo, questo patimento è ben poco, nient’altro che una goccia d’acqua di fronte al mare. Ciò è così vero che l’anima, pur soffrendo un tale tormento e una tale afflizione, i più grandi, a mio avviso, che possano esistere sulla terra (questa persona a cui ho fatto riferimento, di patimenti ne aveva avuto molti, sia nell’anima sia nel corpo, ma tutto le sembrava nulla, in confronto al bene da guadagnare), sente che hanno tanto valore da riconoscersene assolutamente indegna. Questo sentimento non è tale da recarle alcun sollievo, ma, ciò nonostante, soffre la sua pena molto volentieri e sarebbe disposta a soffrirla per tutta la vita, pur significando, questo, non già morire d’un colpo, ma esser sempre moribonda.

7. Pensiamo ora, sorelle, a coloro che stanno nell’inferno, che non hanno né questa conformità al volere divino, né questa gioia e consolazione che Dio infonde nell’anima, né la prospettiva dei vantaggi che apporterà loro la sofferenza, ma solo una sofferenza che va sempre più aumentando. Poiché il tormento dell’anima è tanto più grave di quelli del corpo, e quelli che soffrono i dannati superano, senza confronto, questo di cui abbiamo parlato, con l’aggiunta della prospettiva che dureranno per sempre, eternamente, che sarà mai di queste anime sventurate? E cosa possiamo noi fare o patire in una vita così breve, che abbia qualche peso per liberarci da così terribili, eterni tormenti? Torno a dirvi che è impossibile far comprendere quanto siano dolorose le sofferenze dell’anima e quanto diverse da quelle del corpo, se non se ne fa la prova. Il Signore vuol farcelo, appunto, capire, affinché riconosciamo il molto che gli dobbiamo per averci egli chiamate a uno stato dove abbiamo la speranza che, nella sua misericordia, perdonerà i nostri peccati e ci darà la salvezza eterna.

8. Tornando, dunque, a quello di cui stavamo parlando (abbiamo lasciato quest’anima con una grande pena), la sofferenza in forma così violenta dura poco, tutt’al più tre o quattro ore, mi pare, perché se durasse di più, a meno di un miracolo la nostra debolezza naturale non potrebbe sopportarla. Alla persona di cui parlo accadde una volta che non durasse più di un quarto d’ora, ma bastò per ridurla a pezzi. In questa circostanza arrivò a perdere del tutto i sensi, tale fu l’intensità dell’angoscia (mentre era in conversazione, l’ultimo giorno delle feste di Pasqua, trascorse tutte in così grande aridità da non accorgersi quasi di questa ricorrenza), solo per aver udito una parola sul prolungarsi della vita. Ora, pensate un po’ se è possibile opporvi resistenza! Sarebbe come se una persona in preda al fuoco volesse far sì che la fiamma non avesse il potere di bruciarla. Né si tratta di un dolore che si possa dissimulare senza che le persone presenti, pur non essendo testimoni di ciò che passa nell’intimo dell’anima, non si accorgano del pericolo in cui si trova. È vero che le sono un po’ di compagnia, ma come se fossero ombre, e ombre le sembrano tutte le cose della terra.

9. E perché sappiate come sia possibile – qualora doveste vedervi in questo stato – che vi intervenga la nostra naturale debolezza, vi dico che accade a volte che, mentre l’anima, come avete visto, si strugge dal desiderio di morire, a tal punto che per uscire dal corpo sembra ormai le manchi ben poco, finisce con l’averne una vera paura e con il voler sentire diminuita la sua pena per non morire del tutto. È evidente che questo timore procede dalla nostra naturale debolezza perché, d’altra parte, il suo desiderio non viene meno, e non c’è alcun rimedio che possa liberarla da questa pena finché non vi ponga termine il Signore stesso, con un grande rapimento o qualche visione con cui il vero consolatore la consola e la fortifica, affinché accetti di vivere quanto egli vorrà.

10. È, questa, una cosa penosa, ma lascia nell’anima grandi effetti e le fa perdere il timore delle sofferenze che possono sopravvenirle, le quali, in confronto alla durissima angoscia sofferta, le sembrano nulla. Ne è rimasta così avvantaggiata che vorrebbe soffrirla spesso. Peraltro, ciò non è assolutamente in suo potere: non c’è nessun mezzo per procurarsela di nuovo, finché il Signore non voglia, come non ce n’è alcuno per opporvi resistenza o liberarsene quando viene. Sente, ora, un ben più grande disprezzo del mondo che non prima, perché sa che in quel tormento nessuna cosa terrena le è stata di aiuto; molto maggior distacco dalle creature, perché ora comprende che solo il Creatore può consolarla e appagarla, e più vivo timore e desiderio di non offenderlo, perché non ignora che, se può consolare, può anche esser causa di tormento.

11. Mi sembra che due cose, in questo cammino spirituale, costituiscano un pericolo di morte: una, la pena di cui abbiamo parlato, che lo è davvero, e non piccolo; l’altra, un godimento e un diletto straordinari, di così estrema intensità che sembra proprio che l’anima venga meno e le manchi un niente per uscirsene del tutto dal corpo: in verità, sarebbe questa, per lei non poca fortuna. Potete quindi vedere, sorelle, se avevo ragione nel dire che occorre coraggio e che, a buon diritto, il Signore, qualora gli chiedeste queste grazie, dovrebbe dire a voi ciò che rispose ai figli di Zebedeo: Se potete bere il calice. Credo, sorelle, che tutte risponderemmo di sì, e ben a ragione, perché Sua Maestà dà coraggio a chi vede che ne ha bisogno, difende queste anime in tutto e risponde per loro nelle persecuzioni e nelle mormorazioni, come fece per la Maddalena, se non con le parole, con i fatti. E, alla fin fine, prima che muoiano, le paga di tutto in una volta, come ora vedrete. Sia egli per sempre benedetto e lo lodino tutte le creature! Amen.

 

SETTIME MANSIONI


 

CAPITOLO 1


Parla delle insigni grazie che Dio concede alle anime quando sono riuscite ad entrare nelle settime mansioni. Dice come tra anima e spirito le sembra che esista qualche differenza, benché sia una cosa sola. Ci sono argomenti meritevoli di attenzione.

 

1. Vi sembrerà, sorelle, che dopo quanto si è detto di questo cammino spirituale, non possa esserci altro da aggiungere. Sarebbe una vera stoltezza pensarlo: poiché la grandezza di Dio non ha limiti, non potranno averne neanche le sue opere. Chi è in grado di esaurire la descrizione delle sue misericordie e grandezze? Nessuno, certamente. Non meravigliatevi, dunque, di ciò che si è detto e di ciò che si dirà, essendo appena un saggio di quel che si può dire di Dio. È una grande misericordia da parte sua l’aver comunicato queste cose a persone da cui possiamo venire a conoscerle perché, quanto più sapremo della sua comunicazione con le creature, tanto più loderemo la sua grandezza e ci sforzeremo di tenere in gran conto anime delle quali si compiace. Tutti noi abbiamo un’anima, ma poiché non l’apprezziamo come merita di essere apprezzata una creatura fatta a immagine di Dio, non riusciamo a penetrare i grandi segreti racchiusi in essa. Voglia Sua Maestà degnarsi di guidare la mia penna e insegnarmi il modo con cui dirvi qualcosa del molto che resta ancora da dire e che Dio fa comprendere alle anime da lui introdotte in questa mansione! Io l’ho supplicato molto di ciò, essendo il mio intento – come egli sa – quello di mettere in luce le sue misericordie, affinché il suo nome sia maggiormente lodato e glorificato.

