LA VOCAZIONE DI UN CARMELO TERESIANO CHIAMATO A VIVERE IN DIALOGO CON DIO E CON I FRATELLI!

Il Cammino di Perfezione


Cammino di perfezione

(Escorial)




JHS

 

PROLOGO


 

1. Le sorelle di questo monastero di San Giuseppe, sapendo che avevo il permesso dal padre Presentato fra Domenico Báñez, dell’Ordine di san Domenico, attualmente mio confessore, di scrivere alcune cose sull’orazione, che forse mi verranno bene, per averne trattato con  molte persone spirituali e sante, per il grande amore che mi portano hanno tanto insistito affinché ne dica loro qualcosa, che mi sono decisa a farlo, quantunque ci siano tanti libri scritti molto bene da chi sapeva il fatto suo. Sembra che una volontà ben disposta renda, a volte, alcune cose imperfette e lacunose più accettabili di altre più perfette. Per questo motivo, ripeto, sono stati così forti i desideri che ho notato in loro e l’insistenza con cui mi chiedevano, che mi sono decisa ad affrontare il lavoro. Mi sembra che per le loro preghiere e per la loro umiltà, il Signore mi concederà di dire loro qualcosa di utile e di accordarmelo per passarglielo. Se non riuscissi nel mio intento, chi per primo vedrà il mio lavoro – sarà poi il suddetto padre Presentato – lo brucerà e io non avrò perduto nulla nell’obbedire a queste serve di Dio, le quali vedranno che cosa so fare da me quando Sua Maestà non mi aiuta.

2. Penso d’indicare alcuni rimedi per combattere le tentazioni delle religiose, e l’intenzione che mi ha mosso a fondare questa casa, dico a volerla avviata con la perfezione che vi si pratica, come viene esposto nelle nostre stesse Costituzioni. Penso di dire altre cose, come il Signore mi ispirerà e come le comprenderò e mi verranno alla memoria, poiché, non sapendo ancora che cosa devo dire, non posso precisarlo con ordine; e credo sia meglio non seguire uno schema prestabilito, essendo fuori di ogni ordine che rediga io questo lavoro. Il Signore mi aiuti in tutto quello che farò, affinché sia conforme alla sua santa volontà, perché questa è la mia costante aspirazione, anche se le opere sono difettose come lo sono io.

3. So che in me non mancano l’amore e il desiderio di aiutare, per quanto mi è possibile, le mie sorelle a progredire molto nel servizio del Signore; e questo mio amore, unitamente agli anni e all’esperienza che ho di alcuni monasteri, può forse aiutarmi a riuscire in piccole cose meglio dei teologi. Costoro, per il fatto di avere altre occupazioni più importanti e di essere uomini forti, non prestano troppa attenzione a cose che in se stesse non sembrano di alcun valore, mentre tutto può recare danno a chi è così debole come noi donne: molte sono le furberie del demonio per le monache di stretta clausura, contro le quali vede che gli sono necessarie armi nuove. Io, nella mia miseria, mi sono difesa assai male, pertanto vorrei che le mie sorelle imparassero dal mio esempio. Non dirò nulla che non sia frutto d’esperienza, o per averla provata in me o per averla osservata in altre anime, o non mi sia stata fatta comprendere dal Signore durante l’orazione.

4. Pochi giorni fa scrissi una specie di relazione della mia vita. Può darsi che il mio confessore non ve la lasci leggere, perciò riporto alcune cose riguardanti l’orazione conformemente a quelle contenute là, insieme ad altre che mi sembrano necessarie. Il Signore – l’ho supplicato per questo – vi metta la sua mano e lo volga alla sua maggior gloria! Amen.



 

CAPITOLO 1


Motivo che m’indusse a fondare questo monastero con una Regola tanto severa e i modi in cui le sorelle se ne1 avvantaggiano, non badando alle necessità del corpo e desiderando il bene della povertà.

 

1. All’inizio della fondazione di questo monastero (per le ragioni esposte nel libro che ho detto d’aver scritto, dove ho anche parlato di alcune straordinarie grazie con le quali il Signore mi fece conoscere che in questa casa doveva essere servito con molta generosità), non era mia intenzione che ci fosse tanto rigore nella forma esterna [della Regola], né che il monastero mancasse di rendita, anzi, avrei voluto che ci fosse stata la possibilità di non farvi mancare nulla; insomma, ero debole e dappoco, quantunque fossi animata da buone intenzioni e non pensassi certo alla mia comodità.

2. Venni a sapere dei danni provocati in Francia dai luterani e quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, che questi almeno fossero buoni amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che sono qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciare tutto per amore suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine, pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.

3. Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che vi sono stati inflitti dagli ebrei, Signore dell’anima mia?

4. Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso vi è così poco fedele, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che abbiamo gratificato con maggiori benefici i cristiani, perché ci debbano serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che, per bontà del Signore, siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano sono già preda del demonio? Un bel castigo si sono guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male che è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.

5. Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore, affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere certe cose, di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col farlo, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza. Certo è, se non fosse per venire incontro alla debolezza umana, che si consola nel sentirsi aiutata in tutto, sarei lieta di far capire a tutti che non sono queste le cose per cui supplicare Dio, [nel monastero di] san Giuseppe.

 

 


CAPITOLO 2


Mostra come non ci si debba preoccupare delle necessità corporali e quale sia il vantaggio della povertà.

 

1. Non pensate, sorelle mie, che, per questo non dobbiate avere di che mangiare, ve l’assicuro io. Non cercate mai di sostentarvi con artifizi umani, perché morirete di fame e giustamente. Tenete gli occhi fissi sul vostro Sposo; è lui a dovervi provvedere del necessario. Una volta che egli è contento di voi, anche coloro che vi sono meno affezionati vi daranno da mangiare, loro malgrado, come l’esperienza vi ha fatto costatare. Se poi, così facendo, doveste morire di fame, fortunate le monache di san Giuseppe! Ve lo dico io, le vostre preghiere saranno accolte e faremo qualcosa di ciò che ci siamo prefisse. Non dimenticatelo mai, per amor di Dio, figlie mie: poiché avete rinunziato alle rendite, rinunziate ugualmente ad ogni preoccupazione circa il vostro nutrimento, altrimenti tutto sarebbe perduto. Coloro che, per volere di Dio, hanno siffatte preoccupazioni, le abbiano pure! È giustissimo, perché essi seguono la loro strada, ma per noi, sorelle, è una pazzia.

2. Contare sulle rendite altrui è, secondo me, pensare vanamente a ciò di cui il prossimo gode; come se con questo gli altri possano cambiare parere e si sentano ispirati a farvi l’elemosina. Lasciate questa cura a colui che può toccare tutti i cuori ed è il padrone delle rendite e di chi le possiede. Noi siamo venute qui seguendo la sua chiamata; le sue parole sono veritiere, perciò si realizzano sempre: passeranno piuttosto i cieli e la terra. Non veniamogli meno noi e non temiamo che egli ci venga meno. E, se talvolta egli ci verrà meno, sarà per un maggior bene, come accadeva ai santi che, quando venivano uccisi per il Signore, vedevano aumentare la gloria a causa del martirio. Bel cambio sarebbe farla presto finita con tutto e godere l’eterna felicità!

3. Considerate, sorelle, l’importanza di questa raccomandazione; il motivo per cui la lascio qui per iscritto è che non la dimentichiate dopo la mia morte; finché vivo, infatti, ve la ricorderò io stessa, conoscendo per esperienza il gran profitto che si ottiene dal metterla in pratica. Meno si possiede, più si è liberi da preoccupazioni, ed il Signore sa che mi pare in verità di avere maggior pena quando le elemosine abbondano che non quando ci mancano. Non so se ciò avvenga per avere ormai visto che il Signore ci viene subito in aiuto. Sarebbe ingannare il mondo se fosse altrimenti: farci passare per povere, senza esserlo nello spirito, ma solo esteriormente. Me ne farei uno scrupolo di coscienza, mi sembrerebbe di approfittare di coloro che ci beneficano, come suol dirsi, e mi sembrerebbe d’essere una di quelle ricche che chiedono l’elemosina. Piaccia a Dio che non sia così perché, là dove esistono – intendo dire dove esistessero – queste preoccupazioni esagerate di avere elemosine, una volta o l’altra si finisce col contrarne l’abitudine e con l’andare a chiedere ciò che non è necessario a chi forse ha più bisogno di noi. Anche se i benefattori, lungi dal perdere alcunché, non potrebbero che guadagnare, noi perderemmo di sicuro. Dio non voglia, figlie mie! Qualora ciò dovesse accadere, preferirei che aveste rendite.

4. In nessun modo, dunque, dovete preoccuparvi di questo; ve lo chiedo come un’elemosina per amore di Dio; e se la più giovane tra voi venisse a scoprire per caso una tale propensione in questa casa, invochi Sua Maestà e lo faccia presente alla sorella maggiore. Con umiltà le dica che è in errore e che, così facendo, a poco a poco si arriverà alla perdita della vera povertà. Io spero nel Signore che ciò non avvenga e che egli non abbandonerà le sue serve. A tal fine, se non altro, poiché mi è stato comandato di scrivere, l’avviso di questa povera peccatrice serva a ricordarvelo.

5. Credetemi, figlie mie, per il vostro bene Dio mi ha fatto capire qualcosa dei tesori racchiusi nello spirito della santa povertà, e quelle tra voi che ne faranno esperienza lo capiranno; forse, però, non tanto come me, perché io non solo non sono stata povera di spirito, malgrado ne avessi fatto il voto, ma insensata. La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i tesori del mondo; racchiude anche in sé il tesoro di molte virtù. Non lo affermo assolutamente, perché non conosco il valore di ciascuno di esse e non intendo pronunciarmi su ciò che non conosco, ma per conto mio ritengo che ne abbracci molte. La povertà ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare. Che m’importa, infatti, dei re e dei potenti se non voglio le loro ricchezze, né intendo compiacere ad essi, quando per causa loro mi può accadere di dover dispiacere, sia pur poco, a Dio? Manderei tutto a male: mi sembra infatti che onore e denaro vadano sempre di pari passo. Chi desidera gli onori non disprezza le ricchezze, mentre chi disprezza le ricchezze poco si cura degli onori.

6. Si cerchi di capire bene questo perché, a mio avviso, il desiderio degli onori trae sempre con sé un qualche attaccamento a rendite e a denari; è assai raro, infatti, che sia oggetto di onori, nel mondo, chi è povero; anzi, sebbene ne sia degno, è tenuto in poco conto. La vera povertà trae con sé un onore così grande che sarebbe quasi insopportabile; ma la povertà che si abbraccia solo per Dio non ha bisogno, ripeto, di contentare nessuno tranne lui; ora, è fuori d’ogni dubbio che, non avendo bisogno di nessuno, si abbiano molti amici. Io l’ho costatato per mia esperienza personale.

7. Poiché su questa virtù si sono scritte tante cose che io non so comprendere né tanto meno spiegare, confesso che ero così estasiata che finora non mi sono resa conto della necessità di parlarne. Ora che me ne sono accorta, tacerò, ma ciò che è stato detto resti detto, se si trova che va bene. E sia tutto per amore del Signore, poiché la nostra insegna è la santa povertà che, all’inizio della fondazione del nostro Ordine, era stimata e osservata fedelmente dai nostri santi Padri (chi conosce bene la storia mi ha assicurato che essi non conservavano nulla un giorno per l’altro) e, dal momento che non la pratichiamo più con altrettanta perfezione esteriormente, procuriamo almeno di osservarla in modo perfetto nel nostro intimo. Per due sole ore di vita il premio sarà senza fine; e quand’anche non ve ne fosse altro che quello di seguire un consiglio di Cristo, la paga resterebbe sempre grande.

8. Ecco le armi che devono figurare sulle nostre bandiere e che dobbiamo custodire in ogni circostanza, in casa, nel modo di vestire, nelle parole e soprattutto nel pensiero. Finché vi atterrete a questa norma, non temete che abbia a decadere l’osservanza della Regola in questa casa, con l’aiuto  di Dio, perché, come diceva santa Chiara, forti mura sono quelle della povertà. Di queste mura – ella diceva – voleva veder recinti i suoi monasteri, e certamente, se la si osserva davvero, l’onore del monastero e tutto il resto viene salvaguardato molto meglio che non con sontuosi edifici. Guardatevi bene dal costruirne di tali, ve ne scongiuro in nome di Dio e del suo sangue e, se posso dirlo in tutta coscienza, mi auguro che crollino il giorno stesso in cui siano costruiti e vi ammazzino tutte. Ve lo dico con buona coscienza e lo chiederò a Dio.

9. Mi sembra assai sconveniente, sorelle mie, costruire grandi case con il denaro dei poveri: a tanti di loro manca il necessario. Dio non vi permetta mai di avere più di una povera e piccola casa. Cerchiamo di somigliare in qualche cosa al nostro Re, che non ebbe per casa se non la stalla di Betlemme dove nacque. Coloro che le costruiscono grandi, avranno i loro buoni motivi; io non li condanno, certo. Essi nutrono intenzioni diverse. Ma per tredici poverette, qualunque angolo è sufficiente. Se è reso necessario dalla stretta clausura, potrete avere anche un giardino e romitori dove ritirarvi a pregare. Tanto meglio, perché la nostra miserabile natura ha bisogno di sollievo. Ma edifici e dimore spaziose con alcunché di ricercato, niente. Dio ce ne liberi! Ricordatevi sempre che il giorno del giudizio farà tutto cadere: che sappiamo se tal giorno verrà presto?

10. Ora, che la casa di tredici povere piccole monache faccia un gran rumore, cadendo, non sta bene, perché i veri poveri non fanno mai rumore: essi devono essere gente senza rumore perché si abbia di loro compassione. E quale sarà la vostra gioia se vedrete qualcuno scampare dall’inferno per l’elemosina che vi avrà fatto! Tutto, certo, è possibile, tanto più che voi siete molto obbligate a pregare costantemente per le anime dei vostri benefattori, dandovi essi di che vivere. Il Signore, infatti, benché tutto ci venga da lui, vuole anche che siamo riconoscenti alle persone mediante le quali ce lo offre, e non bisogna trascurare questo debito di gratitudine. Non ricordo più quello che avevo cominciato a dire, perché mi sono allontanata dall’argomento. Credo che così abbia voluto il Signore, perché non avrei mai pensato di scrivere quello che ho detto ora qui. Sua Maestà ci sostenga sempre con il suo aiuto, affinché non venga mai meno fra noi la perfezione di povertà. Amen.



 

CAPITOLO 3


Continua il medesimo argomento.

 

1. Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso [da questi eretici] (benché si sia cercato di radunar soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più), mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa fortificare molto bene; di là piomba di quando in quando su di essi, e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, ma gente scelta, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.

2. Ma perché ho detto questo? Affinché voi comprendiate, sorelle mie, che ciò di cui dobbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico, ma li sostenga tutti con la sua mano ed egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella, che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, cerchiamo di fare in modo che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.

3. Forse vi domanderete perché insisto tanto su questo punto e perché dobbiamo aiutare quelli che sono migliori di noi. Ve lo dirò, perché non credo che comprendiate ancora bene quanto dobbiate al Signore per il fatto che vi ha condotte in una casa dove siete così libere da interessi materiali, da occasioni pericolose e dal contatto con il mondo. Questa è una grande grazia che non hanno coloro di cui parlo, né conviene oggi, meno che in altri tempi, che siano liberi da tutto ciò perché sono proprio essi che devono sostenere i deboli e dare coraggio ai pavidi. Starebbero bene i soldati senza i capitani! Devono, quindi, vivere fra gli uomini, conversare con loro, soggiornare nei palazzi e anche conformarsi a volte esteriormente a loro. Credete voi, figlie mie, che ci voglia poca virtù per trattare con il mondo, vivere in mezzo al mondo, occuparsi degli affari del mondo, conformarsi, come ho detto, alle conversazioni del mondo, ed essere interiormente estranei al mondo, nemici del mondo, vivere in mezzo al mondo, vivendo in esso come chi vive in esilio e, infine, non essere uomini, ma angeli? Se, infatti, non fosse così, non meriterebbero il nome di capitani, e allora il Signore non permetta che escano dalle loro celle, perché faranno più male che bene. Non è, infatti, questo il tempo che consenta di scorgere imperfezioni in coloro che devono essere di esempio.

4. Se nel loro intimo non hanno la salda convinzione che occorre disprezzare tutti i beni della terra, staccarsi da ciò che ha fine e attaccarsi alle cose eterne, per molto che vogliano dissimularlo, finiranno col rivelarsi quali realmente sono. Del resto, non trattano essi forse con il mondo? Bene, siano pur certi che il mondo non perdonerà loro nulla e che nessuna delle loro imperfezioni potrà sfuggirgli. Delle buone azioni molte passeranno inosservate e fors’anche non saranno considerate tali, ma per quelle cattive o imperfette non sarà così, stiano certi. Ora io mi domando, piena di meraviglia, chi mai abbia potuto indicare al mondo la perfezione, non perché la osservi (perché a ciò non crede di essere minimamente obbligato, come se non fosse tenuto a contentare Dio,  sembrandogli di far molto se osserva in una certa misura i comandamenti), ma per condannare tali altri di cui a volte ciò che è virtù sembra sia fatto a soddisfazione personale. Pertanto, non pensiate che a questi uomini sia necessaria solo una limitata grazia divina per sostenere la dura lotta in cui si cimentano; occorre loro, al contrario, un grandissimo aiuto.