2. Ho la speranza che, non per me ma per voi, sorelle, mi concederà questa grazia, volendo farvi intendere quanto importi che non sia per vostra colpa che lo Sposo non celebri con le vostre anime questo matrimonio spirituale, fonte, come vedrete, di tanti beni. Oh, gran Dio! Miserabile creatura come io sono, mi sembra di tremare nell’accingermi a trattare di un soggetto che merito così poco di comprendere! Confesso sinceramente di essermi sentita in grande confusione e di aver pensato che, forse, era meglio porre fine con poche parole a questa mansione. Temo si abbia a credere che io sappia queste cose per esperienza, e ciò mi è causa d’indicibile vergogna: conoscendomi qual sono, è per me un pensiero atroce. D’altra parte, mi è sembrato che la mia esitazione potesse essere effetto di tentazione e debolezza, quale che sia il giudizio che voi possiate darne. Che Dio sia lodato e conosciuto un po’ meglio, e poi si levi pur contro di me tutto il mondo, tanto più che forse io sarò morta quando si leggerà questo scritto. Sia benedetto colui che vive e vivrà in eterno! Amen.

3. Allorché nostro Signore si compiace di aver pietà di ciò che ha sofferto e soffre, per il desiderio di lui, quest’anima che egli, spiritualmente, ha già preso come sposa, la introduce, prima che si consumi il matrimonio spirituale, nella sua mansione, che è questa, la settima, poiché, come ha una mansione in cielo, così deve avere nell’anima un luogo di soggiorno dove abita solo lui, per così dire un altro cielo. È per noi molto importante, sorelle, non immaginare la nostra anima come qualcosa di oscuro. Ordinariamente crediamo che non esista altra luce se non quella che vediamo materialmente e, siccome l’anima è invisibile, immaginiamo che in essa vi sia una certa oscurità. È così per le anime che non sono in grazia, ve lo confesso, e non per difetto del Sole di giustizia, che è in esse come datore dell’essere, ma per l’incapacità in cui si trovano di ricevere la luce. Credo di averlo detto nella prima mansione, a proposito della conoscenza che una persona aveva avuto di queste anime sventurate, da lei viste come in una prigione oscura, con le mani e i piedi legati, impossibilitate a far nulla di buono e di utile per acquistar merito, cieche e mute. A ragione possiamo sentirne pietà e, considerando che ci siamo trovate per qualche tempo nelle stesse condizioni, sperare che il Signore abbia misericordia anche di loro.

4. Abbiamo gran cura, sorelle, di supplicare il Signore e non tralasciamo mai di farlo, perché è un’elemosina assai meritoria pregare per coloro che si trovano in peccato mortale, maggiore di quella che si potrebbe fare a un cristiano, vedendolo con le mani legate dietro la schiena da una grossa catena, avvinto ad un palo, morente di fame, non per mancanza di cibo, giacché ha vicino a sé vivande assai squisite, ma per l’impossibilità di prenderle e portarle alla bocca – benché, invero, ne provi grande nausea –, con la sensazione della morte ormai vicina, e non già una morte come quella terrena, ma eterna. Non sarebbe una grande crudeltà restare a guardarlo e non avvicinargli alla bocca di che mangiare? Che dire poi se per le vostre orazioni gli venissero tolte le catene? Ve lo lascio considerare. Per amor di Dio, vi scongiuro di ricordarvi sempre nelle vostre preghiere di tali anime.

5. Ma ora non parliamo di queste, bensì di quelle che già, per la misericordia di Dio, hanno fatto penitenza dei loro peccati e sono in stato di grazia. Vanno considerate non come qualcosa di isolato e di angusto, ma come un mondo interiore capace di contenere le tante e incantevoli mansioni che avete visto. Ed è giusto che sia così, perché all’interno di esse risiede Dio. Quando, dunque, Sua Maestà si compiace di concedere all’anima la grazia già detta  di questo divino matrimonio, anzitutto la introduce nella sua mansione, ma vuole che le cose vadano diversamente dalle altre volte in cui le concedeva quei rapimenti e quell’orazione che abbiamo chiamato di unione, durante la quale sono convinta che già la unisce a sé, anche se all’anima non sembra di ricevere così incalzante chiamata ad entrare nel suo centro, come qui, in questa mansione, ma solo nella parte superiore. Ciò, del resto, ha poca importanza: sia in un modo, sia in un altro, quel che conta è il fatto che il Signore la unisca a sé, ma lo fa rendendola cieca e muta, come san Paolo nel momento della conversione e togliendole la possibilità di rendersi conto della grazia di cui gode e di come la goda. Il gran diletto che allora l’anima sente le deriva dal vedersi vicina a Dio, però nel momento in cui egli la unisce a sé non intende nulla, perché tutte le potenze si perdono.

6. Qui la cosa è diversa: il nostro buon Dio vuole ormai levarle le squame dagli occhi, affinché veda e comprenda qualcosa della grazia che egli le concede, ma in un modo singolare. Una volta che essa sia introdotta in questa mansione, per mezzo di una visione intellettuale, tutt’e tre le Persone della Santissima Trinità le si mostrano per una certa rappresentazione della verità, nel divampare di un incendio che investe subito il suo spirito come una nube risplendente. Le tre Persone si vedono distintamente e l’anima, per una nozione ammirabile che le viene comunicata, comprende con assoluta certezza che tutt’e tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Così, ciò che crediamo per fede, l’anima qui lo percepisce, si può dire, con la vista, anche se non si vede nulla né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, perché non si tratta di visione immaginaria. Allora tutt’e tre le divine Persone si comunicano ad essa, le parlano e le fanno intendere le parole dette dal Signore nel Vangelo: che egli verrà, con il Padre e lo Spirito santo, a dimorare nell’anima che lo ama e osserva i suoi comandamenti.

7. Oh, mio Dio, com’è diverso udire queste parole e credere ad esse, dall’intendere, nel modo che ho detto, quanto siano vere! Lo stupore di quest’anima cresce ogni giorno di più, perché le sembra che da allora le tre divine Persone non l’abbiano mai abbandonata, anzi vede chiaramente, nella maniera di cui si è parlato, che stanno dentro di lei; essa sente questa divina compagnia nella parte più intima, come in un abisso molto profondo, che non sa spiegare, non avendo istruzione.

8. Vi sembrerà, in base a quello che ho detto, che l’anima non sia in se stessa, ma così rapita da non potersi occupare di nulla. Invece, può applicarsi molto meglio di prima a tutto ciò che riguarda il servizio di Dio; venendo, poi, a cessare le occupazioni, si ritrova in quella gradita compagnia. E, se non è lei a mancare a Dio, egli non mancherà mai, secondo me, di darle così chiara conoscenza della sua presenza. Peraltro, essa nutre grande fiducia che Dio, dopo averle concesso questa grazia, non l’abbandonerà, in modo che abbia a perderla. Ha ragione di pensarlo, anche se non tralascia di procedere più guardinga che mai, per non dispiacergli in nulla.

9. Beninteso, la vista di tale divina presenza non è sempre così perfetta, voglio dire così chiara, come appare la prima volta e anche in seguito, qualche volta, quando Dio si compiace di fare all’anima questo dono; perché, se così fosse, sarebbe impossibile occuparsi d’altro e, perfino, vivere fra gli uomini. Ma, anche se non è sempre ugualmente chiara, l’anima, purché vi presti attenzione, si trova in questa compagnia. Per fare un paragone, è come se una persona si trovasse con altre in una stanza piena di luce e, a un certo punto, si chiudessero le finestre e si restasse al buio: non perché se ne è andata la luce che permetteva di vederle e perché non si vedranno fino a che essa non ritorni, questa persona non crede che le altre siano lì. Sarebbe ora da chiedersi se essa possa, volendolo, fattasi di nuovo luce, tornare a vederle. Questo non dipende da lei, ma da quando il Signore si compiaccia di aprire la finestra dell’intelletto. Le usa già una grande misericordia nel non allontanarsi mai da lei e permettere che essa ne abbia l’assoluta certezza.