5. Ora, due son le cose per cui io vi chiedo di sforzarvi di esser tali da farci meritare di ottenerle da Dio: la prima è che, fra i tanti dotti e religiosi che noi abbiamo, ce ne siano molti i quali possiedano le qualità necessarie a questo fine, come ho detto, e che il Signore vi disponga convenientemente coloro che non lo sono del tutto, perché un uomo perfetto farà più di molti uomini imperfetti. La seconda che, una volta entrati in questa lotta, non certo piccola, ma grandissima – come ho detto – il Signore li sostenga con la sua mano affinché possano salvarsi dai tanti pericoli quali sono quelli che il mondo presenta e riescano ad attraversare questo mare insidioso con le orecchie chiuse al canto delle sirene. Se in questo possiamo qualcosa presso Dio, combattiamo per lui, pur stando in clausura, e io riterrò molto ben impiegate tutte le sofferenze affrontate per fondare questo piccolo ritiro, dove volli che si osservasse la Regola di nostra Signora con la perfezione primitiva.

6. Non vi sembri inutile pregare costantemente a questo scopo, visto che ci sono alcune persone cui appare cosa dura non pregare molto per la propria anima; ma quale preghiera è migliore di questa? Se vi sembra necessaria a scontare le pene del purgatorio dovute ai peccati, tranquillizzatevi: vi saranno scontate anche per mezzo di tale orazione, e se rimane ancora qualcosa, rimanga pure! Che m’importa di stare in purgatorio fino al giorno del giudizio, se con le mie preghiere potrò salvare anche solo un’anima? Tanto più, poi, se giovo al profitto di molte e alla gloria del Signore! Non badate alle pene che hanno una fine, quando si tratta di servire in qualche modo maggiormente colui che ne ha sofferte tante per noi. Lasciatevi sempre consigliare su ciò che costituisce la maggior perfezione, giacché come vi pregherò molto (e dovete considerarlo già detto) e ve ne dirò i motivi, sempre dovete trattare con persone istruite. Pertanto, vi prego, per amore del Signore, di supplicare Dio di esaudirci in questo. Io stessa, pur essendo così miserabile, ne supplico sempre Sua Maestà, perché i miei desideri siano rivolti solo alla sua gloria e al bene della sua Chiesa.



 

CAPITOLO 4


Si tratta di tre cose molto importanti per la vita spirituale.

 

1. Sembra presunzione da parte mia pensare che io possa contribuire in qualche modo a raggiungere questo scopo. Ma io confido, mio Signore, in queste vostre serve che sono qui riunite e che non desiderano né vogliono altro se non contentarvi. Per voi hanno lasciato il poco che avevano e avrebbero voluto aver di più per servirvi meglio con la rinunzia. Voi, mio Creatore, non siete un ingrato perché io possa credere che tralascerete di fare ciò di cui vi supplicano, anzi concederete loro molto di più. Signore dell’anima mia, quando eravate su questa terra, non avete disprezzato le donne, anzi le avete sempre favorite con molta benevolenza ed avete trovato in esse tanto amore e più fede che negli uomini. Infatti vi era fra loro la vostra santissima Madre, grazie ai cui meriti e per poter portare il suo abito meritiamo ciò che abbiamo demeritato per le nostre colpe… [Signore], nel mondo avete onorato le donne… Vi sembra impossibile che non facciamo qualcosa di valido per voi in pubblico, che non osiamo parlare di alcune verità che piangiamo in segreto e che una nostra così giusta richiesta non venga esaudita da voi? Io non lo credo, Signore, e mi affido alla vostra bontà e giustizia. Voi siete il giudice giusto e non fate come i giudici del mondo – i quali come figli di Adamo sono tutti maschi – che ritengono sospetta la virtù praticata dalla donna. O mio Re, dovrà venire il giorno in cui tutti si conoscono. Non parlo per me. Il mondo conosce già la mia miseria e mi sono rallegrata che ciò sia pubblico. Vedo, però, profilarsi dei tempi in cui non esiste più motivo per disprezzare anime virtuose e forti per il fatto che sono donne. Se vi chiederemo onori, rendite e ricchezze, o cose che sanno di mondo, non ascoltateci, Signore; ma se preghiamo per l’onore di vostro Figlio, perché, eterno Padre, non dovreste ascoltare coloro che per voi sacrificherebbero mille onori e mille vite? Non per noi, Signore, che non lo meritiamo, ma per il sangue ed i meriti di vostro Figlio.

2. Oh, eterno Padre! Considerate che tante percosse, tante ingiurie e tanti terribili tormenti non devono essere dimenticati. Come, dunque, mio Creatore, viscere così amorose come le vostre possono sopportare che ciò che fu fatto con tanto ardente amore da vostro Figlio, per piacervi maggiormente, giacché gli ordinaste di amarci, sia tenuto in così poco conto come oggi questi eretici tengono il santissimo Sacramento che privano dei suoi tabernacoli distruggendo le chiese? Se avesse omesso di fare qualcosa per piacervi! Ma ha fatto tutto perfettamente. Non è bastato, eterno Padre, che egli non abbia avuto, mentre visse, né casa né luogo ove posare il capo e che abbia dovuto sempre soffrire tanto, perché ora lo privino dei luoghi ove riunisce i suoi amici, di cui vede la debolezza e di cui sa che, per affrontare le loro battaglie, hanno bisogno di sostenersi con quel celeste alimento? Non aveva egli già pagato in larghissima misura per il peccato di Adamo? Ogni volta che torniamo a peccare, dev’essere sempre questo amorosissimo Agnello a pagare? Non vogliate permetterlo, mio sovrano Signore! Si plachi ormai la vostra Maestà! Non guardate ai nostri peccati, ma alla nostra redenzione operata dal vostro sacratissimo Figlio, ai suoi meriti e a quelli della sua Madre gloriosa e di tanti santi e martiri che sono morti per voi!

3. Ahimè, Signore, come mi dispiace. Chi è costei che ha osato rivolgervi questa preghiera in nome di tutte? Che cattiva mediatrice, figlie mie, avete in me, per presentare le vostre richieste e per ottenere di essere esaudite! Non farà che indignare di più questo sovrano Giudice il vedermi così temeraria, e con giusta ragione! Ma considerate, Imperatore mio, che voi siete Dio di misericordia; abbiate pietà di questa povera peccatrice, di questo vermiciattolo che osa tanto. Guardate, mio Dio, ai miei desideri, alle lacrime con cui vi rivolgo la mia supplica e, per quello che siete, dimenticate le mie opere, abbiate pietà di tante anime che si perdono e soccorrete la vostra Chiesa. Non permettete più disastri tra i cristiani, o Signore! Dissipate, vi prego, queste tenebre!

4. Vi supplico, sorelle mie, per amore del Signore, di raccomandare a Sua Maestà questa poverella sfrontata perché le dia umiltà. E quando le vostre preghiere, desideri, discipline e digiuni non s’indirizzassero più al fine che ho detto, sappiate che non giungereste a realizzare il fine per il quale siete state qui riunite. Il Signore, come alta Maestà, non permetta che ciò si cancelli dalla vostra memoria.



CAPITOLO 5 (4)


Dimostra come per un’impresa così grande sia necessario farsi coraggio per giungere alla perfezione e raccomanda come mezzo più idoneo l’orazione.

 

1. Avete ormai visto quanto sia alto il fine che state per conseguire. Per il prelato e vescovo – che è vostro superiore – e per l’Ordine, tutto è già sottinteso in quanto ne ho parlato prima, perché tutto è bene della Chiesa e costituisce, dunque, un obbligo per voi. Ora, ripeto, chi ha avuto l’audacia di scegliere tale impresa, come deve comportarsi per non sembrare troppo temerario agli occhi di Dio e del mondo? È evidente che ha molto da lavorare. Ci sarà di grande aiuto nutrire generosi desideri per sforzarci di ottenere che lo siano anche le opere. Ora, se procuriamo di osservare fino in fondo, con gran diligenza, la nostra Regola e le nostre Costituzioni, spero che il Signore accoglierà le nostre preghiere. Non vi chiedo nulla di nuovo, figlie mie, ma soltanto di rispettare i voti della nostra professione poiché la nostra vocazione costituisce il nostro impegno, benché ci siano grandi differenze nel modo di osservalo.

2. La nostra Regola primitiva dice che dobbiamo pregare incessantemente. Adempiendo questo dovere che è il più importante, con tutto lo zelo possibile, non trascureremo anche di osservare i digiuni, le discipline e il silenzio che l’Ordine comanda. Infatti sapete che l’orazione, per essere vera, deve essere sostenuta da tutte queste pratiche, poiché orazione e comodità non sono compatibili l’una con l’altra.

3. L’orazione è ciò di cui m’avete pregato di dirvi qualcosa, e io vi prego, in cambio di quello che vi dirò, di rileggere spesso e praticare volentieri quanto ho detto finora. Prima di parlare delle cose interiori, cioè dell’orazione, dirò alcune cose necessarie a coloro che vogliono battere il cammino dell’orazione; cose tanto necessarie che con esse, senza essere spiriti contemplativi, si potrà progredire molto nel servizio del Signore, mentre se non si possiedono, è impossibile essere grandi anime contemplative, e chi pensasse di esserlo s’ingannerebbe di molto. Il Signore mi dia il suo aiuto a tal fine e mi suggerisca ciò che devo dire, affinché risulti a sua gloria. Amen!

 



CAPITOLO 6 (4)

Parla di tre cose importanti. Spiega la prima di queste che è l’amore del prossimo e indica i danni delle amicizie particolari.

 

1. Non pensate, amiche e sorelle mie, che siano molte le cose che vi raccomanderò. Piaccia, infatti, al Signore che osserviamo quelle che i nostri santi Padri hanno ordinato e adempiuto nella Regola e nelle Costituzioni che, viste insieme, costituiscono un codice di virtù. Mi limiterò a parlarvi solo di tre cose inerenti alle stesse Costituzioni, essendo molto importante intendere l’obbligo rigoroso di osservarle per avere la pace interna ed esterna, che il Signore ci ha tanto raccomandato: la prima è l’amore reciproco; la seconda, il distacco da tutte le creature; la terza, la vera umiltà che, sebbene sia da me nominata per ultima, è la virtù principale e le abbraccia tutte.

2. Quanto alla prima, cioè avere un grande amore [reciproco], essa è di grandissima importanza, perché non vi è nulla di così gravoso che non si sopporti facilmente fra coloro che si amano, e occorrerebbe che fosse cosa ben dura se riuscisse gravosa. Se questo comandamento fosse osservato nel mondo come si deve, credo che aiuterebbe molto a fare osservare anche gli altri; ma, ora per troppo zelo, ora per poco, non si arriva mai a osservarlo in modo perfetto. Sembra, in proposito, che l’eccesso fra noi non debba essere nocivo, eppure porta con sé tanto male e tante imperfezioni che, a mio giudizio, non può crederlo se non chi è stato testimone oculare. Qui il demonio tende molte insidie, che in coscienze che si sforzano di piacere a Dio alla men peggio si avvertono poco, anzi sembrano ispirazioni virtuose. Coloro che, invece, mirano alla perfezione, se ne rendono perfettamente conto, perché a poco a poco tolgono alla volontà la forza di applicarsi interamente all’amore di Dio.

3. E credo che questo difetto si riscontri nelle donne ancor più che negli uomini; esso reca evidentissimi danni a una comunità, perché ne segue che le monache non si amino tutte ugualmente, che si soffra per il torto subito da una di essa, che si desideri di aver qualcosa da regalarle, che si cerchi il momento per parlarle, e molte volte per dirle che la si ama, più che per parlarle dell’amore che si nutre per Dio. È raro, infatti, che queste grandi amicizie siano rivolte ad aiutarsi vicendevolmente ad amare di più il Signore; anzi, credo che il demonio le faccia nascere per creare fazioni opposte [negli Ordini religiosi]. Si vede subito quando, invece, l’amore è rivolto al servizio [di Dio], perché l’affetto non è guidato dalla passione, ma cerca un aiuto per vincere altre passioni.

4. Vorrei che nei grandi monasteri vi fossero molte amicizie di questo genere. Al monastero di San Giuseppe, ove non siamo e non dobbiamo essere più di tredici, tutte devono sentirsi amiche, tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente. Per sante che siano, si guardino, per amor di Dio, da queste amicizie particolari, le quali di solito anche tra fratelli sono un veleno – se no, osservate la storia di Giuseppe! Io non vedo in esse alcun vantaggio; se riguardano parenti meno prossimi, peggio ancora: una vera peste. Credetemi, sorelle, che, anche se questo vi sembra esagerato, include un’alta perfezione e una grande pace, ed evita molte occasioni pericolose a quelle che non sono ben salde nella virtù. Se l’affetto inclina più verso una che verso un’altra (né potrà essere altrimenti, trattandosi di un sentimento naturale, che molte volte ci porta ad amare la più imperfetta, se particolarmente dotata di innate attrattive), teniamo a freno il nostro sentimento per non lasciarci dominare da quell’affetto. Amiamo le virtù e le qualità interiori, sforzandoci sempre attentamente di non badare alle qualità esteriori.

5. Non permettiamo mai, sorelle, che il nostro cuore sia schiavo di alcuno, se non si tratta di colui che l’ha riscattato con il suo sangue; guardate che, altrimenti, senza saper come, vi troverete in un tale intrico da non poterne uscire. Oh, Dio mio, le puerilità che nascono da queste amicizie particolari non si contano! E, per evitare che tante debolezze di donne vengano risapute e forse imparate da quelle che non le conoscono, non voglio parlarne dettagliatamente. Certo, però, mi spaventava talvolta il rilevarle (giacché per bontà di Dio in questi casi non mi sono mai lasciata irretire molto e, può darsi per caso, perché mi trovavo invischiata in cose peggiori). Ma, come ho detto, tante volte ho visto cose simili e temo che serpeggino nella maggioranza dei monasteri. Io l’ho osservato in alcuni e so che per la vera e perfetta vita religiosa sono una pessima cosa e nella priora saranno una vera peste. Con questo è detto tutto.

6. Nell’arginare queste parzialità, occorre molta cura fin dal momento in cui comincia a manifestarsi [l’amicizia]; bisogna agire con abilità ed amore più che con rigore. Un rimedio eccellente a tal fine è non stare insieme né parlarsi, se non nelle ore stabilite, secondo l’usanza che ora seguiamo, rispettando le nostre Costituzioni che prescrivono di non stare insieme, ma di rimanere ognuna nella propria cella. Il monastero di San Giuseppe sia, quindi, esente da avere un luogo di lavoro comune perché, pur essendo questa una lodevole usanza, si osserva meglio il silenzio quando ognuna sta per conto proprio, e ci si abitua alla solitudine, ottima disposizione per l’orazione. Ora, siccome questa dev’essere il fondamento di questa casa e poiché, per praticarla, ci siamo riunite, più di ogni altra cosa dobbiamo impegnarci a prediligere ciò che può essere utile per tale esercizio.

7. Ritornando a parlare dell’amore scambievole sembra fuor di proposito raccomandarlo; infatti, come si può essere così barbari da non amarsi, trattandosi e vivendo sempre insieme, senza la possibilità di parlare, né aver relazione, né svagarsi con persone estranee alla casa, sapendo, inoltre, che Dio ci ama e che le nostre sorelle amano lui, visto che per amore di Sua Maestà hanno abbandonato tutto? Tanto più che la virtù attira l’amore, e questo con la grazia di Dio, e io spero che, con l’aiuto di Sua Maestà, essa sarà sempre praticata dalle monache di questa casa. Pertanto, a questo riguardo, mi sembra che non ci siano molte raccomandazioni da fare.

8. Vorrei ora parlare un po’, secondo la mia elementare capacità, di come debba essere questo amore reciproco, in cosa consista l’amore virtuoso – quello che io desidero veder regnare qui – e da quali segni riconosceremo di possedere questa virtù, che è ben grande, se il nostro Maestro e Signore Cristo l’ha raccomandata e con tanta insistenza a tutti, specialmente ai suoi Apostoli. Ma se voi lo troverete minuziosamente spiegato in altri libri, non date importanza a quanto scrivo, perché forse non so quello che dico, se il Signore non mi illumina.



 

CAPITOLO 7 (4)

Tratta di due tipi diversi di amore e di quanto sia importante conoscere quale sia quello spirituale. Parla dei confessori.

 

1. Mi propongo ora di parlare di due specie di amore: uno puramente spirituale, perché la sensitività o la tenerezza della natura umana non vengono toccate in esso e l’altro, anch’esso spirituale, ma unito alla nostra sensitività e debolezza. È un fatto che c’interessa molto, perché sono due modi di amarci in cui non s’inserisce nessuna passione umana, la quale creerebbe soltanto disordine in questa unione. Se pratichiamo con moderazione e discrezione l’amore di cui ho parlato, esso risulta assai meritorio in tutto, poiché ciò che ci sembra essere sensitività si trasforma in virtù. Senonché, le due componenti si presentano talvolta frammischiate tanto che non si riesce a individuarle, come capita soprattutto nei confronti di un confessore. Infatti le persone dedite all’orazione, se lo vedono santo e capace di comprendere il loro modo di procedere, si attaccano a lui con molto amore.