10. Sembra ora che la divina Maestà voglia disporre l’anima, con questa mirabile compagnia, a cose più alte. È chiaro, infatti, che in essa troverà un grande aiuto per avanzare, sotto ogni punto di vista, nella perfezione e per liberarsi dal timore che alcune volte, come si è detto, le procuravano gli altri favori divini. Così avvenne che quella persona, a cui ho accennato, si trovò migliorata in tutto. Riteneva inoltre che, per quante tribolazioni e occupazioni potesse avere, l’essenziale della sua anima non si muovesse più da quella mansione. Pertanto la sua anima le pareva, in certo modo, divisa e, trovandosi in grandi tribolazioni, sopravvenutele poco dopo aver ricevuto questa grazia da Dio, si lamentava di essa, come quando Marta si lamentò di Maria, rimproverandola, a volte, di starsene sempre a godere di quella quiete a suo piacere, e di lasciarla fra tante pene e occupazioni, che non le permettevano di gioirne con lei.

11. Può darsi, figlie mie, che ciò vi sembri una stranezza, ma succede realmente così. Malgrado si sappia che l’anima è una sola, non è frutto d’immaginazione quanto ho detto, ma un fatto molto ordinario. Per questo vi dicevo che da certi effetti interiori si intende chiaramente che esiste, in qualche modo, una reale differenza fra l’anima e lo spirito, pur essendo essi una cosa sola. Vi si percepisce una divisione così sottile che, a volte, l’uno sembra operare in un senso e l’altra in un altro, a seconda della diversa sfumatura che il Signore si compiace di dar loro. Mi sembra anche che l’anima differisca dalle potenze e che non sia una cosa sola con esse. Infine, ci sono tante cose e così delicate nel nostro intimo, che sarebbe una temerità che io mi mettessi a spiegarle. Le vedremo tutte lassù, se il Signore ci concede la grazia, per la sua misericordia, di introdurci nel suo regno, dove comprenderemo questi segreti.

 

CAPITOLO 2


Continua sullo stesso argomento. Parla della differenza fra unione spirituale e matrimonio spirituale. Lo spiega con sottili paragoni.

 

1. Veniamo ora, dunque, a parlare del divino e spirituale matrimonio, nonostante che tale eccelsa grazia non trovi in questa vita il suo perfetto compimento perché, potendoci ancora allontanare da Dio, perderemmo subito un bene così prezioso. La prima volta in cui Dio concede questa grazia, si compiace di mostrarsi all’anima mediante una visione immaginaria della sua sacratissima umanità, affinché se ne renda ben conto e non ignori di ricevere tale dono divino. Ad altre persone forse si mostrerà in una forma diversa, ma a questa, di cui parliamo, il Signore apparve, quando aveva appena fatto la comunione, in un aspetto di grande splendore, bellezza e maestà, come dopo la sua risurrezione. Le disse che «era ormai tempo che ella si assumesse, quali suoi propri, gli interessi di lui e che egli si sarebbe preso cura di ciò che la riguardava», aggiungendo altre parole che sono più da sentire che da riferire.

2. Ciò potrà, forse, non sembrarvi una novità; anche perché altre volte il Signore si era mostrato a quest’anima nello stesso modo. Ma questa volta la visione fu talmente diversa che la lasciò fuori di sé e piena di turbamento; anzitutto per la violenza con cui agì su di essa; poi per le parole che le furono dette; infine perché nell’intimo dell’anima sua, dove le si presentò, non ne aveva avuto altre, tranne quella di cui ho parlato prima. Sappiate, infatti, che vi è una grande differenza fra tutte le visioni precedenti e quelle di questa mansione: è la differenza che passa tra il fidanzamento e il matrimonio spirituale, o come quella che si ha tra due fidanzati e coloro che non possono più separarsi.

3. Ho già detto che, se anche si fa ricorso a questi paragoni, non essendovene altri che calzino meglio, bisogna tener presente che qui non si pensa più al corpo, come se l’anima ne fosse separata. Qui non c’è altro che puro spirito. Nel matrimonio spirituale, poi, meno ancora, perché quest’unione segreta avviene nel centro più intimo dell’anima, dove credo abiti Dio stesso e dove, secondo me, non c’è bisogno di porta perché vi entri. Dico che non c’è bisogno di porta in quanto, nelle grazie fin qui descritte, sembra che i sensi e le potenze facciano da intermediari, ed è stato così, credo, in questa apparizione del Signore nella sua umanità. Ma ciò che avviene nel matrimonio spirituale è ben diverso. Il Signore appare in questo centro dell’anima non per visione immaginaria, ma intellettuale, benché più delicata di quelle già dette, come apparve agli apostoli, senza entrare per la porta, quando disse loro: Pace a voi. È un così grande segreto e una grazia così sublime ciò che Dio comunica allora in un attimo all’anima, e talmente straordinario il diletto che essa ne prova, che io non so a cosa paragonarli. Posso solo dire che in quel momento il Signore vuole manifestarle la beatitudine che regna in cielo in un modo più elevato che non con ogni altra visione e diletto spirituale. Tutto quello che si può dire – a quanto è dato intendere – è che l’anima, cioè lo spirito di quest’anima, diviene una cosa sola con Dio, il quale, essendo spirito anche lui, vuole mostrarci l’amore che ha per noi, facendo conoscere ad alcune persone fin dove giunga quest’amore, affinché lodiamo la sua grandezza. Egli si compiace, infatti, di unirsi in modo tale alla sua creatura che, come gli sposati che non si possono più separare, egli non si vuole più dividere da essa.

4. Nel fidanzamento spirituale non è così, perché spesso i due promessi si separano, e anche l’unione è diversa. Infatti, pur essendo l’unione il congiungersi di due cose in una, tuttavia esse possono ancora separarsi e sussistere ognuna per conto suo. Pertanto vediamo che ordinariamente questa grazia del Signore passa presto e l’anima si trova, in seguito, senza quella compagnia, nel senso che non la sente più. In quest’altra grazia del Signore non è così, perché l’anima resta sempre con il suo Dio in quel centro di cui ho parlato. Possiamo paragonare l’unione a due candele di cera unite insieme così strettamente che emettono una luce sola, o al lucignolo, alla fiamma e alla cera divenuti una cosa sola. Nondimeno, si può ben separare una candela dall’altra, in modo che sussistano distintamente, o il lucignolo dalla cera. Qui, invece, è come se dal cielo cadesse acqua in un fiume o in una fonte, dove, diventando un’unica massa d’acqua, non si potrà più dividere né distinguere l’acqua del fiume da quella caduta dal cielo; o come se un piccolo ruscello sfociasse nel mare da cui è impossibile separarlo, o come se in una sala vi fossero due finestre dalle quali entrasse una grande luce: anche se entra divisa, diventa poi una luce sola.

5. Forse è quello che intendeva san Paolo quando disse: Chi si avvicina o si unisce a Dio, diventa un solo spirito con lui, accennando a questo sublime matrimonio, il quale presuppone che Sua Maestà si sia già avvicinato all’anima mediante l’unione. E dice anche: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Altrettanto, mi pare, possa ora dire l’anima, perché è qui dove la farfallina, di cui abbiamo parlato, muore, e con estrema gioia, essendo ormai Cristo la sua vita.