2. Qui il demonio scatena molti scrupoli rendendo l’anima inquieta. È proprio ciò che egli vuole. Soprattutto quando il confessore la conduce verso maggiore perfezione, il maligno la turba fino a fargliela abbandonare. E non smette di torturarla con quella tentazione, né con un confessore né con un altro. Ciò che si può fare è non occupare il pensiero per sapere se lo si ama o meno. Se tali persone amano il confessore, lo amino pure, poiché, se nutriamo amore verso chi procura qualche bene al nostro corpo, perché non amare chi s’impegna e lavora per farcelo all’anima? Perché non dovremmo amarlo? Io credo che veramente si progredisca molto se si nutre amore verso il confessore, se egli è santo e spirituale e se vedo che egli fa molto per far progredire la mia anima. La nostra debolezza è tale che questo, talvolta, ci aiuta a fare cose grandi nel servizio di Dio. Se [il confessore] non è così come ho detto, allora c’è pericolo. Un confessore che non è tale potrebbe essere causa di gravi danni per il fatto che egli capisca di essere benvoluto e, nelle case di stretta clausura, più che nelle altre. Siccome è difficile capire quale sia quello davvero buono, occorre grande e accurata attenzione. Sarà meglio ancora se egli non sospetta di essere benvoluto e che non glielo dicano. Il demonio subentra con tale arte da non offrire scappatoie, sicché chi va a confessarsi ritiene di aver solo quello di cui confessarsi e si sente obbligato a manifestarlo. Vorrei, quindi, che si convincessero che non è nulla e di non badarci. Ascoltino questo consiglio: se si accorgono che tutti i colloqui con il confessore servono per far progredire l’anima e se non in lui alcune vanità (e di ciò si rende subito conto chi non vuol lasciarsi abbindolare) e se egli è timorato di Dio, non si preoccupino di sentire qualche tentazione di affetto verso di lui, perché non appena il demonio si sarà stancato smetterà d’intervenire. Ma, se si rendono conto che il confessore trova qualche vana compiacenza in ciò che gli dicono, siano in tutto sospettose e non si abbandonino a lunghe conversazioni con lui, sia sull’orazione che su Dio. Si limitino, piuttosto, a confessarsi stringatamente e a concludere. Meglio ancora sarebbe dire alla madre [priora] che la propria anima non si trova bene con lui e che si vorrebbe cambiare confessore. Sarebbe questa la soluzione migliore, se ci fosse la disponibilità – e spero in Dio che ci sia – e così fare tutto il possibile per non trattare più con lui, anche se si sentisse morire.

3. Badate che tale raccomandazione è molto importante, perché [la vanità in un confessore] è cosa assai pericolosa, un inferno e una rovina per tutta la comunità. E, ripeto, non si deve aspettare che il male sia già grande, ma arrestarlo all’inizio, con tutti i mezzi possibili. Lo potete fare con assoluta buona coscienza. Ma io spero che il Signore non permetterà che persone, le quali devono sempre occuparsi dell’orazione, possano nutrire affetto se non per chi è innamorato di Dio e molto virtuoso. Su ciò non v’è dubbio, altrimenti è ugualmente certo che non sono anime dedite all’orazione. Perché, se lo sono, come qui si esige, ed esse vedono che il confessore non comprende il loro linguaggio, e non è portato a parlare di Dio, non potranno amarlo, perché non somiglia a loro. Se, invece, somiglia, date le pochissime occasioni di male che qui vi saranno, egli, a meno di essere troppo semplice, non si turberà né vorrà turbare le serve di Dio in un luogo dove i suoi desideri non troveranno alcuna soddisfazione, o ben poca.

4. Poiché ho cominciato a parlare di questo male che, come ho detto, è uno dei più gravi che il demonio possa fare in monasteri di clausura, e di cui ci si accorge molto tardi, aggiungo che per esso si può man mano disorientarsi nella via della perfezione, senza conoscerne la causa. Se infatti il confessore vuol suscitare vanità per il fatto che egli vi si abbandona, tiene in poco conto anche le altre mancanze. Dio ci liberi, per la sua maestà, da simili cose! Basterebbe questo a turbare tutte le sorelle, perché la propria coscienza dice loro il contrario di quel che dice il confessore, e se sono costrette ad averne uno solo, non sanno che fare né come riacquistare la pace. Chi infatti doveva tranquillizzarle e soccorrerle è quello che fa loro danno. A tale riguardo ho visto nei monasteri grandi afflizioni – anche se non nel mio [dell’Incarnazione] – e ne ho provato una grande compassione.



 

CAPITOLO 8 (5)


Continua a parlare dei confessori e dice quanto sia necessario che essi siano dotti. Aggiunge alcuni consigli per trattare con loro.

 

1. Il Signore, nella sua immensa bontà, non faccia mai provare ad alcuna di voi in questa casa il tormento di vedersi oppressa anima e corpo; peggio, poi, se la priora va perfettamente d’accordo con il confessore perché, in tal caso, non si osa dir nulla né a lui di lei, né a lei di lui. Allora si potrà anche andare soggetti alla tentazione di omettere di confessare peccati molto gravi, nel timore di non stare più in pace. Oh, Dio mio, che danno può far qui il demonio e quanto caro costano alle monache tali costrizioni e falsi punti d’onore! Credono che per il fatto di non avere più d’un confessore ci guadagni molto la disciplina religiosa e l’onore del monastero, e il demonio dispone per questa via di accalappiare le anime, quando non vi riesce per altre vie. Se le poverette chiedono un altro confessore, sembra subito di sconvolgere la disciplina religiosa; se poi non appartiene allo stesso Ordine, quand’anche fosse un san Girolamo, pare subito che facciano un affronto all’Ordine intero.

2. Figlie mie, ringraziate molto Dio per questa libertà che avete. Sebbene non si debbano contattare molti confessori, potrete pure trattare con più di uno, anche se non sono confessori ordinari, perché possono darvi luce in tutto. Per questo chiedo, per amore di Dio, a colei che sarà la priora, e anche le sue monache, di cercare di trattare sempre con persone colte. Per quanto sembri che un confessore abbia spirito e lo abbia di fatto, Dio vi liberi dal lasciarvi dirigere in tutto da lui, se non è una persona colta. Quanto più grazie il Signore vi accorderà nell’orazione, tanto più avrete bisogno che le vostre devozioni e preghiere, nonché tutte le vostre opere, poggino su un saldo fondamento.

3. Già sapete che la prima pietra dev’essere una buona coscienza; pertanto, con tutte le vostre forze, cercate di liberarvi anche dei peccati veniali e di tendere sempre ad una maggiore perfezione. Vi sembrerà che questo lo sappia qualunque confessore, ma v’ingannate fortemente. Io avevo trattato  con uno che aveva seguito tutto il corso di teologia. Ciò nonostante costui mi arrecò un gran danno, dicendomi che certe mancanze erano cose da nulla. Io so che egli non voleva ingannarmi, né ci sarebbe stato motivo di farlo, ma non ne sapeva di più.

4. Tutto il nostro bene consiste nel disporre di una vera luce per osservare la legge di Dio e la perfezione; essa costituisce la base solida dell’orazione; senza questo saldo fondamento tutto l’edificio poggia sulla sabbia. Perciò è necessario che persone di spirito trattino con teologi. Se non potranno avere un confessore che possiede tutto ciò, di tanto in tanto se ne procurino un altro e, se per caso loro impongono il precetto di non confessarsi con altri, trattino della loro anima con persone simili a quelle di cui ho parlato, ma senza confessarsi. Anzi, oso dire ancora di più: anche se il confessore avesse tutte le qualità richieste, talvolta facciano ciò che ho detto [e vadano da un altro]. Può darsi che egli s’inganni ed è bene che a causa sua non s’ingannino tutte – cercando però di non fare cosa alcuna contro l’obbedienza, perché esistono mezzi leciti per tutti – e, se vale molto che l’anima procuri di rimanere nel suo bene, ancora di più quando sono molte.

5. Tutto questo che ho detto riguarda soprattutto la priora: cerchi di tradurlo in pratica per amor di Dio. Qui non si pretende altra consolazione se non quella dell’anima e la priora si sforzi di non deluderle almeno in questo. Le strade attraverso le quali Dio conduce le anime sono diverse e un solo confessore non può conoscerle tutte. Per questo motivo cerchi sempre di consolarle [permettendo] di trattare con tali persone. Non c’è pericolo che vengano a mancare loro, se sono tali quali debbono essere ed anche se sono povere. Come Dio vi sostiene e dà da mangiare ai vostri corpi – che è il meno necessario – così spingerà qualcuno ad aiutarvi spiritualmente, ispirandogli il sincero desiderio di riuscire ad illuminare le vostre anime. In tal modo, si scongiurerà il male che io tanto temo, come ho detto. Quando, infatti, il demonio tentasse il confessore, facendolo cadere in vanità, sapendo che voi trattate anche con altri, sarà più cauto. Chiusa questa porta al demonio, io spero in Dio che egli non avrà mai accesso a questa casa. Pertanto, chiedo, per amore del Signore, al vescovo, chiunque egli sia, di lasciare alle mie consorelle questa libertà (e stia sicuro che con l’aiuto di Dio avrà sempre delle buone suddite) e di non toglierla loro mai, se i confessori saranno tali da riunire in sé dottrina e bontà, cose di cui si viene subito a conoscenza in una città piccola come questa. Non impedisca che alcune volte si confessino da loro e parlino dell’orazione, anche se ci sono confessori designati. Per molti motivi, so che ciò conviene. Il danno che ne potrebbe derivare è nulla nei confronti del grande, dissimulato e quasi irrimediabile male che deriva dal contrario, per così dire. I monasteri infatti hanno questo di particolare: se non ci si preoccupa del bene con zelo, esso presto scade, mentre il male, una volta iniziato, si lascia difficilmente sradicare, perché un’usanza diventa presto un’abitudine connaturale di cose imperfette.

6. Quanto ho detto l’ho visto e l’ho saputo da molti monasteri e ne ho trattato con persone prudenti e spirituali, per vedere ciò che meglio conveniva alla nostra casa affinché progredisse in essa la perfezione. Ora, fra i pericoli – che ci sono ovunque, finché viviamo – riteniamo che questo sia il minore. Non dev’esserci, peraltro, nessun vicario che abbia la libertà di entrare e uscire a suo piacere dal monastero né che l’abbia alcun confessore: che essi provvedano a vigilare sul raccoglimento e il decoro della casa, sul profitto interiore ed esteriore delle monache, per riferire al superiore, qualora non sia in ordine, ma non facciano essi da superiori. Come ho detto, vi sono motivi seri per sostenere che questa sia la soluzione migliore. Vagliatili tutti, si è deciso che abbiate un confessore ordinario, magari lo stesso cappellano che riveste tale ufficio; ma, ogni volta che un’anima ne sentisse il bisogno, potrà liberamente confessarsi da persone come sopra indicate, e se ne faccia il nome allo stesso superiore – o alla madre, qualora fosse tale da meritare la fiducia del vescovo nel poter disporre in tale materia – e, poiché sono poche, non faranno perdere tempo. Questa decisione è stata presa, dopo lunghe orazioni, da molte persone e anche da me – sebbene miserabile – nonché da persone di alta cultura, intelligenza e pietà, per cui spero nel Signore che sia la soluzione più idonea.

7. Ciò è sembrato al vescovo attuale, che si chiama don Alvaro de Mendoza, persona che si compiace di favorire questa casa in tutti i modi possibili, spirituali ed anche temporali. Egli l’ha presa molto a cuore come uno che desidera che il bene di questa casa progredisca veramente, e credo che Dio non permetta che egli si sbagli, poiché egli ne fa le veci e non pretende che la sua gloria. Mi sembra che i prelati suoi successori, con l’aiuto di Dio, non vorranno andare contro una disposizione così ben fatta ed importante per molte cose.





CAPITOLO 9 (6)


Prosegue nelle considerazioni sull’amore del prossimo.

 

1. Mi sono allontanata molto dall’argomento, ma ciò che ho detto è talmente importante che io, per averlo detto, non ho perso tempo. Sorelle mie, torniamo ora all’amore che è bene avere gli uni per gli altri, voglio dire all’amore puramente spirituale. Non so se ho chiara consapevolezza di quel che dico, ma a me, almeno, sembra che non sia necessario parlarne a lungo, perché sono pochi ad averlo. Coloro ai quali il Signore lo avrà concesso, gliene rendano lode, perché a lui veramente dobbiamo la lode, perché è di un’altissima perfezione, per cui si può pensare che ne trarremo qualche vantaggio. Parliamone un po’.

2. L’amore che dobbiamo praticare, è un altro, e anche se dico che è sensibile, non dovrebbe esserlo. Può darsi che io non sappia capire bene quale sia l’amore sensibile e quale l’amore spirituale, perciò non so come ardisco trattarne. È come chi ode parlare da lontano e anche se sente parlare, non comprende ciò che si dice; così sono io, che alcune volte non devo proprio capire ciò che dico e, tuttavia, il Signore fa che sia ben detto. Se altre volte le mie parole risulteranno essere delle sciocchezze, è la cosa più naturale per me non azzeccarne una.

3. Mi sembra ora che, quando Dio ha fatto pervenire un’anima alla chiara conoscenza di cosa sia il mondo e quanto valga, alla certezza dell’esistenza di un altro mondo o regno, per così dire, e la differenza tra l’uno e l’altro – l’uno eterno e l’altro un breve sogno – , alla differenza tra amare il Creatore e amare la creatura, ciò che si guadagna con l’uno e ciò che si perde con l’altro, ciò che è il Creatore e ciò che è la creatura, e molte altre verità che il Signore insegna con verità e chiarezza a chi Sua Maestà vuole, questi lo amano diversamente da coloro che non sono giunti a questo stato.



 

CAPITOLO 10 (6)

L’essere amati da tale amore, è cosa sublime.

 

1. Forse, sorelle, vi sembrerà temerario che io vi trattenga su questo argomento, e direte che queste cose voi le sapete già tutte. Piaccia al Signore che sia così, che voi le sappiate nel modo dovuto e che le abbiate impresse nell’intimo del vostro cuore, tanto da non lasciarvele mai sfuggire un istante. Se, dunque, lo sapete, riconoscerete che non mento nel dire che chi perviene a questo grado possiede l’amore. Le persone che Dio fa giungere fin qui sono anime generose, anime splendide; non si compiacciono di amare cosa così miserevole come questi nostri corpi, per belli che siano, per molte attrattive che abbiano, anche se dilettino la vista e siano motivo per lodarne il Creatore. Ma fermarsi in questo, no. Dico fermarsi nel senso che abbiano ad amarli a causa di queste sole qualità. Sembrerebbe loro di aver cara una cosa senza alcun valore e di amare un’ombra; si vergognerebbero di se stesse e non avrebbero più il coraggio, senza sentirsi in preda a gran confusione, di dire a Dio che l’amano.

2. Mi direte che tali esseri non sapranno amare. Non si affezionano forse soltanto a ciò che vedono? Invece, amano qualcosa di molto più grande e con maggiore passione e con autentico e fruttuoso amore. Il loro amore è, dunque, vero, mentre le altre basse affezioni ne hanno usurpato il nome.

3. La verità è che esse amano ciò che vedono e si affezionano a ciò che odono; ma le cose che vedono sono stabili. Se, dunque, amano un amico, vanno al di là del corpo: volgono gli occhi sull’anima e guardano se in essa vi è qualcosa da amare. Se non c’è, ma vedono un qualche inizio o disposizione tale da far pensare che, scavando, troveranno oro in questa miniera, se nutrono amore per essa, la fatica non è loro di peso: non esiterebbero ad affrontare nessuna difficoltà di fronte alla quale venissero a trovarsi, per il bene di quell’anima, perché desiderano amarla e sanno perfettamente che ciò è impossibile se non possiede beni spirituali e non ama molto Dio. E dico che è impossibile, per quanto muoia d’amore per loro, faccia per esse tutto quello che può ed abbia in sé riuniti tutti i doni di natura: eppure la volontà non sarà né forte né durevole, perché ormai ha la saggezza, e sa e conosce per esperienza il vero valore di tutto, e non si lasceranno ingannare. Vedono che non sono fatte per vivere insieme, che è impossibile continuare ad amarsi reciprocamente, perché è un amore che finirà con la vita, se l’altra persona non osserva la legge di Dio, se si capisce che non lo ama, e che dovranno andare in parti diverse.

4. Le anime alle quali Dio ha ormai comunicato la vera conoscenza non stimano quest’amore, che ha la sua durata solo nella vita presente, più di quel che vale, e nemmeno quanto vale, perché per coloro ai quali piace godere delle cose del mondo, piacer, delizie, onori, ricchezze, avrà qualche valore il fatto che uno sia ricco o possa offrire passatempi e distrazioni. Ma chi, invece, ha messo tutto ciò sotto i piedi, farà poco o nessun conto di tale amore. Queste anime, quindi – se ne amano un’altra – riversano il loro amore nell’adoperarsi con passione a renderla degna d’essere amata dal Signore, perché altrimenti, come ho detto, sanno di doverla abbandonare. È, il loro, un amore che costa caro, perché non tralasciano di far nulla per il profitto di chi amano; sarebbero pronte a sacrificare mille volte la vita per un minimo vantaggio dell’altra anima.



 

CAPITOLO 11 (7)


Continua a parlare del medesimo argomento, offrendo alcuni consigli per ottenere questo amore.

 

1. È straordinario vedere quanto sia appassionato questo amore, quante lacrime costi, quante penitenze e preghiere, quante [sollecitudini] nel raccomandare la persona amata a tutti coloro che si pensa possano giovarle. È una preoccupazione continua e un tormento assillante. Quando poi, nonostante sia parso di notare un miglioramento, la si vede tornare indietro, sembra che non si possa godere più di alcuna gioia in questa vita; non si mangia né si dorme se non con questa preoccupazione, nel timore continuo che l’anima tanto amata si perda e ci si abbia a separare per sempre da essa (della morte temporale non si fa alcun caso), perché non ci si vuole attaccare a qualcosa che in un soffio sfugge di tra le mani senza che si possa trattenerla. Il suo amore – come ho detto – è senza ombra d’interessi personali; l’unica sua aspirazione e il solo desiderio sono vedere quell’anima ricca di beni celesti; infine, è un amore che somiglia sempre più a quello portatoci da Cristo, perciò merita il nome di amore, e non quei disastrosi ed insignificanti amoruzzi  della terra; e non mi riferisco a quelli cattivi. Da questi ci liberi Dio.

2. [I cattivi amori] sono un vero inferno, e non dobbiamo mai stancarci di dirne male, perché non si può esprimere adeguatamente neppure il più piccolo dei danni che arrecano. Noi non dobbiamo, sorelle, neanche pronunziarne il nome e ancor meno pensarvi; né pensare che esistano in questo mondo, né prestare orecchio sia che se ne parli per scherzo o sul serio, né consentire che davanti a noi si svolgano conversazioni o racconti di tal genere di affezioni. Non servono a nulla di buono e anche solo udirne parlare può essere dannoso. Le affezioni a cui mi riferisco sono quelle lecite, quelle che, come ho detto, abbiamo l’una verso l’altra, o per i parenti o per le amiche. Tutto l’amore consiste nel temere che la persona amata muoia; se ha male alla testa, a noi sembra di aver male all’anima; se la vediamo nelle tribolazioni, sfuma – come si dice – la nostra pazienza, e così via.

3. L’altro amore è ben diverso. Quantunque per la nostra umana fragilità si provi subito un primo moto di sensibilità naturale, la ragione, poi, considera se le prove di quell’anima giovano alla sua perfezione, se per esse si arricchisce in virtù e come le sopporta; si prega, pertanto, Dio di darle pazienza e di aiutarla ad acquistare meriti con quelle prove. Se la si vede rassegnata, non si prova più alcuna pena, anzi si provano letizia e consolazione. E anche se si preferirebbe soffrire al posto suo piuttosto che vederla soffrire, purché le si potesse dare tutto il merito e il guadagno della sofferenza, non per questo se ne ha inquietudine o si muore [dalla pena].

4. Torno ancora a dire che questo amore è disinteressato come quello che ebbe per noi Cristo. Coloro che amano così sono di grande utilità, perché prendono per sé tutte le sofferenze e lasciano che gli altri ne traggano vantaggi. Pertanto, chi gode della loro amicizia avanza moltissimo nella via della perfezione. E anche se in pratica non lo fanno, si vede che vogliono essere loro di esempio più con le opere che con le parole. Dico che in pratica non lo fanno, quando sono cose che non possono fare. Per quanto è loro possibile, vogliono sempre agire per acquisire qualcosa per coloro che amano. Non sopportano di trattarli con doppiezza né di vederli in qualche difetto, se pensano di offrire loro un aiuto nel progredire; talvolta, il tempo non permette di rilevare una loro mancanza – spronati dal desiderio di vederli sempre più ricchi – senza che la dicano. Che straordinarie vie trovano qui! Incuranti di tutto il mondo e, addirittura, del fatto se servono o meno Dio – perché intenti solo a servirlo loro, non possono farlo nei confronti dei loro amici – nulla sfugge ai loro occhi. O anime felici che sono da loro amate! Fortunato il giorno in cui si sono conosciute! O Signor mio, non mi fareste la grazia di trovarne molte che mi amino così? Certo, Signore, io preferirei questo all’essere amata da tutti i re e signori del mondo; e, a ben ragione, perché ci procurano, in tutti i modi possibili, di giungere a dominare lo stesso mondo e ad assoggettare a noi tutte le creature che esistono in esse. Sorelle, quando conoscerete una simile persona, la madre si premuri, con tutta la sollecitudine possibile, di farla parlare con voi. E amatela quanto desiderate. Ce ne saranno poche. Ma il Signore non mancherà di farvele conoscere. Quando qualcuno giunge alla perfezione, subito vi diranno che non è necessario, perché basta avere Dio. Ma, per possedere Dio, un buon mezzo è trattare con i suoi amici; se ne ricava sempre un grande vantaggio. Lo so per esperienza. Se non mi trovo all’inferno, lo devo, oltre che al Signore, a persone di questo tipo, poiché mi è stato sempre caro che mi raccomandassero a Dio e ho cercato di ottenerlo.

5. Torniamo ora a quanto stavamo dicendo. Questo modo di amarci a vicenda è quello che desidererei trovare fra noi. All’inizio non sarà possibile. Cominciamo, però, a ricorrere ai mezzi per acquistare questo amore, perché allora, pur traendo con sé un po’ d’istintiva tenerezza, non potrà nuocere purché si rivolga a tutte.

6. È bene e, a volte, necessario sentire e mostrare tenerezza, e alimentarla, essere sensibili alle pene e alle infermità delle consorelle. Infatti talvolta può accadere che procuri a qualcuna un tormento una cosa da poco che ad un’altra desterebbe il riso. Non si spaventino. Il demonio può avere messo tutta la sua forza d’urto per farvi sentire grandi pene e sofferenze. È vera carità divertirsi con le sorelle nelle cose che le fanno divertire, anche se ciò non piace a voi. Tutto diventerà amore perfetto quando viene fatto con giudizio. Così, volendo trattare di quell’amore che non è tanto perfetto, mi sembra non sia cosa buona nutrirlo fra noi in questa casa perché, per quanto sia buono in sé, tutto deve ritornare al suo principio che è l’amore di cui ho parlato.

7. Avevo pensato di parlare molto dell’altro amore, ma, pensandoci bene, mi sembra che esso non si concili con il modo in cui viviamo qui. Per questo motivo, preferisco limitarmi a ciò che ho già detto e spero nel Signore che in questa casa non si viva disponibili ad accettare un altro modo di amarvi, anche se ciò non si farà con tutta la perfezione possibile. È molto bello che le une sentano compassione per le necessità delle altre, ma sempre in modo che non manchi la discrezione. Intendo dire «non manchi» in cose che sono contro l’obbedienza, ossia contro ciò che comanda la priora. Anche se alla suddita sembra un ordine duro e non l’accetta interiormente, non lo faccia capire a nessuno, tranne che alla stessa priora, con umiltà, altrimenti provocherà gran danno. Sappia capire quali sono le cose a cui deve mostrarvi sensibile e compassionevole verso le consorelle; si affligga sempre molto per qualsiasi difetto scoperto in esse. Proprio a questo riguardo, voi manifesterete ed eserciterete bene il vostro amore, nel saperlo sopportare e non meravigliarvene; così faranno le altre con i vostri difetti che forse saranno ben più numerosi, anche se non ne avete consapevolezza. Inoltre, raccomandate molto a Dio la sorella e cercate di attuare con grande perfezione la virtù contraria al difetto che avete notato in lei. Bisogna sforzarsi di riuscirvi perché, siccome vivete in stretto contatto, [l’insegnamento] non può mancare di essere inteso meglio di quanto non possa venir compreso con qualsiasi rimprovero o castigo s’infligga.

8. Oh, che squisito e vero amore sarà quello della sorella che riesce a giovare a tutte, lasciando da parte il proprio profitto per quello delle altre, che fa grandi progressi in ogni virtù e osserva con assoluta perfezione la sua Regola! Sarà, questa, un’amicizia preferibile a tutte le parole di tenerezza che si possono dire, quelle che in questa casa non si usano né si devono usare, come: «vita mia», «anima mia», e altre simili che si rivolgono ora ad una , ora all’altra. Tali parole di tenerezza siano riservate per il vostro Sposo. Poiché dovete stare tante volte al giorno con lui e da sole a solo, vi gioverete di tutto, e Sua Maestà lo gradirà; se sono, invece, parole già molto usate quaggiù, non vi inteneriranno più quando sarete con il Signore. A parte, poi, questa considerazione, non c’è motivo di usarle. Sanno molto di donna e io vorrei che le mie figlie non fossero né si mostrassero donne in nulla, ma uomini forti. Se faranno del loro meglio in questo senso, il Signore le renderà così virili da meravigliare anche gli uomini. E quanto facilmente potrà farlo Sua Maestà che ci ha tratto dal nulla!

9. Come ho detto, una bella dimostrazione di amore è togliere alle consorelle il lavoro e prendere per sé le fatiche delle occupazioni domestiche; inoltre, rallegrarsi vedendo i loro progressi nella virtù come dei propri, e in molte altre cose simili potranno comprendere se possiedono questa virtù, che è una cosa molto grande, perché in ciò sta tutta la pace fra sorelle, tanto necessaria per i monasteri. Spero che in questo nostro [monastero] essa regni sempre, perché il non averla sarebbe [assai triste]: è una cosa terribile doversi sopportare in poche e non in armonia! Dio non voglia permetterlo! Ma una così grande disgrazia non ci capiterà, altrimenti dovrebbe perdersi prima di tutto il bene che la mano del Signore ha iniziato.

10. Se, per caso, sfuggisse a un tratto qualche parolina contro la carità, vi si ponga subito rimedio, altrimenti, vedendo che la cosa va avanti, rivolgete a Dio fervide preghiere. Se dovessero, poi, insorgere quei mali di lunga durata, piccole fazioni, desiderio d’emergere, piccoli punti di onore (mi si gela il sangue, mentre scrivo, a pensare che ciò potrebbe avvenire un giorno, perché vedo che è il male più grave dei monasteri), se queste cose dovessero accadere, tenetevi per perdute. Sappiate che avete cacciato di casa il vostro Signore. Invocate Sua Maestà, cercate il rimedio; e, se non ci riuscite con le frequenti confessioni e comunioni, sospettate che possa esservi tra voi Giuda.

11. La priora stia molto attenta, per amor di Dio, a non dare adito a questo male, arrestandolo energicamente fin da principio e, se non basta l’amore, con severi castighi. Se vede che c’è una religiosa che crea scompiglio, procuri di mandarla in un altro monastero: Dio le darà la dote necessaria per questo. Cacci lontano da sé questa peste; tagli come può i rami di tale pianta; se non basta, la strappi dalle radici. E, qualora non possa farlo, ch’ella non abbia più ad uscire dal carcere destinato a tali colpe: meglio trattarla in questo modo, anziché lasciare che un così irrimediabile morbo contamini tutte. Oh, che enorme male! Dio vi liberi dal monastero in cui esso entra! Preferirei che vi entrasse un fuoco capace di incenerirci tutte. Siccome altrove conto di dire di più su questo argomento, ora non mi dilungo oltre, preferendo che si vogliano bene e si amino teneramente e con piacere – anche se ciò non fosse l’amore così perfetto di cui ho parlato per la vita comune – piuttosto che si noti qualche punto di discordia. Sua Maestà, il Signore, non lo permetta. Amen.



 

CAPITOLO 12 (8)


Incomincia a trattare del grande bene che consiste nel totale distacco interiore ed esteriore.

 

1. Ora parliamo del distacco che dobbiamo nutrire verso ogni cosa. Se praticato con perfezione, per noi è tutto. Dico così in quanto, attaccandoci solamente al Creatore e non importandoci nulla delle creature, Sua Maestà ci infonde in tal modo le virtù necessarie che, se da parte nostra, con uno sforzo graduale, secondo quanto ci è possibile, cerchiamo di acquistare la perfezione, non avremo più molto da combattere: ecco, subito, il Signore tendere la mano in nostra difesa contro i demoni e contro tutto il mondo. Vi pare, forse, sorelle, che sia poco vantaggioso il bene che comporta donarci tutte, senza alcuna riserva, a colui che è tutto? E poiché in lui, ripeto, sta ogni bene, rendiamogli vivamente grazie, sorelle, di averci riunite qui, dove non si tratta di altro che di questo. Oltretutto non so perché ne parlo, visto che tutte voi, qui dentro, potete farmi da maestre, perché confesso di essere, a questo così importante riguardo, la più imperfetta. Ma, siccome siete voi a chiedermelo, cercherò di accennare ad alcune cose che mi si presentano.

2. Quanto all’esterno, si vede chiaro come il Signore vuole distaccarci da tutto, per unirci più strettamente a Sua Maestà e senza ostacoli. O Signore e Creatore mio! Quando mai ho meritato io una dignità così grande da pensare che tu ci abbia rinchiuso fra le mura per avvicinarti sempre più a noi! Piaccia alla tua bontà che non perdiamo questo per colpa nostra! O sorelle, cercate di capire, per amor di Dio, la grande grazia che il Signore vi ha fatto nel condurvi qui, e ognuna lo mediti bene in se stessa, perché siete solo dodici e il Signore ha voluto che voi foste una di esse. E quante altre, migliori di me, so che avrebbero preso volentieri quel posto che il Signore ha concesso a me, così lontana dal meritarlo! Siate voi benedetto, Signore, e vi lodino per me gli angeli e tutte le creature, poiché neanche di questa grazia vi so ringraziare, come di molte altre che mi avete fatto, fra cui quella di avermi chiamata allo stato religioso, che fu grandissima! E siccome io sono stata tanto cattiva, voi, Signore, non vi siete fidato di me. Infatti, ero entrata in un monastero dove erano riunite tante anime sante, e la mia infedeltà sarebbe rimasta nascosta fino al termine dei miei giorni; per questo voi mi avete condotta qui dove, essendo le monache così poche, sembra impossibile non giungere a conoscersi, sì che io debba procedere con maggiore attenzione. Inoltre voi mi sottraete ad ogni occasione pericolosa, perché nel giorno del giudizio non debba cercare discolpe per non aver fatto il mio dovere.

3. State attente, sorelle mie, la nostra colpa sarà maggiore qualora non saremo buone, perciò raccomando vivamente a colei che non si sente dotata di sufficiente forza spirituale per sopportare le pratiche qui in uso – dopo averle provate – di dirlo. Vi sono altri monasteri dove si serve meglio il Signore; non turbi, pertanto, le poche religiose che Sua Maestà ha qui riunite per il suo servizio. Altrove avrà la libertà di consolarsi con i parenti; qui, quando se ne ammette qualcuno, è solo per consolazione dei medesimi. Ma la sorella che, per suo conforto, desiderasse vedere i parenti e alla loro seconda visita non si sentisse stanca, si reputi imperfetta, tranne il caso di vedere che sono persone dedite alla vita spirituale e che la visita apporti almeno un po’ di vantaggio alla sua anima. Tale sorella sia certa che in lei non c’è distacco, che la sua anima è malata, che non godrà della libertà di spirito, che non avrà pace completa. Ha bisogno del medico.

4. Il rimedio che a me sembra il migliore è che non veda i suoi parenti finché non si senta libera e non ottenga questa grazia. Allora, quando si ritrova in tale disposizione di spirito da sopportare le loro visite come una croce, in nome di Dio, li veda pure, perché allora sarà di profitto e certamente lo sarà anche a sé. Ma, se nutre amore per loro, se soffre molto per le loro pene e ascolta con piacere quanto raccontano dei loro successi nel mondo, me lo creda: nuocerà a se stessa e non sarà loro di alcun profitto.



 

CAPITOLO 13 (9)


Tratta del gran bene che comporta il distacco dai parenti per chi ha lasciato il mondo e mostra quali più veri amici si trovino allora.

 

1. Oh, se noi religiose potessimo comprendere il danno che ci viene dal trattare spesso con i parenti, come fuggiremmo da loro! Io non riesco a capire quale sia questo conforto che essi ci danno (anche prescindendo da ciò che riguarda il servizio di Dio e il danno che comportano, e tenendo conto soltanto della nostra pace e tranquillità), giacché non possiamo né dobbiamo godere dei loro piaceri,  dei loro travagli non ce ne sarà nessuno su cui tralasceremo di piangere e a volte più di loro stessi. Certamente, anche se ci offrono un qualche ristoro per il corpo, lo spirito, la povera anima lo paga ben caro. Da tale pericolo qui siete libere perché, essendo tutto in comune e non potendo alcuna di voi ricevere nulla di cui godere particolarmente, sorelle, non avete certo bisogno di regali da parte dei parenti.

2. Mi spaventa il danno che proviene dal trattare con i parenti; non lo crederei nemmeno io se non  ne avessi fatto esperienza. Oh, come sembra dimenticata al giorno d’oggi questa perfezione nelle case religiose – almeno nella maggior parte di esse – anche se non [lo si legge] negli scritti di tutti o di molti santi. Mi chiedo che cosa lasciamo del mondo, noi che diciamo di lasciar tutto per amor di Dio, se non ci distacchiamo da ciò che è essenziale, cioè i parenti. Si è giunti a una tale situazione che i religiosi reputano una mancanza di virtù non amare molto i loro parenti, come dicono essi stessi adducendo buone ragioni.

3. In questa casa, figlie mie, si abbia molta cura di raccomandare i parenti a Dio, dopo avergli raccomandato, come ho detto, quanto riguarda la sua Chiesa. Per il resto, bisogna allontanarli il più possibile dalla mente. Sono stata molto amata da loro – come mi hanno detto –; ma ho imparato per esperienza mia e altrui che, prescindendo dai genitori (i quali è raro che trascurino di andare a trovare i propri figli; è, quindi, giusto non restare estranei ad essi, qualora abbiano bisogno di conforto, se vediamo che ciò non è di danno alla nostra anima, giacché si può farlo conservando un completo distacco), quanto agli altri, se mi sono trovata in difficoltà, miei parenti, che mi hanno aiutata, sono stati i servi di Dio.

4. Credetemi, amiche, che, servendo voi il Signore come dovete, non troverete amici migliori di quelli che Sua Maestà vorrà mandarvi. E impegnandovi a ben servirlo – come state facendo – e rendendovi conto che comportandovi diversamente offendete il vostro vero amico Cristo, credetemi che in brevissimo tempo conquisterete questa libertà. Se qualcuno vi dicesse: fare il contrario è virtù, non credetelo. Se io volessi parlarvi di tutti i danni che ne derivano, dovrei dilungarmi molto. Se io, nella mia ignoranza e imperfezione, li vedo, quanti ne scoprirebbero coloro che sono dotti e perfetti? Li troverete descritti in molti libri, come ho detto. Nella maggior parte di essi non si parla di altro se non di come sia utile fuggire il mondo.

5. Comunque, credetemi, i parenti sono il mondo che più ci si appiccica addosso e che è più difficile staccare. Per questo fanno bene coloro che vanno lontano dal loro paese, se ciò può aiutarli; non credo, però, che la questione consista in una lontananza fisica, bensì nel fatto che l’anima si unisca risolutamente al buon Gesù, nostro Signore, nel quale, trovando tutto, dimentica tutto, anche se l’allontanarci molto ci sarà di aiuto, finché non avremo compreso questa verità. Dopo potrà accadere che il Signore, per farci trovare una croce, voglia che trattiamo ancora con essi.



 

CAPITOLO 14 (10)


Non basta il distacco dai parenti se non ci si distacca da se stessi.