6. Questo si comprende meglio, con l’andare del tempo, dagli effetti, perché si riconosce chiaramente, per certe segrete aspirazioni, che è Dio a dar vita alla nostra anima. E, spesso, esse sono così vive da escludere ogni possibilità di dubbio. L’anima infatti le sente in modo assai evidente, benché sia incapace di esprimerle: questo sentimento è così intenso da farla prorompere a volte in parole di tenerezza che sembrano incontenibili, come: «Oh, vita della mia vita e sostegno del mio essere!», ed altre di questo genere. Ciò perché da quelle mammelle divine, con le quali pare che Dio nutra di continuo l’anima, escono allora certi spruzzi di latte che confortano tutti gli abitanti del castello. Sembra che il Signore voglia che essi partecipino, in qualche modo, al grande godimento dell’anima e che da quel fiume di grande portata, dove è finita la piccola sorgente, scaturisca a volte qualche fiotto di quell’acqua celeste, a sostegno di coloro che nell’ordine corporale devono servire questi due sposi. Tutto ciò avviene in un modo simile a quello in cui una persona, se fosse improvvisamente tuffata in acqua, pur essendo distratta, non potrebbe evitare di avvertirlo. Così, e anche con maggior certezza, si avvertono queste operazioni di cui parlo. Ma, siccome non ci potrebbe venire addosso un grande getto di acqua se non ci fosse, ripeto, una sorgente, così s’intende chiaramente che c’è nel nostro intimo chi lancia le saette e dà vita a quella nuova vita; che c’è un sole da cui procede questa grande luce che va a illuminare le potenze dall’interno dell’anima. L’anima, peraltro, come ho detto, non si muove dal suo centro e niente le toglie la sua pace, perché colui che la diede agli apostoli, quando erano riuniti, può darla anche ad essa.

7. Mi è venuto in mente che le parole di questo saluto del Signore e quelle con cui disse alla gloriosa Maddalena di andare in pace dovevano significare molto di più di ciò che il loro suono esprimeva. Infatti, essendo in noi operative le parole del Signore, in quelle anime già ben disposte dovevano operare in tal modo da rimuovere da esse tutto ciò che è corporeo, lasciandole nello stato di puri spiriti, affinché potessero congiungersi, in questa unione celeste, con lo Spirito increato. È fuori dubbio che, vuotandoci di tutto ciò che è creato e distaccandocene per amore di Dio, egli stesso riempirà l’anima di sé. Per questo motivo, Gesù Cristo, nostro Signore, pregando un giorno per i suoi apostoli – non ricordo bene dov’è scritto –, chiese che fossero una cosa sola con il Padre e con lui, come egli è nel Padre e il Padre in lui. Non so se ci possa essere un amore più grande di questo! E ci siamo compresi tutti, perché Sua Maestà disse: Non prego solo per loro, ma anche per tutti quelli che crederanno in me, e aggiunse: Io sono in essi.

8. Oh, mio Dio, come sono vere queste parole! Come le comprende bene l’anima che in quest’orazione le vede adempiute in se stessa! E come potremmo comprenderle tutte noi se non ci rendessimo colpevoli, perché le parole di Gesù Cristo, nostro Re e Signore, non possono mancare! Ma, poiché manchiamo noi, non disponendoci convenientemente e non allontanandoci da tutto ciò che ci può precludere questa luce, non ci vediamo nello specchio che guardiamo, dove è pur impressa la nostra immagine.

9. Ritornando a quello che dicevamo, quando il Signore introduce l’anima in questa sua mansione, che è il centro dell’anima stessa, allo stesso modo in cui, a quanto dicono, il cielo empireo, dove sta Dio, non si muove come gli altri, così l’anima, entrando qui, sembra che non sia più soggetta ai movimenti consueti delle potenze e dell’immaginazione o, per lo meno, che essi non possano nuocerle e toglierle la pace. Sembra quasi che io voglia dire che l’anima, una volta ricevuta da Dio tale grazia, sia sicura della sua salvezza e dell’impossibilità di tornare a cadere. Non intendo dire questo e, dovunque accenno alla sicurezza dell’anima, si deve intendere finché la divina Maestà la tiene con la sua mano ed essa non l’offenda. Almeno so di certo che la persona di cui parlo, pur vedendosi in questo stato e persistendovi da anni, non si ritiene affatto sicura, ma procede con molto maggior timore di prima, guardandosi da ogni più piccola offesa a Dio e, insieme, con vivissimi desideri di servirlo, come si dirà più avanti, e con una continua pena e confusione dovute alla costatazione del poco che può fare e del molto a cui è obbligata: il che non è piccola croce, ma una grande penitenza. A proposito di penitenze, maggiori esse sono, più diletto ne prova. La vera penitenza è per lei quando Dio le toglie la salute e la forza di potervi sottostare. E, sebbene abbia detto in altro luogo quanta sofferenza ciò comporti, qui la pena è assai maggiore, perché tutto proviene dalla radice a cui è abbarbicata. Se un albero piantato in riva all’acqua corrente ha più freschezza e produce più abbondanti frutti, non c’è da meravigliarsi dei desideri di quest’anima, visto che il suo vero spirito è diventato tutt’uno con l’acqua celeste di cui abbiamo parlato.

10. Ed ora, tornando a quello che dicevo, non bisogna credere che le potenze, i sensi, le passioni godano sempre di questa pace; l’anima sì. È vero che in queste altre mansioni non cessa di avere momenti di lotte, di pene e di fatiche, ma esse non sono tali da rimuoverla dal suo luogo e dal privarla della pace. Almeno, ordinariamente è così. Questo centro dell’anima, ossia questo spirito, è una cosa così difficile da chiarire, e anche da credere, che io temo, sorelle, che per il fatto di non sapermi spiegare, voi siate tentate di non prestar fede alle mie parole. Dire infatti che ci sono pene e sofferenze e, al tempo stesso, che l’anima resta in pace, è una cosa strana. Voglio pertanto servirmi di uno o due paragoni. Piaccia a Dio che siano tali da aiutarmi a spiegare qualcosa, ma quand’anche non fosse così, io so che quel che dico è la verità.

11. Il Re è nel suo palazzo, e nel suo regno ci sono molte guerre e molte traversie, ma non per questo egli cessa di stare sul suo trono. Così qui: benché nelle altre mansioni vi sia una gran baraonda, di cui si ode il rumore, e vi si aggirino bestie velenose, non c’è nulla che possa penetrare dove si trova l’anima e rimuoverla da lì. Il rumore che sente, anche se le dà qualche sofferenza, non è tale da agitarla e da toglierle la pace, perché le passioni sono ormai vinte, così da temere di entrare dov’è lei, sapendo che ne uscirebbero più umiliate. Può darsi che ci dolga tutto il corpo, ma se la testa è sana, non ci farà male perché il corpo duole. Rido io stessa di questi paragoni che non mi soddisfano, ma non ne trovo altri. Pensatene quel che volete. Ciò che ho detto è assolutamente vero.

 

CAPITOLO 3


Tratta dei grandi effetti prodotti da questa orazione. Bisogna prestarvi grande cura e attenzione, perché differiscono straordinariamente da quelli delle orazioni precedenti.

 

1. Abbiamo, dunque, detto che la nostra farfallina ormai è morta, felicissima d’aver trovato riposo, e che Cristo vive in lei. Vediamo ora quale sia la sua vita e in che cosa differisca da quella di prima, perché da questi effetti riconosceremo se l’anima ha davvero ricevuto la grazia di cui si è parlato. A quanto ne posso giudicare, gli effetti sono i seguenti.

2. Il primo è un oblio di sé, tale da farle sembrare che realmente non esista più, come si è detto, perché è così trasformata che non si riconosce, né pensa al cielo che l’attende, né alla vita, né all’onore, essendo tutta dedita a procurare la gloria di Dio. Le parole che le ha detto Sua Maestà, cioè «prendersi cura delle cose di lui, perché egli si sarebbe preso cura delle sue», pare che abbiano operato quello che significavano. Pertanto, di tutto ciò che può succedere non ha alcuna preoccupazione, ma uno strano oblio. Sembra, ripeto, che non esista più e vorrebbe non essere nulla in nessuna cosa, tranne che non si accorga di poter contribuire in qualche modo ad accrescere, anche solo di un punto, l’onore e la gloria di Dio: per questo darebbe assai volentieri la vita.