 

1. Distaccandoci dai parenti e considerando ciò una cosa molto importante – e badate che è davvero cosa importante - e, rinchiuse qui senza possedere nulla, sembra ormai di aver fatto tutto e che non ci sia più da sostenere alcuna battaglia. Oh, figlie mie, non siate così sicure e non dormiteci sopra! Fareste come colui che si corica del tutto tranquillo, avendo sbarrato perfettamente le porte di casa sua per paura dei ladri, e ve li lascia chiusi dentro. Ora, non sapete che non può esserci peggior ladro di colui che sta in casa: e, in effetti, vi restiamo noi. E, ancor più, se non si procede con grande attenzione e ognuna di noi non bada bene – come nell’affare più importante d’ogni altro – a rinunziare alla propria volontà, molti ostacoli si frapporranno per toglierci questa santa libertà di spirito, la sola che ci permette di volare verso il Creatore non più carichi di terra e di piombo.

2. Un gran rimedio per questo male è pensare di continuo che tutto è vanità e quanto duri poco. Servirà a stornare le nostre affezioni da tutto e volgerle a ciò che non avrà mai fine. Anche se sembra un debole mezzo d’aiuto, riesce a fortificare molto l’anima. Dobbiamo, inoltre, avere una gran cura di non attaccarci nemmeno alle piccole cose; appena ci si avvede di affezionarci a qualcuna di esse, bisogna cercare di stornarne il nostro pensiero e rivolgerlo a Dio; Sua Maestà ci aiuterà. Egli ci ha già concesso una grande grazia con l’accordarci che in questa casa il più sia ormai già fatto, anche se questo distacco da noi stesse va ancora fatto. È uno strappo duro perché siamo fortemente attaccate al nostro io e ci amiamo molto.



 

CAPITOLO 15 (10)

Tratta dell’umiltà come strettamente unita alle altre due virtù: distacco e amore come ha descritto.

 

1. Qui può intervenire la vera umiltà, in quanto questa virtù e l’altra [della rinuncia a se stessi] mi pare che vadano sempre insieme: sono due sorelle che non bisogna mai separare. Non sono esse i parenti dai quali io consiglio di tenersi lontane, anzi esorto ad abbracciarle e ad amarle, senza privarsi mai della loro compagnia. Oh, sovrane virtù, regine di tutto il creato, imperatrici del mondo, liberatrici di tutti i lacci e di tutte le insidie tese dal demonio, così amate dal nostro Maestro, il quale non fu mai, neppure per un attimo, senza di voi! Chi ne sarà in possesso può ben uscire a combattere contro tutto l’inferno congiunto, contro tutto il mondo e le sue seduzioni, e contro la carne. Non abbia paura di nessuno, perché è suo il regno dei cieli. Non ha ragione di temere; deve soltanto supplicare Dio di sostenerlo in tali virtù, perché non le perda per colpa sua.

2. Ma che stoltezza la mia di mettermi a lodare mortificazione e umiltà - o umiltà e mortificazione – già tanto lodate dal Re della gloria e consacrate da tante sue sofferenze! Orsù, dunque, sorelle mie, è questo il momento di lavorare per uscire dalla terra d’Egitto, perché, trovando queste virtù, troverete la manna; tutte le cose vi parranno buone, e per quanto alla gente del mondo il loro sapore sembri amaro, per voi sarà squisitamente dolce.

3. Ebbene, ciò che anzitutto dobbiamo sforzarci di fare è liberarci dall’amore di questo nostro corpo, perché alcune di noi sono così attaccate , per natura, ai loro agi, che hanno molto da fare a tale riguardo, e altre amano tanto la salute. È una cosa sbalorditiva vedere le lotte che per questa ragione devono sostenere – le povere monache in particolare –, ma anche le persone che non lo sono. Alcune monache, poi, sembra che siano venute in monastero per servire il nostro corpo e per curarlo ciascuna come meglio può. Sembra che pongano in ciò tutta la loro felicità. Qui, a dire il vero, non c’è molta possibilità di agire in tal senso, ma io vorrei che non ve ne fosse neanche il desiderio. Abbiate la ferma risoluzione, figlie mie, di venire a morire per Cristo e non a concedervi benessere per lui; questo lo suggerisce il demonio come cosa necessaria per mantenere e rispettare l’osservanza della Regola. E, intanto, preoccupandosi della propria salute, per poter osservare scrupolosamente la Regola, si muore senza averla osservata interamente per un solo mese e forse neanche per un giorno. Non so, dunque, a che scopo siamo venute qui.

4. Non abbiano paura che su questo punto, da parte delle monache, si manchi di discrezione: sarebbe da restarne stupiti, perché gli stessi confessori temono subito che ci si possa ammazzare di penitenze. E questa mancanza di discrezione è così aborrita da noi che, magari adempissimo tutto il resto con lo stesso scrupolo! Quelle che agiscono all’opposto, non si turbino di ciò che dico, come non mi turberei se dicessero che giudico le altre da me stessa. Io credo, anzi sono certa di avere più compagne che potrebbero sentirsi offese perché fanno il contrario. Per questo ritengo che il Signore ci voglia sempre ammalate; per lo meno nei miei confronti ha usato una gran misericordia col farmi essere tale, perché, intesa a procurarmi agi in un modo o in un altro, volle che almeno lo facessi per qualche motivo. È davvero cosa ridicola che alcune siano vittime di questo tormento che esse stesse si procurano; a volte nasce in loro un desiderio di far tali penitenze, senza misura né giudizio, che vi durano solo due giorni, come si dice. In seguito il demonio mette loro in testa che ne hanno avuto un danno per cui non faranno più alcuna penitenza, dopo simile esperienza, neanche quella prescritta dalla Regola! Non ne osserviamo nemmeno certi punti molto facili, come il silenzio, che non potrebbe farci alcun male, e appena ci sembra di avere un piccolo mal di testa, tralasciamo di andare al coro – cosa che non può certo ucciderci – e così un giorno non andiamo perché ci fa male, un altro perché abbiamo avuto dolori e tre altri giorni perché non ci venga più mal di testa.

5. Voi direte, amiche: basta che la priora non lo consenta. Se potesse leggere nel vostro intimo, non lo farebbe. Ma, siccome vede che, per una piccola cosa che vi sembra portar via l’anima, chiedete il permesso, mosse da grande necessità di non poter minimamente osservare [la Regola] dell’Ordine e, quando si tratta di cose un po’ serie, non manca l’aiuto di un medico al quale avete parlato in tal senso, di un’amica o di una parente che piange al vostro fianco; nonostante la povera priora sia consapevole che state esagerando, che cosa può fare? Ha lo scrupolo di mancare alla carità; preferisce che siate voi a commettere una colpa anziché lei; e non le sembra giusto giudicarvi male.

6. Oh Dio – ed egli mi perdoni –, simili cose possono accadere fra le monache e temo che siano divenute un fatto di costume. A me è capitato una volta di aver visto una monaca lamentarsi per il mal di testa e ciò in continuazione. Sottoposta ad una visita, risultò che non ne soffriva affatto, mentre aveva qualche dolore da un’altra parte.



 

CAPITOLO 16 (11)


Continua a trattare della mortificazione e come la si debba acquistare nelle malattie.

 

1. Sorelle mie, mi sembra una grande imperfezione questo continuo urlare e lamentarsi con la voce flebile dell’inferma. Anche se siete ammalate, se potete, non fatelo, per amore di Dio. Quando il male è grave, si lamenta da solo: è un altro genere di lagnanza ed è subito evidente. Considerate che siete poche e che basta una che abbia questo malvezzo per essere causa di pena a tutte, se vi amate e vi è tra voi carità. Chi è veramente malata lo dica e prenda ciò che le è necessario. Se non è schiava dell’amor proprio, soffrirà tanto di concedersi qualunque sollievo che non c’è da temere vi faccia ricorso senza averne bisogno o che si lamenti senza motivo. In caso di vera necessità sarebbe decisamente un male non dirlo, e sarebbe peggio che le consorelle non ne avessero compassione.

2. Ma si può essere certi che dove regnano l’orazione e la carità e dove siete così poche da notare immediatamente i bisogni l’una dell’altra, non mancherà mai attenzione nelle cure. Guardatevi, però, dal lamentarvi di certe indisposizioni e piccoli malesseri di donne, perché alle volte è il demonio a farci credere a tali mali: vanno e vengono. Se non perdete l’abitudine di parlarne e di lamentarvi di tutto, eccetto che con Dio, non la finirete più. Insisto tanto su questo perché mi sembra molto importante ed è causa di grande rilassamento nei monasteri. Il nostro corpo, infatti, ha questo di brutto: che quanto più si vede curato, tanto più scopre nuovi bisogni. È incredibile quanto esiga d’esser trattato bene, e poiché qui ha un buon pretesto per ingannare la povera anima e arrestarne il progresso, non tralascia alcuna opportunità.

3. Pensate a tanti poveri malati che non hanno con chi lamentarsi; e poi, esser povere e voler trattarsi bene è fuori di ogni logica. Pensate anche che ci sono molte donne sposate e perfino, come io so, di elevata condizione che, pur con gravi malattie e con grandi travagli, non osano lamentarsi per non dare dispiacere ai loro mariti. E noi, invece, me peccatrice! veniamo qui per concederci un migliore trattamento di loro. Oh, mie sorelle, voi che siete libere dai grandi travagli del mondo, sappiate soffrire un poco per amor di Dio, senza che lo sappiano tutti! Vi sono donne sfortunate nel matrimonio che tacciono, non si lamentano, sopportano la loro ben dura sorte, senza trovar conforto in nessuno, affinché i loro mariti non si accorgano di nulla. E noi non sopporteremo, sole con Dio, qualcuno dei mali che egli ci dà in espiazione dei nostri peccati, tanto più che il lamentarcene non serve affatto a calmare il nostro male?

4. In tutto ciò che ho detto, non mi riferisco a gravi malattie, per esempio, a una febbre molto alta – anche se vi prego di aver sempre moderazione e pazienza –, ma a certi piccoli mali che si possono sopportare in piedi, senza far disperare tutti. Che accadrebbe, però, se quanto io scrivo dovesse esser conosciuto fuori di questa casa? Che cosa direbbero di me in tutti i monasteri? Eppure come volentieri lo sopporterei se giovasse a far emendare qualcuna! A lungo andare, la cosa arriva a un punto tale da portare le une a screditare le altre; sì, perché se c’è una che soffre molto, gli stessi medici non le credono, perché hanno visto altre lamentarsi molto per lievi malesseri (siccome mi rivolgo soltanto alle mie figlie, tutto può passare). Ricordiamoci dei nostri Padri, quei santi eremiti d’altri tempi, di cui pretendiamo imitare la vita. Quanti dolori hanno dovuto sopportare e in quale isolamento! Quanto freddo, fame, sole e arsura, senza avere nessuno con cui lamentarsi se non con Dio! Pensate forse che fossero di ferro? Ebbene, erano fatti di carne, proprio come noi. Figlie mie, una volta cominciato a vincere questo misero corpo, esso non ci importunerà più tanto. Ci saranno sempre molte sorelle a badare ai vostri bisogni; non preoccupatevi, pertanto, di voi stesse, a meno che non si tratti di un’evidente necessità. Se non vi decidete una buona volta ad accettare la morte e la perdita della salute, non farete mai nulla.

5. Cercate di non avere questa paura, abbandonatevi completamente a Dio, e avvenga quel che vuole. Quante volte il corpo si è preso gioco di noi! E non vogliamo qualche volta prenderci gioco di lui? Credete pure che questa risoluzione, che sembra essere di scarsa rilevanza rispetto ad altre cose, è più importante di quanto possiamo credere. Provate a farlo in modo da prenderne l’abitudine e vedrete che non mento. Il Signore ci aiuti, egli che vuole aiutarci in tutto, e ci spinga a farlo in modo degno di Sua Maestà.



 

CAPITOLO 17 (12)


Mostra quanta poca stima debba avere della vita e dell’onore chi ama veramente Dio.

 

1. Passiamo ad altre cosette che sono anch’esse molto importanti, benché sembrino di poco conto. Tutto ci appare gravoso, ma appena ci mettiamo all’opera, Dio agisce così efficacemente nell’anima e le dona tante grazie che le sembra poco tutto ciò che si può fare in questa vita. Per noi monache, poi, per cui il più è fatto, dando a Dio la cosa principale che è la volontà da noi rimessa nel potere altrui, perché nel nostro intimo ci arrestiamo quando si tratta di cose da nulla? Si osservano tante pratiche gravose: digiuni, silenzi, continuo servizio del coro, e le monache si ostinano a trattarsi bene, anche se non sempre e non tutte – e forse nei molti monasteri che ho visto sono soltanto io a farlo – e allora, perché siamo restie a mortificare i nostri corpi in cose tanto minuziose? Non è forse meglio non compiacerli in queste piccolezze ma elevarli con sollecitudine verso dove non vorrebbero andare, sino a portarli ad arrendersi sul piano spirituale?

2. Mi sembra che chi comincia veramente a servire il Signore, il meno che possa offrirgli dopo avergli donato la volontà, è la vita considerata come un nulla. È evidente che se è un vero religioso o una vera anima di orazione che pretende godere i doni di Dio, non deve voltar le spalle al desiderio di morire per Dio e soffrire anche il martirio. Del resto, non lo sapete, sorelle, che la vita del buon religioso, che vuol essere fra i più intimi amici di Dio, è un lungo martirio? Lungo, perché tale può dirsi in confronto a quello di coloro cui veniva tagliata la testa. Ma l’intera vita è breve, anzi a volte brevissima. Infine, non bisogna contare su tutto quanto ha fine, e sulla vita ancor meno, perché non c’è un giorno che sia sicuro; e pensando che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, chi di voi non lo impiegherebbe bene?

3. Badate, dunque, sorelle, che credere questo è cosa certa, perciò cercate di contraddire in tutto la vostra volontà. Anche se non si riesce a fare ciò in breve tempo, tuttavia a poco a poco, se v’impegnerete con l’orazione, vi troverete sulla vetta. Ma non sembra troppo rigoroso dire che noi non dobbiamo cercare soddisfazione in nulla? Sì, perché non si dice quali grazie e gioie comporti questa contraddizione e quanto si guadagna con essa anche in questa vita, quale sicurezza! Qui, poiché tutte voi percorrete questa strada, il più è fatto. Ora, vi stimolate e vi aiutate a vicenda: in questo ciascuna di voi deve cercare di superare le altre.

4. Vegliate attentamente sui vostri moti interiori, specialmente su quelli riguardanti la preminenza. Dio ci liberi, per la sua passione, di fermarci a dire: «sono più anziana nell’Ordine», «ho più anni», «ho lavorato di più», «quella è trattata meglio di me», e così via. Bisogna respingere subito queste prime reazioni, appena si presentano, perché il fermarsi su di esse o parlarne, è una peste e l’origine di grandi mali nei monasteri. Badate che ne so molto. Se doveste avere una priora che fa poche o molte concessioni, credete che Dio ha permesso che l’abbiate in punizione dei vostri peccati e questo sarà l’inizio della rovina. Invocatelo, e tutta la vostra preghiera sia per averne rimedio. Questo distacco occorre a tutti: al religioso o ad una persona dedita all’orazione (giacché chi veramente la possiede, la pratica nella risoluzione di godere delle grazie e dei favori che Dio concede in essa).



 

CAPITOLO 18 (12)

Continua a parlare della scarsa stima dell’onore che deve avere chi desidera andare avanti.

 

1. Non mi dite: «Dio accorda favori anche a chi non è così distaccato». Io credo che, nella sua sapienza infinita, egli vede che tale generosità è conveniente per condurli a lasciare tutto per lui. Per «distacco» non intendo solo l’entrare in religione, giacché vi possono essere ostacoli per abbracciare questa via, e in ogni luogo un’anima perfetta può essere distaccata e umile. Ma credetemi: dov’è una vana stima del punto d’onore o desiderio di beni terreni (e questo può trovarsi tanto dentro i monasteri quanto fuori di essi, anche se dentro le occasioni siano più remote, e maggiore, quindi, la colpa), malgrado si siano trascorsi molti anni nell’orazione (o, per meglio dire, nella meditazione, perché l’orazione perfetta finisce col correggere questi difetti), non ci si avvantaggerà molto né si arriverà a godere il vero frutto dell’orazione.

2. Considerate, sorelle, se vi sia o no qualcosa per voi tra tutte queste piccolezze, tanto più che non siete qui per altro. Comportandovi diversamente, perdereste l’onore e il profitto che ne potreste guadagnare; così che disonore e perdita vanno qui unite insieme. Ognuna consideri quale sia il suo grado d’umiltà e vedrà a che punto è nel progresso spirituale. Sono convinta che il demonio non osa tentare, neppure con un primo impulso, chi è veramente umile, perché, essendo molto astuto, ne teme il contraccolpo. È impossibile, per chi è umile, non acquistare maggior forza e non progredire di molti gradi in questa virtù, se il demonio lo tenta in tal senso. È evidente, infatti, che l’anima si trova nella necessità di cercare i propri peccati, riconoscere quanto poco ha servito il Signore in confronto con ciò che gli deve, considerare l’eccelso dono ch’egli ci fece nell’abbassarsi fino a noi per darci esempio di umiltà. Da queste considerazioni l’anima esce così avvantaggiata che il demonio non osa tornare all’attacco per non riportarne la testa rotta.

3. Ecco il consiglio che vi do e non dimenticatelo: non solamente dovete avanzare in umiltà interiormente (giacché, come ho detto, sarebbe un gran male non restare con questo profitto), ma cercare anche che le consorelle traggano vantaggio dalla vostra tentazione mediante i vostri atti esterni. Se volete vendicarvi del demonio e liberarvi più presto dalla tentazione, non appena vi sopravvenga, confidatevi con la priora, pregatela d’imporvi qualche incarico umiliante o adempitelo voi stesse come potete e adoperatevi a studiare il modo di piegare la vostra volontà – il Signore vi farà conoscere molte cose –, e con qualche mortificazione pubblica come si usa in questa casa. Fuggite tali tentazioni del demonio come la peste e fate tutto il possibile affinché egli stia solo per poco tempo con voi. Dio ci liberi da coloro che pretendono di servirlo coltivando insieme il proprio onore e temendo il disonore! Badate che è un cattivo affare e – come ho detto – lo stesso onore si perde col perseguirlo, specialmente negli Ordini religiosi, perché non c’è al mondo un tossico che uccida la perfezione come cose di questo tipo.

4. Direte che sono piccole cose, da nulla, di cui non bisogna far caso. Non scherzateci sopra, perché crescono nei monasteri come la schiuma: non è cosa da nulla quando il pericolo è così grave. Sapete perché? Forse in qualcuna l’inizio è una cosa da poco, anzi quasi un nulla, ma subito il demonio fa sì che a un’altra sembri grave, e questa penserà di fare un atto di carità col dirvi che non capisce come possiate sopportare quell’affronto, che prega Dio di darvi pazienza; vi esorta a offrirgli questa prova, superiore a quanto potrebbe soffrire un santo. Il demonio vi raggira, in conclusione, con tali seduzioni che, pur essendo decise a soffrire, ne uscite con una tentazione di vanagloria, dicendo che la prova è grande.

5. La nostra natura è talmente debole che, anche se la tentazione ci viene tolta col dire che non è nulla, noi soffriamo e tanto più se vediamo che le altre se ne angustiano per amor nostro. La pena cresce quando crediamo di aver ragione e l’anima perde tutte le occasioni che aveva di acquistare meriti. Più debole ancora essa attende il demonio [che verrà] con un attacco più violento. Potrà pure accadere, anche se voi non volete angustiarvene, che vengano da voi a dirvi che «siete un’insensata», che «è bene risentirsi degli affronti» e che «avete qualche amica».



CAPITOLO 19 (13)

Come bisogna fuggire i puntigli e le massime del mondo per arrivare alla vera sapienza.

 1. Per amor di Dio, sorelle, state molto attente a quanto vi dirò! Nessuna di voi si lasci prendere da una carità indiscreta nel mostrare compassione per un’altra in cose che riguardano simili finte diffamazioni. Molte volte vi ho detto, e ora lo scrivo qui che [le religiose] di questa casa, come anche ogni persona che vorrà essere perfetta, deve fuggire mille miglia da espressioni come queste: «avevo ragione», «mi hanno fatto un torto», «non aveva un motivo chi mi ha fatto questo»… Dio ci liberi da cattive ragioni! Vi sembra che ci fosse motivo perché il nostro Cristo nostro bene soffrisse tante offese e gli facessero tanti oltraggi e tanti torti? La religiosa che non fosse disposta a portare la croce che non sia quella datale a buon diritto, io mi chiedo che ci fa in un monastero; se ne ritorni nel mondo, dove pur le sue ragioni non le varranno a risparmiarle prove. Forse che voi potete soffrire tanto da non dover avere maggiori sofferenze? Che motivo avete, dunque, [di lagnarvi]? Davvero non lo capisco.

2. Quando vi tributano qualche onore o vi concedono agi o vi trattano particolarmente bene, tirate fuori queste ragioni, essendo certamente contro ogni logica che vi usino tali attenzioni in questa vita. Ma quanto ai torti – così li chiamiamo senza che in realtà nessuno ci faccia torto – io non so che cosa ci sia da dire. O siamo spose di un così gran Re, o no. Se lo siamo, esiste forse una donna onorata che non condivida gli oltraggi fatti al suo sposo, anche se di sua volontà non lo farebbe? Infine, l’onore e il disonore sono in comune fra loro. Volere, dunque, far parte del regno del nostro Sposo e goderne, e al tempo stesso non partecipare in nessun modo dei suoi oltraggi e delle sue sofferenze, è una follia.

3. Dio non voglia che noi desideriamo questo! Quella fra noi che si considera stimata meno fra tutte le altre, si reputi la più fortunata; e lo è, infatti, se sopporta la prova come deve sopportarla; e una volta abituata, né le mancherà onore in questa e nell’altra vita, credetemi pure. Ma che stoltezza la mia di chiedervi di credere a me, quando lo affermano la vera Sapienza, che è la stessa verità, e la Regina degli angeli. Cerchiamo, figlie mie, di somigliare in qualche piccola cosa a questa santissima Vergine, di cui portiamo l’abito. C’è da riempirsi di confusione al pensiero che ci chiamiamo sue monache! Seguiamola imitando almeno un po’ la sua umiltà. Dico un po’, perché per quanto ci abbassiamo e ci umiliamo, ciò è nulla  per una come me, che per i suoi peccati ha meritato di essere abbassata e disprezzata dai demoni, a meno che non l’avesse voluto spontaneamente. Sebbene non abbiano sulla coscienza tanti peccati, sarà difficile trovare qualcuno che non ne abbia tanto da meritare l’inferno. E torno a dire che non dovete minimizzare queste cose.

Se non bloccate con tutta la diligenza possibile le imperfezioni, ciò che oggi non sembra nulla, domani forse sarà un peccato veniale, e tanto pericoloso da diventare, se trascurato, causa di molti altri. E per un Ordine religioso ciò comporta gravi danni.

4. A questo dovremmo far molta attenzione, noi che viviamo in queste comunità, per non nuocere a quelle che si adoperano a fare il nostro bene e a servirci di buon esempio. E se sapessimo quanto danno si arreca nel dar l’avvio alla cattiva abitudine dei puntigli d’onore, preferiremmo morire mille volte piuttosto che esserne causa, perché si tratterebbe, in fondo, solo di una morte fisica. Nuocere, invece, alle anime è davvero un gran male e sembra non aver fine. Infatti, alle religiose che muoiono ne succedono altre, e tutte, probabilmente, seguono piuttosto una cattiva abitudine da noi introdotta, che non molti esempi di virtù. Il demonio non lascia cadere la prima, mentre basta la nostra stessa naturale debolezza a far perdere la traccia delle virtù.

5. Oh, quale grande carità attuerebbe e quale gran servizio a Dio renderebbe la religiosa che, vedendosi incapace di seguire le pratiche di perfezione e le abitudini di questa casa, lo riconoscesse e se ne andasse via da qui, lasciando le altre in pace! E perfino in tutti i monasteri (almeno se mi danno retta) non l’accoglieranno e non la faranno professare finché non abbiano costatato dopo molti anni di prova che è giunta ad emendarsi. Non mi riferisco a mancanze di penitenze e di digiuni. Non sono cose che fanno danno, anche se costituiscono una colpa. Parlo, invece, di coloro che per la loro natura vogliono essere stimate e considerate dalle loro amiche, mentre sono inclini ad osservare le mancanze delle altre e a non ammettere mai le proprie. Simili cose nascono proprio da una scarsa umiltà. Se Dio non interviene con l’infondere loro uno spirito grande e per molti anni fa vedere che si sono corrette, Dio vi liberi dall’averle in vostra compagnia. E capite che una tale religiosa non sarà mai tranquilla e non lascerà mai tranquille le altre.

 



CAPITOLO 20 (13)

È importante che non si ammetta alla professione nessuna che nel suo comportamento sia contraria a quanto ora detto.

 

1. Siccome voi non chiedete la dote, il Signore vi fa la grazia di poter rimandare [una postulante], cosa che nei monasteri mi fa compassione perché spesso, per non dover restituire il denaro, o per timore di offendere l’onore dei parenti, si tengono in casa il vero ladro che ruba il tesoro. In questa casa avete già rischiato di perdere l’onore del mondo, perché i poveri non sono onorati. Non vogliate ora che lo siano gli altri a spese vostre. Sorelle, il nostro onore consiste nel servire Dio. Chi pensasse di distogliervi da questo, stia a casa con il suo onore. A tale riguardo, i nostri Padri hanno stabilito un anno di prova e nel nostro Ordine lo si può prolungare fino a quattro e ciò con libertà. Io prolungherei la prova fino a dieci anni. Ad una monaca umile importa poco non essere professa. Sa che se è buona non la manderanno via e se non lo è, perché vuole creare danno a questo collegio di Cristo? Non essere buone non significa per me avere un comportamento di vanità – e con l’aiuto di Dio credo che ciò sia fuori da questa casa – ma considero non essere buone coloro che mancano di mortificazione, sono attaccate alle cose del mondo e a se stesse, come ho detto prima. E chi non scopre in sé tale bontà, mi creda, non faccia la professione per non avere di qua un inferno e, piaccia a Dio, nemmeno nell’altra vita. Vi sono molte ragioni per temere questa cosa e forse non lo capiscono né le monache della medesima casa né lei stessa, come invece lo capisco io. Credete a ciò che vi dico, altrimenti ci penserà il tempo a darmi ragione, perché il tenore di vita che qui intendiamo condurre non è solo da monache, ma da eremite, pertanto dobbiamo distaccarci da ogni cosa creata. Tale, infatti, è la grazia che, come posso costatare, il Signore concede particolarmente a quelle che ha scelto per questa casa. Anche se non vi adempiano ancora il distacco con tutta perfezione, la prova che sono indirizzate per quel cammino è l’appagamento e l’allegria da cui sono pervase al pensiero che non devono più occuparsi delle cose del mondo.

2. Torno a dire che, se qualcuna è incline alle cose del mondo e vede di non realizzare alcun progresso, se ne vada via da qui; se, ciò malgrado, vuole essere ancora religiosa, entri in un altro monastero, altrimenti vedrà che cosa le succede. Non si lamenti di me, che ho dato qui inizio a tal genere di vita, perché non manco di avvertirla. Questa casa è un paradiso, se ce ne può essere uno sulla terra. Per chi trova il suo appagamento solo nel contentare Dio e non bada al proprio piacere, tale vita è assai felice. Chi desidera qualcosa di più, siccome non potrà averlo, perderà tutto. Un’anima scontenta è come chi ha molta inappetenza: per buono che sia il cibo, ne ha nausea, e quello che le persone sane mangiano di gran gusto gli fa rivoltare lo stomaco. Altrove e in un monastero non così rigido, quest’anima si salverà più facilmente e può darsi che a poco a poco raggiunga quella perfezione che qui non ha potuto sopportare, perché affrontata tutta d’un colpo. Infatti, sebbene per quanto riguarda il nostro intimo si lasci un po’ di tempo perché sia del tutto distaccato e mortificato, per le forme esteriori dev’essere fatto subito, per prevenire il danno che potrebbe arrecare alle altre. Se qualcuna, pur vedendo come agiscono tutte e pur trovandosi continuamente in così buona compagnia, non fa progresso in un anno e mezzo, temo che in molti anni non ne approfitterà di più, anzi indietreggerà. Non dico che la sua perfezione debba essere così rifinita come quella delle altre, ma che ci si accorga della sua graduale ripresa; del resto, quando il male è mortale, si vede subito.

 

 


CAPITOLO 21 (14)


Mostra quanto sia importante selezionare i soggetti da ammettere alla professione.

 

1. Sono certa che il Signore favorisce molto chi è fermamente decisa a servirlo, pertanto bisogna esaminare quale sia l’intento di chi entra fra noi, se non sia soltanto per sistemarsi (come accade a molte). Quando si tratta di persone con un sano criterio il Signore può certo perfezionare il loro intento, ma se non è così, non bisogna prenderle a nessun costo, perché esse non comprenderanno né l’insufficienza del motivo per cui entrano né, in seguito, i suggerimenti di quelle che vorrebbero si adeguassero al meglio. Infatti, in genere, a simili persone sembra sempre di riuscire a capire quello che loro conviene, a preferenza di chi ne sa di più; è questo, a mio giudizio, un male incurabile, perché di rado manca di accompagnarsi alla malizia. Dove sono molte monache, potrà tollerarsi, ma non qui, dove siete così poche.

2. Una persona che abbia un sano criterio, se comincia ad affezionarsi al bene, vi si attacca fortemente, perché vede che è la cosa più sicura; e quand’anche non sia fatta per arrivare a una grande perfezione, sarà di aiuto alle altre con un buon consiglio e potrà aiutarle in molte altre cose, senza essere di peso a nessuna, anzi creando distensione. Se, invece, manca di criterio, io non so di quale utilità possa essere in una comunità; potrebbe, invece, nuocere molto. Questo difetto non si vede subito, perché molte parlano bene e capiscono male, mentre altre parlano poco e alquanto male, ma hanno la capacità di fare molto bene. Ci sono, infatti, anime di una santa semplicità, che s’intendono poco degli affari e degli usi del mondo, ma molto dei rapporti con Dio. Per questo, prima di accettarle, occorre un’accurata informazione e, prima di ammetterle alla professione, una lunga prova. Sappia il mondo una buona volta che avete la libertà di mandarle via e che in un monastero dove si pratica una grande austerità, i motivi per farlo sono molti; visto che così si agisce in questo monastero, non la considereranno un’offesa.

3. Dico «sappia» perché sono così infausti i nostri tempi ed è così grande la debolezza delle religiose (lo dico per me stessa, perché mi è accaduto), che non basta più tenere questa linea di condotta come un’ingiunzione dei nostri antecessori, ma si tende, per non recare una piccola offesa o un dispiacere ai parenti, a dimenticare le usanze virtuose. Piaccia a Dio che non dobbiamo pagare nell’altra vita il fatto di aver ammesso tali postulanti, perché un pretesto per persuaderci che l’ammissione è legittima non manca mai e, di fronte a un simile passo nessuno è buono. Non credo che Dio lascerà sbagliare il superiore che, senza particolare simpatia e affezione, guarda al bene della casa, ma ritengo che quando si è così stolti da considerare pietosamente i fatti, si sbaglia sempre.

4. È, questa, una faccenda che ognuna deve considerare da se stessa, raccomandarla a Dio e far coraggio alla priora, quando gliene mancasse l’animo, essendo una cosa molto importante. Pertanto supplico Dio che v’illumini a questo riguardo.

 

 

CAPITOLO 22 (15)


Tratta del gran bene del non discolparsi, anche se si è incolpati senza motivo.

 

1. Ma come sono disordinata nello scrivere! Proprio come uno che non sa quello che fa. Voi, sorelle, ne avete la colpa perché me l’avete chiesto. Leggetelo come vi è possibile – anch’io scrivo come posso – e se non va, gettatelo nel fuoco. Lo scrivere richiederebbe tempo libero, ma io ne ho così poco e, come vedete, a volte passo addirittura otto giorni senza scrivere e così dimentico ciò che ho detto e non ricordo ciò che voglio dirvi. Ora, certamente faccio male e vi prego di non trovare scuse per me – cosa che sto facendo io – perché il non scusarsi è un’abitudine perfettissima, di grande edificazione e merito. Quantunque più volte Dio ve l’abbia insegnata e, per la sua bontà, voi la pratichiate, a me Sua Maestà non l’ha mai accordata. Piaccia a Dio concedermela prima di morire. Mi sembra che non mi manchi mai un motivo per persuadermi che sia maggior virtù scusarmi. A volte ciò è lecito e sarebbe male non farlo, ma io non ho discrezione – o, per meglio dire, umiltà – nel farlo quando occorre. È davvero, infatti, un segno di grande umiltà tacere quando si è accusati ingiustamente, attenendosi strettamente all’esempio del Signore, che ha lavato tutte le nostre colpe. Vi prego, pertanto, di applicarvi con grande impegno alla pratica di questa virtù che apporta grandi vantaggi; nessuno, invece, ne vedo dal cercare di scusarci delle nostre colpe, salvo in quei casi in cui non dire la verità potrebbe esser causa di sofferenza o di scandalo. Tali casi potranno essere riconosciuti da chi ha maggiore discrezione di me.

2. Credo sia molto importante abituarsi a praticare questa virtù o adoperarsi  per ottenere dal Signore la vera umiltà, che ne è l’origine. Chi è veramente umile, infatti, deve desiderare sinceramente di non essere tenuto in alcun conto, di venire perseguitato e condannato senza colpa, anche in cose gravi, perché, se vuole imitare il Signore, in che cosa può farlo meglio che in questo? Qui, infatti, non sono necessarie forze fisiche né aiuti di altri, se non di Dio.

3. Io vorrei, sorelle mie, che ci applicassimo molto e con sacrificio a queste grandi virtù e non facessimo penitenze eccessive che, anche se sono buone, come sapete, limito attentamente. Le grandi virtù interiori non vanno mai frenate: non indeboliscono né tolgono le forze al corpo così da impedirgli di osservare la Regola, mentre fortificano l’anima. Cominciando a vincersi  in cose assai piccole ci si abituerà a riportare la vittoria nelle grandi.

4. Vedete come si scrive bene su queste cose e che male c’è in me! In verità, nelle cose grandi io non ho mai potuto fare la prova, perché non ho mai sentito dire tanto male di me da non riconoscere che era ancor poco. Infatti, anche se talvolta – anzi, spesso – mi accusavano falsamente di una cosa, io vedevo che avevo offeso Dio in tante altre, e mi sembrava che mi facessero già una grande carità nel passarle sotto silenzio. Così provavo più piacere nel vedermi accusata di colpe inesistenti che di quelle reali che già sentivo io. Le accuse false, per gravi che fossero, non toccavano la mia natura, mentre nelle piccole cose, io ho seguito – e seguo – le mie inclinazioni naturali. Per questo, vorrei che presto cominciaste a comprendermi e ciascuna di voi considerasse che c’è molto da guadagnare in tutto e, come mi sembra, nulla da perdere. Il guadagno principale consiste nel seguire almeno in qualche cosa il Signore. Dico almeno in qualche cosa perché – come avevo già detto – le accuse che ci vengono mosse non sono mai senza motivo, perché siamo sempre piene di difetti. Il giusto cade sette volte al giorno: sarebbe, quindi, una menzogna dire che siamo senza peccato. Pertanto, anche se non ci riconosciamo colpevoli di quello di cui ci accusano, non siamo mai esenti del tutto da colpa come lo era il buon Gesù.