3. Non dovete però credere, figlie mie, che a causa di ciò trascuri di mangiare e di dormire, benché le sia di non poco tormento, e di fare tutto ciò che richiede il suo stato. Qui parliamo di cose interiori. Quanto alle opere esterne c’è poco da dire, perché è proprio questa la sua pena, vedere che le sue forze non le valgono ormai a nulla. Ma, tutto quello a cui può arrivare – e capisce che è in servizio del Signore – non tralascerebbe di farlo per nessuna cosa al mondo.

4. Il secondo effetto è un grande desiderio di soffrire, ma non in modo tale da averne inquietudine, come di consueto, perché desidera così ardentemente che si compia in essa la volontà di Dio, da sentirsi soddisfatta di tutto ciò che Sua Maestà dispone: se vorrà che soffra, sia pure; se non lo vuole, non se ne dispera, come era solita fare.

5. Queste anime, inoltre, quando sono perseguitate, godono di una grande gioia interiore, accompagnata da una pace molto più profonda che negli stati precedenti e non provano il minimo risentimento verso coloro che fanno o desiderano far loro male. Anzi, cominciano ad amarli in modo speciale e, se li vedono in qualche tribolazione, ne soffrono con affettuosa commozione, disposte a qualunque cosa per liberarli da essa. Li raccomandano a Dio con tutto il cuore e rinunzierebbero volentieri a una parte delle grazie che ricevono da Sua Maestà perché le concedesse loro, ed essi non offendessero più nostro Signore.

6. Ciò che più di tutto mi sorprende è questo. Voi avete visto le sofferenze e le afflizioni causate a queste anime dal desiderio di morire per andare a godere di nostro Signore. Adesso invece è così grande l’ansia che esse hanno di servirlo, di lodarlo e, se possono, di giovare a qualche anima che non solo non si augurano di morire, ma desiderano vivere lunghi anni, anche in mezzo a dure sofferenze, nel tentativo di far sì che il Signore venga glorificato a causa del loro sacrificio, sia pure solo di poco. E, se anche avessero la certezza che, appena uscite dal corpo, andrebbero a godere di Dio, non se ne preoccuperebbero, come non si curano di pensare alla beatitudine dei santi: in quel momento non la desiderano. La loro beatitudine consiste nel tentare di aiutare in qualche modo il nostro Dio crocifisso, specialmente quando vedono fino a che punto sia offeso e come pochi cerchino davvero la sua gloria, vivendo distaccati da tutto il resto.

7. È vero che a volte, dimentiche di ciò, sono riprese dall’amoroso desiderio di godere di Dio e sospirano di uscire da quest’esilio, soprattutto considerando quanto lo servano poco, ma non tardano a tornare nello stato di prima. Consapevoli di aver sempre Dio con sé, si sentono soddisfatte e offrono a Sua Maestà l’accettazione della vita come il dono più costoso che esse gli possano fare. Non hanno alcun timore della morte, non più che di un soave rapimento. Ciò perché colui che concedeva prima quei desideri accompagnati da estremo tormento, concede ora questi altri di cui ho parlato. Sia egli per sempre benedetto e lodato!

8. La conclusione è che i desideri di queste anime non sono più di grazie e di diletti, perché esse hanno già con sé il Signore stesso, che vive presentemente in loro. Orbene, come sappiamo, la sua vita non fu che un continuo tormento, e così egli fa in modo che lo sia anche la nostra, almeno per i desideri, perché per il resto si conforma alla nostra debolezza, quantunque intervenga a sostenerci con la sua forza, quando vede che è necessario. Tali anime avvertono un grande distacco da tutto e un vivo desiderio di starsene sempre sole o occupate in ciò che può essere utile ad altre anime. Non vi sono in esse aridità né pene interiori, ma solo il continuo, tenero pensiero di nostro Signore, cui non vorrebbero cessare mai di render lode. Quando si distraggono, il Signore stesso le riscuote nel modo che ho detto, dal quale è ben evidente che quell’impulso – io non so come chiamarlo altrimenti – procede dall’interno dell’anima, come si è detto a proposito degli impeti. Solo che qui tutto avviene con grande dolcezza; non procede né dall’intelletto, né dalla memoria, né da altro in cui si possa pensare che vi sia stato il concorso dell’anima. È, questo, un fenomeno così frequente e ordinario che lo si è potuto osservare con molta attenzione. Come un fuoco, per quanto lo si voglia attizzare, non manda mai la fiamma verso il basso, ma sempre verso l’alto, così qui è evidente che tale movimento interiore procede dal centro dell’anima e va a risvegliare le potenze.

9. È certo che quand’anche non vi fosse altro guadagno in questo cammino dell’orazione, se non quello di conoscere la cura particolare che Dio si prende di comunicarsi a noi e di pregarci – perché si tratta, mi pare, proprio di una preghiera – di stare con lui, mi sembra che tutte le pene che si debbano soffrire sarebbero bene spese per godere di questi tocchi d’amore, così soavi e penetranti. Voi, sorelle, ne avrete certo fatto esperienza perché, una volta giunte all’orazione di unione, il Signore, credo, si prende questa cura, se noi non tralasciamo quella di osservare i suoi comandamenti. Quando ciò vi accadesse, ricordatevi che procede da questa mansione interiore che Dio occupa nella nostra anima, e lodatelo moltissimo. Infatti non vi è dubbio che sia suo quel messaggio, quel biglietto scritto con tanto amore e di cui vuole che solo voi comprendiate la speciale scrittura e sappiate ciò che in esso vi chiede. Non tralasciate in nessun modo di rispondere a Sua Maestà, per quanto possiate essere occupate in cose esteriori o in conversazione con qualche persona. Spesso infatti accadrà che nostro Signore voglia favorirvi in pubblico di questa grazia segreta. Ma, poiché la risposta dev’essere interiore, è molto facile dargliela mediante un atto d’amore o dicendo come san Paolo: Che volete, Signore, che io faccia? In molti modi il Signore v’insegnerà allora come riuscirgli gradite. È quella, per noi, una occasione propizia, perché sembra di capire che egli ci ascolti, e quasi sempre questo suo tocco così delicato dispone l’anima a fare con risoluta volontà quanto si è detto.

10. Ciò che distingue la vita in questa mansione è, ripeto, che qui mancano quasi sempre le aridità e le inquietudini interiori che talvolta si hanno in tutte le altre mansioni. L’anima è ordinariamente in uno stato di quiete; non ha alcun timore che il demonio possa contraffare una grazia così elevata, per la ferma convinzione che Dio ne è l’autore. Qui infatti, come si è detto, i sensi e le potenze non interferiscono affatto. Sua Maestà si è rivelato all’anima e l’ha introdotta nella sua mansione dove, a mio parere, il demonio non oserà entrare né il Signore glielo consentirà. E tutte le grazie che l’anima qui riceve, come ho detto, le vengono concesse senz’altro concorso da parte sua se non quello di un totale abbandono a Dio.

11. Tutto ciò di cui si serve il Signore per arricchire e istruire qui l’anima avviene in tanta pace e in tale assoluto silenzio che mi fa pensare alla costruzione del tempio di Salomone, dove non si doveva sentire alcun rumore. Così in questo tempio di Dio, in questa sua mansione, solo lui e l’anima gioiscono l’uno dell’altro in un profondissimo silenzio. L’intelletto non ha motivo di agitarsi né di fare alcuna ricerca, perché il Signore che l’ha creato vuole che ora si riposi e guardi ciò che avviene da una piccola fessura. Anche se di tanto in tanto questa vista viene meno e non gli è più permesso di guardare, è solo per un brevissimo spazio di tempo. Infatti, a mio giudizio, qui non si perdono le potenze, ma solo non operano e restano come attonite.