5. Oh, Signor mio! Quando penso ai vostri molti tormenti che per nessun motivo meritavate, non so che dire di me, né dove avevo il cervello quando non volevo patire, né dove ho la testa ora, quando mi discolpo di qualche cosa. Voi lo sapete, mio Bene, che se possiedo qualcosa di buono, non mi è venuto da altre mani che dalle vostre. Ebbene, Signore, vi importa forse più donare poco che molto? Se non mi date ascolto per il fatto che non lo merito, non meritavo nemmeno le grazie che mi avete elargite. È possibile che io debba desiderare che si pensi bene di una creatura così cattiva come me, quando si è detto tanto male di voi, che siete il Bene supremo? Non lo si può soffrire, mio Dio, non lo si può soffrire. Io vorrei tanto che non lo soffriste neppure voi, non permettendo che nella vostra serva vi sia qualcosa di sgradito al vostro sguardo. Considerate, dunque, Signore, che io sono cieca e mi contento di ben poco. Datemi luce voi e fate che io desideri sinceramente di essere disprezzata da tutti, avendo abbandonato tante volte voi che mi avete amata con tanta fedeltà. Che è questo, mio Dio? Che speriamo di guadagnare nel compiacere le creature? Che importa se esse ci incolpano, quando sono senza colpa di fronte al mio Creatore? Oh, sorelle mie, noi non arriveremo mai a capire questa verità e così non riusciremo mai a essere perfette, se non prendiamo l’abitudine di meditarci sopra e di riflettere su quello che è e su quello che non è.



 

CAPITOLO 23 (15)

Prosegue sullo stesso argomento.

 

1. Inoltre, quand’anche non ci fosse altro vantaggio che la confusione in cui resta la sorella che vi avrà incolpato nel vedere che voi, pur essendo esenti da colpa, vi lasciate condannare, questo sarebbe già una gran cosa; un tale esempio eleva a volte più di dieci prediche. Tutte, infatti, poiché l’Apostolo e la nostra incapacità ci vietano di predicare con le parole, dovete cercare di farlo con le opere.

2. Non pensate mai che debba restare segreto il male o il bene che farete, per quanto stretta sia la vostra clausura. Mi sembra di averlo già detto altre volte e vorrei ripeterlo spesso. Credete forse, figlie mie, che se non vi discolpate, non ci sarà nessuno che prenda le vostre difese? Ricordate come rispose il Signore in difesa della Maddalena quando Marta accusava la sorella. Sua Maestà, se sarà necessario, indurrà sempre qualcuno a muoversi in vostra difesa. Questo io l’ho visto per esperienza ed è la pura verità, anche se non vorrei che pensaste a ciò, ma che vi rallegraste d’essere accusate: il tempo mi sarà testimone del profitto che vedrete nella vostra anima – e sarà molto. Si comincia, infatti, a conquistare la libertà e non importa se si dice male di noi più di quanto importi che se ne dica bene, anzi sembra che questo non ci riguardi. Come quando due persone stanno parlando, ma poiché non si rivolgono proprio a noi, non ci preoccupiamo di dar loro una risposta, così è in questo caso: presa l’abitudine di non dover rispondere, ci sembra che non si rivolgano a noi. Ciò sembrerà impossibile a chi, come noi, è particolarmente suscettibile e poco propenso alla mortificazione. Al principio è certamente difficile, ma io so che, con la grazia del Signore, si possono raggiungere gradatamente questa libertà, questa abnegazione e questo distacco da noi stessi.



CAPITOLO 24 (16)


Per trattare dell’orazione era necessario dire quanto è stato detto fin qui.

 

1. Non crediate che tutto questo sia molto, perché vado solo preparando, come si dice, i pezzi sulla scacchiera. Mi avete chiesto di parlarvi del fondamento dell’orazione; io, figlie mie, quantunque Dio non mi abbia condotta per questa strada, perché certo non credo d’avere ancora tali virtù, non ne conosco altro. Credete pure che chi non sa disporre bene i pezzi nel gioco degli scacchi, giocherà male e se non sa fare scacco, non farà neppure scacco matto. Voi certo mi biasimerete perché parlo di un gioco che non esiste né deve esistere in questa casa. Da ciò potete vedere quale madre vi abbia dato Dio, se ha conosciuto anche questa vanità, ma dicono che qualche volta tale gioco sia permesso; a maggior ragione, sarà lecito a noi usarne la tattica, e vedrete come presto, se vi ricorriamo spesso, daremo scacco matto a questo Re divino, il quale non potrà sfuggirci, né lo vorrà.

2. La regina è quella che in questo gioco può dare maggior guerra al re, sia pure col concorso di tutti gli altri pezzi. Ebbene, non c’è regina che costringa il Re divino ad arrendersi come l’umiltà; essa lo fece scendere dal cielo nel seno della Vergine, e con il suo aiuto noi lo attireremo, come per un capello, nelle nostre anime. Credetemi, chi avrà più umiltà, più lo possederà e chi meno, meno; io non riesco a capire, infatti, come ci sia o ci possa essere umiltà senza amore, né amore senza umiltà, né come sia possibile che queste due virtù coesistano senza un gran distacco da ogni cosa creata.

3. Vi chiederete, figlie mie, perché vi parlo di virtù, quando avete tanti libri che ve le insegnano, mentre non volete altro se non che vi parli di contemplazione. Vi rispondo che, se mi aveste pregato di parlarvi della meditazione, l’avrei ancora potuto fare, consigliando tutte di non trascurarla, benché prive di virtù, perché è la base per conseguire ogni virtù. La meditazione è d’importanza vitale per tutti i cristiani, né vi è alcuno, per colpevole che sia, che debba trascurarla, se Dio lo incita a realizzare un così gran bene, come ho già scritto altrove, e come ne hanno scritto molti altri che sanno quello che scrivono (perché io certamente non lo so; lo sa Dio).

4. Ma la contemplazione, figlie mie, è un’altra cosa. Ecco l’errore in cui cadiamo tutti: applicandosi ognuno ogni giorno un momento a pensare ai suoi peccati (cosa a cui è obbligato se non è cristiano soltanto di nome), si dice subito che è un gran contemplativo, e immediatamente si esige che abbia così grandi virtù come deve appunto averle un gran contemplativo; lo vuole lui stesso, ma sbaglia. Non ha saputo impostare bene il suo gioco da principio; ha creduto che bastasse conoscere i pezzi per dare scacco matto: cosa assurda, perché questo Re non si arrende se non a chi si dà completamente a lui.



CAPITOLO 25 (16)


Parla della differenza che ci dev’essere nella perfezione di vita fra i contemplativi e coloro che si limitano all’orazione mentale.

 

1. Pertanto, figlie mie, se volete che vi indichi il cammino per giungere alla contemplazione, permettetemi di dilungarmi un po’ su certe cose, benché esse a prima vista non vi sembrino tanto importanti e, a mio parere, invece, quelle dette qui lo sono sempre; se, poi, non volete ascoltarle né metterle in pratica, restatevene con la vostra orazione mentale per tutta la vita: io vi assicuro, e altrettanto dichiaro a tutto il mondo, che non raggiungerete mai la vera contemplazione. Può anche essere che m’inganni, giudicando gli altri in base a me stessa, che pur ne ho fatto esperienza per vent’anni.

2. Voglio ora spiegare – perché alcune non lo sanno bene – che cos’è l’orazione mentale, e piaccia a Dio che noi la pratichiamo come si deve! Ma io temo ancora che costi molta fatica se non si cerca di acquistare le virtù necessarie, quantunque non in così alto grado come si richiede per la contemplazione. Per non dimenticare di avervi esortate ad essere certe che il Re verrà, voglio spiegarmi meglio, perché se voi scopriste in quel che dico qualcosa che non risponda a verità, non mi credereste più in nulla. E avreste ragione nel caso che lo facessi coscientemente. Ma Dio me ne liberi! Se così fosse, sarebbe perché non ne so o non ne capisco di più. Accade spesso che il Signore ponga un’anima in uno stato deplorevole anche se non proprio in uno stato di peccato, come mi sembra. Il Signore può concedere una visione, sia pur buona, anche ad un’anima in tristi condizioni per strapparla dal cattivo stato e farla tornare a lui, ma non certo per introdurla nella contemplazione. Non posso crederlo. Nell’unione divina, nella quale il Signore gode con l’anima e questa con lui, un’anima in peccato non arriva a godere della limpidezza dei cieli e la gioia degli angeli non può unirsi ad una creatura non sua. Sappiamo che chi si trova in peccato mortale appartiene già al demonio e può godere con lui, visto che già l’ha accontentato. Sappiamo anche che i suoi godimenti diventano poi un continuo tormento già in questa vita. Ma, al Signore non mancheranno veri figli nei quali egli troverà piacere e non ha bisogno di cercarne altri. Sua Maestà farà anche qui come sempre: strapperà dalle mani del demonio anche quelli.

3. Oh, mio Signore, quante volte vi facciamo lottare a corpo a corpo con il demonio! Non doveva bastare che vi foste lasciato prendere fra le sue braccia quando vi portò sul pinnacolo del tempio, per insegnarci a vincerlo? Ma che spettacolo, figlie mie, vedere quel Sole divino congiunto con lo spirito delle tenebre, e che terrore avrà provato tale spirito maledetto, senza sapere di che, perché Dio non permise che l’intendesse! Sia benedetta tanta pietà e misericordia! Che vergogna dovremmo provare noi cristiani di farlo lottare corpo a corpo – come ho detto – con una bestia così immonda! Fu ben necessario allora che le vostre braccia fossero straordinariamente forti, ma come mai non sono rimaste indebolite dopo tanti tormenti sofferti sulla croce? Oh, come tutto quello che si soffre per amore guarisce presto! Pertanto credo che se voi foste rimasto in vita, lo stesso amore che ci portate avrebbe cicatrizzato le vostre piaghe, senza bisogno di altra medicina. Sembra che io dica uno sproposito. Ma non è così: l’amore divino può fare cose ancora più grandi di queste. Per non apparire curiosa – e lo sono davvero – e per non dare un cattivo esempio, non ne riporto nessuna.

 

CAPITOLO 26 (16)


Parla della possibilità che Dio talvolta elevi, già in questa vita, l’anima alla contemplazione perfetta e ne indica la causa. Capitolo degno di nota.

 

1. Quando il Signore vuole, eleva le anime verso di lui nella contemplazione, anche se tali anime non possiedono ancora queste virtù, però di rado e per breve durata. E questo, ripeto, lo fa per provare se con quel favore vorranno disporsi a goderne spesso, ma se non lo fanno, mi perdonino – o, per meglio dire, perdonatemi voi, Signore –, se dico che è un gran male che voi vi rivolgiate a un’anima di tal genere e che essa dopo si rivolga alle cose della terra per attaccarvisi.

2. Sono convinta che sono molti coloro con i quali il Signore fa questa prova, e pochi coloro che si dispongono a godere di tale grazia. Quando il Signore la concede, e non manca da parte nostra la disposizione a riceverla, sono certa che non cesserà mai di colmarci di benefici fino a che non saremo pervenuti a un alto grado. Quando, invece, non ci diamo a Sua Maestà così generosamente come egli si dà a noi, farà già molto lasciandoci l’orazione mentale e visitandoci di quando in quando, come servi della sua vigna. Gli altri, invece, sono figli bene amati; non vorrebbe più allontanarsene, né se ne allontana, perché essi stessi non lo vogliono: li fa sedere alla sua mensa, dà loro da mangiare quello che mangia lui, fino a togliersi il boccone di bocca per darglielo.

3. Oh, commovente impegno, figlie mie! Oh, felice distacco da cose tanto vili e vane, che porta a così alto stato! Figuratevi che cosa importerà, stando fra le braccia di Dio, che il mondo intero vi accusi, o anche si spacchi la testa gridando; non appena diede l’ordine che il mondo fosse fatto, il mondo fu fatto: la sua volontà è opera. Non abbiate, dunque, paura che permetta si sparli di voi, tranne che sia per maggior vostro bene: egli non ama così poco chi gli dà il suo amore. Allora, figlie mie, perché non gli dimostreremo, come possiamo, il nostro amore? Considerate che è un bel cambio dargli il nostro amore per il suo; considerate che egli può tutto e che noi, qui, non possiamo nulla tranne quello di cui ci rende capaci. Ma che cos’è, poi, questo che noi facciamo per voi, Signore, nostro creatore? Proprio nulla; una piccola determinazione! Se, dunque, per ciò che non è nulla, Sua Maestà vuole che meritiamo il tutto, cerchiamo di non essere insensate.

4. Oh, Signore! Tutto il male ci viene dal non tenere lo sguardo fisso su di voi, perché se non guardassimo ad altro che al cammino, arriveremmo presto, ma incorriamo in mille cadute, in mille inciampi e sbagliamo la strada per non tenere gli occhi – ripeto – sul vero cammino. Ci sembra di non averlo mai fatto, tanto ci appare nuovo. È una cosa deplorevole, certo, quel che a volte accade. Non sembriamo nemmeno cristiane, né sembra che abbiamo mai letto nella vita la passione del Cristo. Mio Dio, toccare il punto d’onore! Chi ci dice di non farne caso, sembra non essere nemmeno un cristiano! Ho riso e talvolta pianto per ciò che capita nel mondo e anche, per colpa dei miei peccati, nelle comunità religiose: basta toccare il tasto della sottovalutazione per suscitare insofferenza. Dicono subito che non sono santi ed anch’io dicevo così.

5. Dio ci liberi, sorelle, quando faremo qualcosa di imperfetto, dal dire: «non siamo angeli», «non siamo santi». Considerate che, quantunque non lo siamo, è sempre bene pensare che, mediante i nostri sforzi, Dio ci aiuta ad esserlo. Non dobbiamo temere che egli ci venga meno, se da parte nostra non gli veniamo meno. E poiché non siamo venute qui per altro fine, mano all’opera, come si dice: non vi sia nulla in cui vediamo che si serve meglio il Signore che non crediamo di riuscire a compiere con il suo aiuto. Io vorrei che ci fosse in questa casa tale aspirazione, che fa sempre crescere l’umiltà e fa avere una santa arditezza, perché Dio aiuta le anime forti e non fa preferenza di persone; aiuterà tanto voi che me.

6. Ho molto divagato; voglio ora tornare a ciò che dicevo, cioè spiegare in cosa consistano l’orazione mentale e la contemplazione. Vi sembrerò forse temeraria, ma voi riuscite a sopportare tutto da me: può anche darsi che lo intendiate meglio attraverso il mio linguaggio grossolano che attraverso lo stile elegante di altri.

 

CAPITOLO 27 (17)


Dice come non tutte le anime siano adatte alla contemplazione, come alcune vi arrivino tardi e come chi è veramente umile deve procedere con letizia per il cammino attraverso il quale il Signore lo conduce.

 

1. Finalmente sembra che cominci a trattare dell’orazione, ma mi manca ancora da dire qualcosa di molto importante, perché riguarda l’umiltà, particolarmente necessaria in questa casa, perché tutte dovete attendere all’orazione, come fate. Come ho detto, è di grande interesse cercare di capire il modo per praticare bene l’umiltà: è questo un punto molto importante, indispensabile per tutte le persone che praticano l’orazione. Quella fra voi che è veramente umile, come potrà pensare di possedere tanta virtù quanta ne hanno coloro che giungono ad essere contemplativi? Che Dio, per i meriti di Cristo possa renderla tale, non c’è dubbio, ma il mio consiglio è che sieda sempre all’ultimo posto, come ci ha insegnato il Signore, dandocene l’esempio. Si disponga convenientemente, nell’eventualità che Dio la voglia condurre per questa strada. Se non lo fa, la vera umiltà gioverà a far sì che si ritenga felice di servire le serve del Signore e di lodarlo per averla condotta fra loro, nonostante ella avesse meritato l’inferno.

2. Non dico questo senza un buon motivo perché, ripeto, è molto importante rendersi conto che Dio non conduce tutti per la stessa strada: infatti, può accadere che colui che si crede più indietro sia invece più avanti agli occhi del Signore. Pertanto, non perché tutte in questa casa pratichino l’orazione devono essere tutte contemplative. È impossibile, e sarebbe triste per quella che non lo è, non capire questa verità, che cioè la contemplazione è solo un dono di Dio, è poiché non è necessaria alla nostra salvezza né la si esige da noi, non tema di esserne mai richiesta; per questo non cesserà di essere perfetta in sommo grado, se fa quello che qui ho scritto. Anzi, può essere che abbia molto maggior merito, perché il lavoro è tutto a sue spese e il Signore la tratta come un’anima forte e le tiene riservate tutte insieme le gioie di cui non gode quaggiù. Non si perda quindi d’animo per questo né tralasci di attendere all’orazione né di fare quello che fanno tutte, perché a volte il Signore viene assai tardi, ma dà generosamente e in un solo momento quanto in molti anni ha dato agli altri a poco a poco.

3. Io sono stata quattordici anni senza poter neanche meditare se non con l’aiuto di una lettura. Ci saranno molte persone nella stessa condizione, e altre che, anche mediante la lettura, non riescono a meditare, ma solo a pregare vocalmente; è qui dove si concentrano meglio e trovano un po’ di gusto. Alcune sono di uno spirito così leggero che non sanno concentrarsi in nulla, e sono sempre distratte, a tal punto che se vogliono fermarsi a pensare a Dio, cadono in mille insensatezze, scrupoli e dubbi di fede. Conosco una monaca di età assai avanzata – piacesse a Dio che la mia vita fosse come la sua –, molto virtuosa, penitente e gran serva di Dio, che spende molte ore, già da vari anni, nell’orazione vocale e ordinaria; ma di quella mentale non è stata mai capace. Il meglio che possa fare, quando le riesce, è concentrarsi gradatamente su quello che recita. Il massimo che riesce a fare è recitare lentamente alcune Ave Maria e qualche Padre nostro: il che risulta un’opera molto santa. E ci sono molte altre persone di tal genere; se, però, hanno umiltà, non credo che alla fine ne usciranno con minor merito, ma sono convinta che il loro merito sarà del tutto uguale a quello di coloro che godono di molti diletti. Esse, in certo modo, avranno proceduto con maggior sicurezza, perché non sappiamo se le delizie vengono da Dio o dal demonio. E se non vengono da Dio, il pericolo è maggiore, perché il fine a cui il demonio qui tende è d’ispirare superbia, mentre se vengono da Dio, non c’è nulla da temere, come ho scritto nel mio primo libro.