12. Io, da parte mia, mi meraviglio nel vedere che, una volta arrivata qui, l’anima non ha più rapimenti o, se ne ha, il che avviene di rado e mai in pubblico come prima, che era il caso più frequente, non è mai con quei trasporti e con quei voli di spirito. A darle tali effetti non servono più neanche quelli che prima erano per essa grandi incentivi di devozione, come la vista di una immagine sacra, o l’udire le parole di una predica – che in realtà non ascoltava – o il suono di una musica. Poiché la povera farfallina era piena di ansia, tutto la spaventava e le faceva prendere il volo. Adesso, o perché ha trovato il suo riposo, o perché in questa mansione ha visto tante meraviglie, non si stupisce più di nulla, fors’anche per il fatto di non sentirsi nella solitudine di prima, godendo di una tale compagnia. Infine, sorelle, non so quale ne sia la causa, ma da quando il Signore comincia a mostrarle le grazie di questa mansione e la introduce in essa, l’anima perde quella gran debolezza che le procurava tanto tormento e di cui non riusciva a liberarsi. Forse il Signore l’ha fortificata, dilatata, dotata di maggiori capacità. Può anche essere che egli, prima, volesse rendere noto in pubblico ciò di cui la favoriva in segreto, per certi fini conosciuti da lui, essendo i suoi disegni superiori a tutto quello che quaggiù possiamo immaginare.

13. Tali effetti, con tutti gli altri che abbiamo detto che sono buoni, nei precedenti gradi di orazione, Dio procura all’anima quando la unisce a sé, con quel bacio che la sposa chiedeva, perché qui io credo che sia esaudita questa sua preghiera. Qui la cerva ferita riceve acqua in abbondanza. Qui essa gioisce nel tabernacolo di Dio. Qui la colomba inviata da Noè a vedere se fosse cessata la tempesta, trova il ramo d’olivo, segno che ha scoperto la terraferma fra le acque e le tempeste di questo mondo. Oh, Gesù! Se potessi conoscere i molti passi contenuti certamente nella sacra Scrittura per far comprendere questa pace dell’anima! Oh, mio Dio, sapendo quanto essa sia importante per noi, fate che i cristiani abbiano la volontà di cercarla e, nella vostra misericordia, non toglietela a quelli cui l’avete concessa, perché, dopo tutto, dovremo sempre vivere nel timore fino a quando non ci diate la vera pace e non ci conduciate dove non potrà aver mai termine. Dico la vera pace, non perché con ciò intenda che questa non lo sia, ma perché, se ci allontanassimo da Dio, potremmo ricadere nella guerra di prima.

14. Ora, che cosa proveranno queste anime al pensiero che potrebbero esser private di un tanto bene? Ciò le induce ad essere più caute e a cercare di trarre forze dalla propria debolezza, per non tralasciare, per loro colpa, qualunque occasione per riuscire maggiormente gradite a Dio. Più si vedono favorite da Sua Maestà, più sono diffidenti e timorose di sé. E, poiché di fronte alle sue grandezze hanno conosciuto meglio le loro miserie e rilevato la gravità dei loro peccati, spesso, come il pubblicano, non osano nemmeno alzare gli occhi. Altre volte, desiderose di sentirsi sicure, invocano la morte, benché subito, rincuorate dall’amore che nutrono per Dio, tornino a desiderare di vivere allo scopo di servirlo, come si è detto, rimettendosi alla sua misericordia per tutto ciò che le riguarda. A volte, il gran numero di grazie ricevute le rende come annichilite, nel timore che accada loro di colare a picco, come una nave troppo carica.

15. Io vi dico, sorelle, che a queste anime non manca la croce, ma che essa non le turba né le priva della pace. Sono croci che passano presto, come una ondata o una tempesta a cui segue la bonaccia. La presenza del Signore, di cui godono, fa loro dimenticare subito tutto. Sia egli per sempre benedetto e lodato da tutte le sue creature! Amen.

 

CAPITOLO 4


Conclude dicendo ciò a cui sembra aspirare nostro Signore nel concedere all’anima così grandi favori, e come sia necessario che Marta e Maria procedano insieme. È un capitolo molto utile.

 

1. Non dovete credere, sorelle, che gli effetti di cui ho parlato siano sempre nello stesso grado. Per questo, quando me ne ricordo, dico che «d’ordinario» è così. Qualche volta infatti nostro Signore lascia le anime al loro stato naturale; allora sembra proprio che tutte le bestie velenose dei dintorni e delle mansioni di questo castello si riuniscano allo scopo di vendicarsene per il tempo in cui non possono raggiungerle.

2. È vero, ciò dura poco, al massimo un giorno o poco più. Inoltre, in questo grande scompiglio ordinariamente occasionato da qualche circostanza esteriore, si vede il profitto che trae l’anima dall’impareggiabile compagnia di cui gode, perché il Signore le accorda una grande fermezza affinché non si discosti minimamente dal suo servizio, così che neppure per un primo, impercettibile moto si allontana dalla sua determinazione. Come dico, accade raramente e solo perché il Signore vuole, in primo luogo, che non perda il ricordo di quel che essa sia e si mantenga sempre umile, e in secondo luogo perché comprenda meglio ciò che deve a Sua Maestà e la grandezza della grazia che riceve, per la quale gli renda lode.

3. Non vi passi neanche per la mente, però, che queste anime, nonostante i loro vivi desideri e la loro ferma determinazione di non commettere una imperfezione per nessuna cosa al mondo, possano evitare di commetterne molte, e anche di cadere in peccati. Deliberatamente no, perché credo che in questo il Signore dia loro un aiuto particolare. Parlo, inoltre, di peccati veniali, non di quelli mortali, da cui, una volta che li riconoscano, sono esenti, benché non si sentano sicure, essendo possibile che di alcuni non si rendano conto, il che dev’essere per loro un grande tormento. Altro tormento è la vista delle anime che si perdono, e nonostante abbiano, in qualche modo, la speranza di non essere del loro numero, quando ricordano alcuni personaggi di cui parla la sacra Scrittura, che sembravano favoriti dal Signore, come, ad esempio, un Salomone, il quale comunicò tante volte con Sua Maestà, non possono fare a meno di temere. E quella fra voi che si sente più sicura, sia proprio lei a temere di più, perché beato l’uomo che teme Dio, dice Davide. Sua Maestà ci protegga sempre! Supplicarlo di farci questa grazia, affinché non si debba offenderlo mai, è la maggiore sicurezza che possiamo avere. Sia egli per sempre lodato!

4. Sarà bene che vi dica, sorelle, a quale scopo il Signore ci concede tante grazie in questo mondo. Anche se dai loro effetti lo avrete capito, purché vi abbiate prestato attenzione, voglio ripetervelo qui, affinché nessuna pensi che egli lo faccia solo per la gioia delle anime cui le concede, il che sarebbe un grande errore, in quanto Sua Maestà non può farci una grazia maggiore del dono di una vita conforme a quella vissuta dal suo amatissimo Figlio. Pertanto sono sicura che queste grazie hanno lo scopo di fortificare la nostra debolezza, come ho già detto qualche volta, perché lo si possa imitare nelle sue grandi sofferenze.

5. Abbiamo sempre visto che coloro i quali si sono avvicinati di più a Cristo, nostro Signore, sono quelli che hanno sofferto più gravi angosce: pensiamo alle sofferenze della sua gloriosa Madre e dei suoi gloriosi apostoli. E san Paolo, come credete che abbia potuto sopportare così dure sofferenze? In lui ci è dato vedere quali siano gli effetti delle vere visioni e contemplazioni, cioè quelle provenienti da nostro Signore e non frutto d’immaginazione o d’inganno del demonio. Forse che egli si nascose, ricevute quelle grazie, per goderne le delizie e non occuparsi d’altro? Vi è ben noto che non ebbe un giorno di riposo, per quanto possiamo saperne, neppure di notte, perché la notte gli serviva a guadagnarsi da vivere. Mi piace molto pensare a san Pietro allorché, durante la sua fuga dal carcere, gli apparve nostro Signore e gli disse che andava a Roma per essere crocifisso un’altra volta. Non recitiamo mai l’Ufficio della solennità che ricorda questo fatto, senza che io ne provi una gioia particolare. Dopo questa grazia del Signore, come rimase san Pietro e cosa fece? Andò subito incontro alla morte, e non fu piccolo favore di Dio trovare chi gliela desse.

6. Oh, sorelle mie, come dev’essere incurante del proprio riposo, quanto poco deve importarle dell’onore e come deve sentirsi lontana dal desiderare di esser tenuta in qualche considerazione, l’anima in cui il Signore abita in modo così particolare! Certamente, se essa s’intrattiene a lungo con lui, com’è giusto, poco può pensare a sé: tutta la sua mente è occupata nel cercare di accontentarlo maggiormente e nel trovare l’occasione e il mezzo di dimostrargli l’amore che ha per lui. Questo è il fine dell’orazione, figlie mie; a questo serve il matrimonio spirituale, a far nascere sempre nuove opere.

7. In ciò, come ho già detto, è il vero segno che si tratta di favore e di grazia divina. Mi gioverebbe poco, infatti, starmene profondamente raccolta in solitudine, intenta ad operazioni interiori alla presenza di nostro Signore, proponendomi e promettendo di far meraviglie al suo servizio, se poi, uscendo da lì, quando si presenta l’occasione, faccio tutto il contrario. Ma ho sbagliato a dire che mi gioverebbe poco, perché tutto il tempo che si passa con Dio è sempre molto proficuo, e anche se poi siamo deboli nell’adempimento delle nostre risoluzioni, qualche volta Sua Maestà ci può dare il modo di venirne a capo, e fors’anche nostro malgrado, come accade spesso. Infatti, quando vede un’anima pusillanime, le manda, nonostante la sua riluttanza, una sofferenza molto grande da cui la fa uscire vittoriosa. Visto ciò, l’anima allora depone ogni timore e si offre a Dio con maggiore coraggio. Ho voluto dire che giova poco, in confronto al maggior vantaggio che si trae dal conformare le opere agli atti interiori e alle parole. Colei che non potesse riuscirvi in una volta sola, lo faccia a poco a poco. Pieghi man mano la sua volontà, se vuole che l’orazione le sia utile: all’interno delle nostre quattro mura non mancheranno molte occasioni per poterlo fare.

8. Badate che questo serve assai di più di quanto io riesca a raccomandarlo. Fissate il vostro sguardo sul Crocifisso e tutto vi sarà facile. Se Sua Maestà ci ha dimostrato il suo amore con così meravigliose opere e con così atroci tormenti, come volete contentarlo soltanto con parole? Sapete in cosa consista essere davvero spirituali? Farsi schiavi di Dio, marcati dal suo ferro, che è quello della croce, avendogli dato la nostra libertà, sì che egli ci possa vendere quali schiavi di tutto il mondo, come lo fu lui, e credere che non ci rechi, così facendo, nessun torto, ma, al contrario, ci conceda una non piccola grazia. Se non ci decidiamo a questo, possiamo essere sicure di non fare mai grandi progressi, perché tutto il fondamento di quest’edificio, come ho detto, è l’umiltà, e il Signore non ci eleverà mai molto se questa virtù non è ben salda, anche per il nostro stesso bene, nel timore che tutto crolli. Pertanto, sorelle, perché l’edificio abbia buone fondamenta, ognuna di voi cerchi di essere inferiore a tutte e schiava di esse, cercando come o per quali vie può compiacere e servire le altre. Tutto ciò che farete in questo modo tornerà più a vostro vantaggio che al loro: porrete, infatti, pietre così salde che non ci sarà da temere la caduta del castello.

9. Ripeto che a tal fine occorre che il vostro fondamento non consista solo nella preghiera e nella contemplazione, perché se non cercate di acquistare virtù e di praticarne l’esercizio, resterete sempre nane. E Dio voglia che non si fermi il vostro crescere, perché sapete bene che chi non cresce decresce. Ritengo, infatti, impossibile che l’amore, quando c’è, si accontenti di rimanere stazionario.

10. Forse vi sembrerà che io parli a coloro che cominciano, i quali, in seguito, potranno riposarsi. Vi ho già detto che se queste anime interiormente godono del riposo, è perché esteriormente ne hanno molto meno e neanche lo desiderano. A cosa pensate infatti che mirino quelle ispirazioni o, per meglio dire, aspirazioni e quei messaggi che l’anima invia dal suo centro interiore a coloro che stanno nella parte più alta del castello e nelle mansioni poste al di fuori del luogo dove essa si trova? Forse a indurli a dormire? No, no, no! Da quel centro l’anima scatena una guerra accanita per impedire alle potenze, ai sensi e a tutto ciò che riguarda il corpo di starsene in ozio, più di quanto non abbia fatto allorché soffriva con essi. Allora, infatti, essa non conosceva il grande guadagno che rappresentano le sofferenze, delle quali , forse, Dio si è servito per condurla fin lì; inoltre, la compagnia di cui gode le dà forze ben più grandi di prima. Se, come dice Davide, con i santi saremo santi, non vi è alcun dubbio che l’anima, essendo divenuta una cosa sola con chi è forte per eccellenza, mediante questa unione sovrana di spirito con spirito, debba partecipare della sua forza. Ci renderemo così conto di quella che hanno avuto i santi per patire e morire.

11. È ben certo, inoltre, che l’anima condivide la forza così ricevuta con tutti gli abitanti del castello e anche con lo stesso corpo, il quale spesso sembra insensibile. Ma il vigore acquistato dall’anima bevendo il vino di questa cantina, dove l’ha introdotto lo Sposo e da cui non la fa uscire, si riversa sulla sua debolezza, come nel processo della nutrizione il cibo ricevuto dallo stomaco fortifica la testa e il resto del corpo. Tuttavia, finché vive, il corpo ha una sorte ben diversa perché, per quanto faccia, tutto sembra nulla di fronte alla forza interiore dell’anima, che è molto superiore, e alla guerra che essa gli fa. Questa dev’essere stata l’origine delle grandi penitenze alle quali si assoggettarono molti santi, specialmente la gloriosa Maddalena, che era sempre vissuta fra tante delizie, e della fame sofferta dal nostro padre Elia dello zelo per la gloria di Dio, e dell’ardente desiderio che ebbero san Francesco e san Domenico di radunare anime che potessero rendere lode al Signore. Vi assicuro che, dimentichi totalmente di sé, dovettero soffrire non poco.

12. Vorrei, sorelle, che cercassimo di conseguire questo scopo, e non per goderne, ma per avere la forza di servire Dio. Desideriamo e pratichiamo l’orazione, ma non cerchiamo di andare per una strada che non è battuta, perché ci perderemmo sul più bello. Sarebbe, inoltre, davvero singolare pensare di ottenere da Dio queste grazie per una via diversa da quella percorsa da lui e da tutti i suoi santi. Non ci sfiori neanche la mente: credetemi. Marta e Maria devono procedere insieme, perché si possa ospitare il Signore, tenerlo sempre con sé e trattarlo come si conviene, offrendogli il necessario nutrimento. Come avrebbe potuto dargli il cibo Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se sua sorella non l’avesse aiutata? E dargli cibo per il suo nutrimento significa procurare in tutti i modi di guadagnare anime affinché si salvino e lo lodino eternamente.

13. Ma voi mi farete osservare due cose: la prima, la stessa dichiarazione di Gesù, che Maria aveva scelto la parte migliore. Sì, perché aveva già disimpegnato il compito di Marta, dimostrando il suo amore al Signore lavandogli i piedi e asciugandoglieli con i suoi capelli. Credete che sia stato poco mortificante per una signora come lei, andare per quelle strade, e forse sola, perché l’ardore le impediva di rendersene conto, ed entrare dove non aveva mai messo piede, e soffrire in seguito la mormorazione del fariseo e le molte altre cose che dovette sopportare? Se oggi sarebbe motivo di sparlare di persone non così famose, cosa sarà stato, allora, il vedere in pubblico una donna così radicalmente cambiata, per gente così malvagia, cui bastava – come sappiamo – essere a conoscenza della sua amicizia con il Signore, da loro tanto detestato, per rivangare la sua vita passata e dire che ora voleva farsi santa? Infatti, evidentemente, doveva aver subito mutato, con il modo di vestire, tutto il suo genere di vita. Vi assicuro, sorelle, che la «parte migliore» non le fu data se non a prezzo di grandi sofferenze ed enormi mortificazioni. Del resto, non foss’altro il vedere così detestato il suo Maestro dovette esserle di un dolore intollerabile. Cosa dire, poi, di quello che soffrì alla morte del Signore e durante gli anni che le restarono da vivere, nel vedersi priva di lui? Dovette essere per lei un indicibile tormento. È evidente da ciò che non stava sempre ai piedi del Signore, nelle dolcezze della contemplazione.

14. L’altra cosa che mi direte è che voi non potete, mancando di mezzi adeguati, guadagnare anime a Dio. Lo fareste molto volentieri, ma non potendo insegnare né predicare, come facevano gli apostoli, non sapete in che modo conseguirlo. A ciò ho già risposto varie volte per iscritto, forse anche in questo Castello. Ma siccome è un pensiero che credo vi passi per la testa, fra i desideri che vi dà il Signore, lo ripeterò ancora una volta qui. Vi ho già detto altrove che a volte il demonio ci ispira grandi desideri, affinché non ci gioviamo di ciò che abbiamo tra mano per servire il Signore in cose possibili, e ci riteniamo soddisfatte di aver aspirato a quelle impossibili. Lasciando da parte che, mediante l’orazione, contribuirete molto a guadagnare anime a Dio, non dovete pretendere di giovare al mondo intero, ma limitare il vostro impegno alle persone che stanno con voi. In tal modo la vostra opera sarà più meritevole, perché ad esse siete più obbligate. Vi sembra che sia poco guadagno se la vostra grande umiltà e mortificazione, la vostra compiacenza e la vostra carità verso le consorelle, e il vostro amore per il Signore siano un fuoco che le infiammi tutte, e che le vostre virtù servano a stimolarle di continuo? Il guadagno sarà grande e molto gradito al Signore il servizio che gli renderete. Sua Maestà, vedendovi impegnate con tutte le vostre forze, comprenderà che sareste disposte, potendolo, a fare molto di più, pertanto vi ricompenserà come se gli aveste guadagnato molte anime.

15. Direte che questo non è convertire, perché tutte le vostre consorelle sono già virtuose. Ma di che volete darvi pensiero? Più saranno perfette, più le loro lodi saranno gradite al Signore e più la loro orazione sarà utile al prossimo. Infine, sorelle mie, e con questo concludo, guardiamoci dall’innalzare torri senza fondamenta. Il Signore non guarda tanto alla grandezza delle opere quanto all’amore con cui si compiono. Se facciamo tutto quello che è nelle nostre possibilità, Sua Maestà farà sì che tali possibilità aumentino di giorno in giorno, purché non ci stanchiamo subito, ma gli offriamo, nella breve durata di questa vita – sarà forse anche più breve di quanto ognuna di voi pensi –, interiormente ed esteriormente, tutto il sacrificio di cui siamo capaci. Egli l’unirà a quello che offrì per noi al Padre sulla croce, dandogli il valore meritato dal nostro amore, per quanto piccole siano le nostre opere.

16.Piaccia a Sua Maestà, sorelle e figlie mie, che noi possiamo vederci tutte riunite nel luogo dove lo loderemo per sempre! Mi dia egli la grazia di fare qualcosa di quello che vi raccomando, per i meriti di suo Figlio che vive e regna eternamente, per tutti i secoli dei secoli. Amen. Vi ripeto che mi sento piena di confusione, pertanto vi supplico, nel nome del Signore, di non dimenticarvi nelle vostre preghiere di questa povera miserabile.

 

JHS

[EPILOGO]

 

1. Anche se quando ho cominciato a scrivere quest’opera, come ho detto all’inizio, l’ho fatto assai contro voglia, una volta finita, essa mi ha dato molta soddisfazione e ritengo ben impiegata la fatica che mi è costata, fatica che, del resto, riconosco ben lieve. Considerando, sorelle mie, la stretta clausura, i pochi motivi di distrazione che avete e la mancanza, in alcuni vostri monasteri, anche di spazio conveniente al bisogno, mi sembra che possa esservi di conforto ricrearvi in questo castello interiore, dovete avete la libertà di entrare e di passeggiare in qualunque ora, senza il permesso delle priore.

2. È vero che, mediante le vostre forze, anche se vi sembra che siano grandi, non potrete entrare in tutte le mansioni. Bisogna che v’introduca in esse lo stesso Signore del castello. Pertanto, se troverete qualche resistenza, vi consiglio di non voler forzare le cose, perché lo indisporreste in modo tale che non vi consentirebbe più di entrarvi. Egli ama molto l’umiltà e, se vi riterrete tali da non meritare neppure l’ingresso alle terze mansioni, guadagnerete ben presto dalla sua benevolenza l’entrata alle quinte. E da lì, continuando a recarvici spesso, lo potrete servire così bene che v’introdurrà nella stessa mansione che egli si è riservata, dalla quale non uscirete più, a meno che non siate chiamate dalla priora, la cui volontà questo nostro grande Signore vuole adempiuta come la sua propria. E quand’anche, per obbedire al suo ordine, doveste restar fuori molto tempo, al ritorno vi farà trovare sempre la porta aperta. Una volta abituate a godere di questo castello, tutte le cose, anche se molto ardue, vi sembreranno lievi, nella speranza di ritornarvi; il che non può esservi impedito da alcuno.

3. Benché non si parli che di sette mansioni, ognuna di esse ne racchiude ancora molte, in basso, in alto e ai lati, con bei giardini, fontane, piccoli boschetti dai viali intricati e altre cose talmente incantevoli da farvi struggere nelle lodi del grande Dio che le ha create a sua immagine e somiglianza. Se troverete qualcosa di buono in quanto ho scritto per farvelo conoscere, credete senza alcun dubbio che a parlare è stato Sua Maestà per vostra consolazione. Quando invece troverete qualcosa che non va bene, è opera mia.

4. In cambio del grande desiderio che ho di contribuire ad aiutarvi a servire questo mio Dio e Signore, vi chiedo che ogni volta che leggerete questo scritto lodiate Sua Maestà, pregandolo per l’incremento della sua Chiesa, perché illumini i luterani e, quanto a me, perché perdoni i miei peccati e mi tragga fuori dal purgatorio, ove forse sarò, per la misericordia di Dio, quando potrete leggere questo libro se, dopo l’esame dei dotti, verrà giudicato degno di essere conosciuto. E, se ci fosse qualche errore, ne è causa la mia ignoranza. Io mi sottometto in tutto a quanto insegna la santa Chiesa cattolica romana, nutrendo per essa profonda devozione, nella quale protesto e prometto di voler vivere e morire. Il Signore Dio nostro sia sempre lodato e benedetto! Amen, amen.

5. Questo scritto è stato terminato nel monastero di San Giuseppe di Avila, nell’anno 1577, la vigilia di sant’Andrea, a gloria di Dio che vive e regna per sempre, nei secoli dei secoli. Amen.