4. Queste persone procedono, dunque, nell’umiltà e, temendo di non avere consolazioni maggiori per loro colpa, si sforzano sempre di far progressi. Non vedono versare una lacrima, senza che loro sembri, se non ne versano anch’esse, d’esser molto indietro nel servizio di Dio, mentre, probabilmente, sono molto più avanti, perché le lacrime, anche se buone, non sono tutte perfette, e l’umiltà, la mortificazione, il distacco e le altre virtù offrono sempre maggiore sicurezza. Non abbiate, quindi, alcun timore né dubitate di arrivare alla perfezione come i più alti contemplativi.

5. Santa Marta era una gran santa, benché non si dica che fosse contemplativa; allora, che volete di più che arrivare ad essere come questa donna felice, la quale meritò di ospitare tante volte nella sua casa Cristo nostro Signore e dargli da mangiare e servirlo e mangiare anche lei alla sua mensa e addirittura nel suo stesso piatto? Se entrambe fossero rimaste assorte come la Maddalena non ci sarebbe stato nessuno che desse da mangiare all’Ospite divino. Ebbene, pensate che questo monastero, ove siamo riunite, sia la casa di santa Marta, ove dev’esserci di tutto. E coloro che sono scelte a dedicarsi alla vita attiva non mormorino di quelle che sono molto assorte nell’orazione, perché generalmente questa le rende noncuranti di sé e di tutto.

6. Si ricordino che, se tacciono, il Signore risponderà per loro e si ritengano felici di preparargli il pasto; badino che la vera umiltà consiste, credo, specialmente nell’essere disposti, senza alcuna eccezione, a uniformarsi al volere del Signore e a considerarsi sempre indegni di essere chiamati suoi servi. E se la contemplazione, l’orazione mentale e vocale, la cura degli infermi, i vari servizi domestici e il lavoro – e desiderare anche il più umile –, se tutto ciò equivale a servire l’Ospite divino che viene a dimorare, a mangiare e a ricrearsi con noi, che cosa ci importa di attendere ad uno più che ad un altro ufficio?

 

CAPITOLO 28 (17)


Parla del molto che si guadagna nel disporsi all’intervento di Dio e di quanto sarebbe dannoso non farlo.

 

1. Io non dico che la mancanza di contemplazione sia dovuta a voi, ma che dovete essere disposte a ogni esperienza, perché non dipende dalla vostra scelta, bensì da quella del Signore. E se dopo molti anni egli volesse lasciare ognuna nel suo ufficio, sarebbe proprio una bella umiltà voler ricorrere a un’altra scelta di propria iniziativa! Lasciate fare al Padrone della casa che è saggio, potente e sa quello che conviene a voi e che conviene a lui stesso. Siate certe che, facendo quello che dipende da voi e disponendovi alla contemplazione con la perfezione che ho detto, se egli non ve la concede (ma non credo che mancherà di concedervela, se vi è in voi un vero distacco) è perché tiene riservata questa gioia per aggiungerla a tutte le altre di cui vi farà dono, e perché – come ho già detto – vi vuole trattare da anime forti, dandovi da portare quaggiù la croce come Sua Maestà stessa l’ha sempre portata. E quale amicizia migliore di volere per voi ciò che egli volle per sé? Potrebbe anche essere che non aveste un così gran premio nella contemplazione. Sono, questi, giudizi suoi, e non bisogna interferire in essi; è un gran bene che la scelta non dipenda da noi, perché subito – sembrandoci di trovare nella contemplazione una maggior pace – saremmo tutti grandi contemplativi.

2. Io dico, dunque, figlie mie, a chi tra voi Dio non conduce per questa via, che quelli che la seguono, per quanto ho visto e inteso io, non portano una croce più leggera, e che restereste sbalordite se sapeste per quali vie e per quali prove Dio li fa passare. Io conosco lo stato degli uni e degli altri e so quanto siano intollerabili i travagli che Dio dà ai contemplativi: essi sono tanto duri che non si potrebbero sopportare, se egli non li sostentasse con quel cibo di delizie. Ed essendo evidente che proprio coloro che Dio ama particolarmente sono da lui condotti per la via dei travagli, e tanto più grandi quanto più li ama, non c’è ragione di credere che egli aborrisca i contemplativi, specie perché li loda con la sua bocca e li considera suoi amici.

3. Ora, pensare che egli ammetta alla sua intimità gente amante dei piaceri ed esente da travagli è assurdo. Sono sicurissima che Dio assegna loro ben più difficili prove, e siccome li conduce per un cammino aspro e dirupato, in cui a volte sembra loro di smarrirsi, tanto che devono tornare indietro per cominciare di nuovo la strada, è necessario che Sua Maestà li sostenti, non già con acqua, ma con vino, affinché, inebriati, non si rendano conto di quel che soffrono e lo possano sopportare. Per questo, io vedo ben pochi veri contemplativi che non siano pieni di coraggio, perché la prima grazia che il Signore concede loro, se son deboli, è di infondere in essi coraggio e far sì che non temano sofferenze di qualunque genere possano venir loro.

 

CAPITOLO 29 (18)


Prosegue sullo stesso argomento e mostra quanto le sofferenze dei contemplativi superino quelle di coloro che sono dediti alla vita attiva. Questo capitolo sarà per loro di grande conforto.

 

1. Credo che coloro i quali sono dediti alla vita attiva pensino, non appena vedono gli altri oggetto di qualche favore, che sia sempre così. Ebbene, vi dico che forse voi non potreste sopportare neanche un giorno ciò che essi patiscono. E siccome il Signore conosce tutti per ciò che sono, assegna a ciascuno il suo compito, quello che ritiene più conveniente alla sua anima, alla propria gloria e al bene del prossimo. E, se da parte vostra non manca la disposizione adatta, non abbiate paura che il vostro lavoro vada perduto. Badate che dico che tutte dobbiamo tendere a questo scopo, perché non siamo qui per altro; perciò, non dobbiamo limitare i nostri sforzi a un solo anno, o due o anche dieci, affinché non sembri che abbandoniamo per codardia quanto abbiamo intrapreso. Il Signore sa bene che non lasciate nulla d’intentato, come soldati pronti ad eseguire qualsiasi ordine voglia loro dare il capitano, dovendo ricevere da lui la loro paga. E quanto meglio sono pagati di quelli che servono al re! Vanno tristi verso la morte e poi, sa ben Dio come li si paga.

2. Quando li vede dunque presenti e desiderosi di servirlo, il capitano, che già conosce le attitudini di ciascuno, seppure non così bene come il nostro capitano celeste, distribuisce i compiti secondo le forze; se non fossero presenti, certo non assegnerebbe loro nessun compito, né darebbe loro alcun premio. Pertanto, sorelle, datevi all’orazione mentale, e chi non lo potesse fare, a quella vocale, alla lettura e ai colloqui con Dio, come dirò in seguito. Non lasciate di pregare nelle ore di orazione stabilite per tutte. Non si sa quando il capitano chiamerà e vi darà una sofferenza maggiore, mascherata dal gusto. Se non venite chiamate, pensate che non siete fatte per quella. E qui subentra la vera umiltà. Credete sinceramente di essere incapaci anche riguardo a ciò che fate. Andate avanti allegramente, servendo nell’ufficio assegnatovi.

3. Se possiede la vera umiltà, beata la serva di vita attiva che mormora soltanto di se stessa. Desidererei essere come lei, anziché come altre contemplative. Lasci alle altre le loro battaglie, che non son cosa da poco! Non sapete che nelle battaglie gli alfieri e i capitani sono obbligati a combattere più degli altri?

4. Un povero soldato va avanti passo passo e, se talvolta si nasconde per non entrare nella mischia, non glielo fanno notare ed egli non perde né l’onore né la vita. L’alfiere, invece, anche se non combatte, porta la bandiera e non deve lasciarsela sfuggire di mano, anche se lo fanno a pezzi. Gli occhi di tutti sono puntati su di lui. Come potete, dunque, pensare che abbia poche sofferenze colui al quale il re assegna questo incarico? Per un po’ di onore in più, egli è obbligato a soffrire molto di più e tutto va perso se egli concede qualcosa alla sua debolezza. Amiche mie, poiché non ci rendiamo conto né sappiamo ciò che chiediamo, lasciamo fare al Signore che ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi; la vera umiltà si accontenta di ciò che ci viene dato. Vi sono, infatti, persone che sembrano voler chiedere favori al Signore, appellandosi alla sua giustizia! Bel modo di praticare l’umiltà! Pertanto, fa bene colui che conosce tutti, concedendoli ben di rado a costoro; egli vede chiaramente che non sono pronti a bere il suo calice.

5. Il modo di capire, figlie mie, se siete progredite nella virtù, sta nell’esaminare ciascuna in se stessa se è la più miserabile di tutte e se lo dà a vedere con le opere, per il profitto e il bene delle altre; non se ha più gioia nell’orazione e nei rapimenti, o visioni o grazie di questo genere, per conoscere valore delle quali dobbiamo aspettare d’essere nel mondo di là. L’umiltà, invece è una moneta che ha sempre corso; è una rendita che non può mancare, un fondo perpetuo e non un censo redimibile come questi beni che ci possono essere dati e tolti. La vera ricchezza sta in una profonda virtù di umiltà e di mortificazione, in un’assoluta obbedienza, tale da non farci contravvenire d’un punto agli ordini del superiore, che sapete come sia davvero mandato da Dio, perché ne fa le veci. L’obbedienza è ciò su cui dovrei intrattenermi di più, ma poiché senza di essa non si è monache, e io parlo con monache e, a mio giudizio, buone, o almeno che desiderano esserlo, non ne dirò nulla. È una cosa così nota e importante che non occorrerà più di una parola perché non abbiate a dimenticarla.

6. Voglio dire questo: chi è tenuto per voto all’obbedienza e vi manca, non adoperandosi con ogni cura ad adempierlo con la maggiore perfezione, non so perché stia in un monastero; io, per lo meno, le posso assicurare che, finché mancherà a questo suo voto, non arriverà mai ad essere un contemplativo e neanche osserverà bene i doveri della vita attiva. Ne sono assolutamente certa. Anche se si tratta di una persona che non abbia l’obbligo di questa osservanza, se desidera o pretende di arrivare alla contemplazione, bisogna, perché proceda con la sicurezza di essere sulla via giusta, che rimetta con ogni determinazione la sua volontà a un confessore capace di comprenderla. Questa è cosa ormai ben nota, e molti l’hanno scritto, perciò non occorre che ne parli.

7. Concludo, figlie mie, dicendovi che queste virtù sono le virtù che io desidero in voi, quelle che dovete sforzarvi di possedere e quelle che santamente dovete invidiare. Non vi date pena di non avere le altre speciali forme di devozione: non sono un bene sicuro. Può darsi che in alcune persone vengano da Dio, mentre in voi Sua Maestà permetterà che sia un’illusione del demonio e che egli v’inganni, come ha fatto con molte, perché nelle donne è cosa assai pericolosa: quando c’è tanto modo di servire il Signore in ciò che è sicuro, perché esporvi a tali pericoli? Mi sono dilungata tanto in questo, perché so che è opportuno farlo, conoscendo la debolezza della nostra natura. Dio saprà rendere forti coloro che vorrà elevare alla contemplazione; se non lo vorrà, mi fa piacere di avervi dato questi consigli mediante i quali anche i contemplativi avranno di che umiliarsi. Se mi direte, figlie, di non averne bisogno, può darsi che dopo di voi venga qualcuna che ne sarà contenta. Il Signore, per quello ch’egli è, ci illumini affinché possiamo seguire in tutto la sua volontà e non avremo nulla da temere.

 

CAPITOLO 30 (19)


Comincia a trattare dell’orazione. Parla alle anime che non possono discorrere con l’intelletto.

 

1. Sono passati tanti giorni da quando ho scritto le cose precedenti, senza aver avuto l’opportunità di riprendere a trattarne; se volessi sapere quel che dicevo, dovrei rileggerlo, ma per non perdere tempo, lascerò le cose come vengono, senza un ordine. Per le persone di buona intelligenza e per anime esercitate alla meditazione, che possono raccogliersi in se stesse, ci sono tanti ottimi libri, scritti da autori di così grande merito, che sarebbe un errore far conto di quello che dico io in fatto di orazione. Torno a ripetere: vi sono libri che presentano per ogni giorno della settimana i misteri della sacra passione, le meditazioni sul giudizio, sull’inferno, sul nostro nulla e su tutto ciò che dobbiamo a Dio, esposti con dottrina e metodo eccellenti per ciò che riguarda il fondamento e il fine dell’orazione. A chi ha la possibilità di consultarli e ha l’abitudine di seguire questo, non occorre dire che per un così buon cammino il Signore lo condurrà al porto della luce e che a tali principi corrisponderà una fine santa; tutti coloro che potranno seguirlo vi troveranno riposo e sicurezza perché, tenuto a freno l’intelletto, si procede  in tutta pace.

2. Ma ciò di cui vorrei trattare e su cui dare qualche consiglio, se il Signore mi concedesse di colpire nel segno (e se non me lo concede, vorrei almeno farvi capire che vi sono molte anime che soffrono il tormento che sto per dire, affinché non vi pesi troppo se lo proverete anche voi, e darvi al riguardo qualche consiglio), è questo. Vi sono anime e intelletti così sbrigliati che somigliano a cavalli senza freno che nessuno può fermare: ora vanno qui, ora lì, sempre in agitazione. Se un abile cavaliere li monta, non sarà sempre in pericolo, ma alcune volte sì, e anche quando sta bene a cavallo, non si presenta bene e i suoi movimenti sono segnati da goffaggine: egli cavalca sempre con grande fatica. Le anime che, per la loro stessa natura – o perché Dio lo permette – si muovono in questa maniera, mi fanno molta compassione, sembrandomi persone assetate che vedono l’acqua da molto lontano e quando vogliono recarsi lì a bere, trovano chi sbarra loro il passo al principio, alla metà e alla fine del cammino. Può darsi che quando, a furia di lottare – e con che dura lotta! – hanno già vinto i primi nemici si lascino vincere dai secondi e preferiscano morire di sete, anziché bere un’acqua che deve costare tanto. Le loro forze si sono esaurite, il coraggio viene loro meno. E se altri ne hanno a sufficienza per vincere anche la seconda schiera di nemici, di fronte alla terza perdono ogni forza, forse proprio quando erano a due passi dalla fonte d’acqua viva di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi l’avesse bevuta non avrebbe avuto più sete; e con quanta ragione e verità, quale si conviene a parole pronunciate dalla bocca della verità stessa! È proprio così: l’anima, dissetandosi a quell’acqua, non avrà più sete delle cose di questa vita, mentre la sete per le cose dell’altra vita cresce in misura assai maggiore di quanto quaggiù possiamo immaginare in virtù della sete naturale. Ma con quanto ardore si desidera avere questa sete! L’anima, infatti, capisce il suo grande valore; benché sia una sete penosissima, estenuante, trae con sé lo stesso appagamento che ne estingue l’arsura; pertanto è una sete che non uccide se non il desiderio delle cose terrene, anzi sazia in modo tale che quando Dio la soddisfa, la più grande grazia che può fare all’anima è lasciarla ancora con questa sete – più beve di quest’acqua e più desidera berne.

 

CAPITOLO 31 (19)


Riporta un paragone che facilita la comprensione di ciò che è la contemplazione perfetta.

 

1. L’acqua – mi viene ora in mente – ha tre proprietà che fanno al mio caso, fra le molte altre che certamente possiede. Una è quella di rinfrescare; infatti, per quanto caldo si abbia, gettandoci nell’acqua, esso scompare; anche un gran fuoco si estingue con essa, salvo che non sia di catrame, perché allora si accende di più. Oh, mio Dio, quale meraviglia è vedere un fuoco che si accende di più con l’acqua, un fuoco forte, potente, non soggetto agli elementi, giacché l’acqua, pur essendo il suo contrario, non lo spegne, ma lo alimenta! Sarebbe molto utile qui poter essere filosofo perché, conoscendo le proprietà delle cose, potrei dare le spiegazioni necessarie, mentre io mi concedo il lusso d’intrattenermi su ciò che non so dire e forse neanche capire.

2. Dal momento in cui Dio, sorelle, vi conduce a bere di quest’acqua – e ve ne sono fra voi che già la bevono –, lo farete di gran gusto, e capirete come il vero amor di Dio, se è nella sua piena forza, cioè ormai spoglio interamente di aspirazioni terrene, librandosi a volo sopra di esse, sia il padrone di tutti gli elementi e del mondo; l’acqua che proviene dalla terra, non temete che possa estinguere questo fuoco: non ha potere su di esso. Anche se sono elementi contrari, esso è ora signore assoluto e non le è soggetto. Pertanto non vi meraviglierete, sorelle, se insisto tanto in questo libro a esortarvi ad acquistare tale libertà. Non è una bella cosa che una povera monaca di San Giuseppe possa giungere a signoreggiare su tutta la terra e sui suoi elementi? E quale meraviglia può destare il fatto che i santi, con l’aiuto di Dio, facessero di essi ciò che volevano? A san Martino ubbidivano il fuoco e le acque, a san Francesco perfino i pesci. Con l’aiuto di Dio e facendo ciò che era possibile, potevano chiederlo quasi di diritto. Cosa pensate quando il salmista dice che tutte le cose sono asservite e poste sotto i piedi dell’uomo, pensate che parli veramente a tutti? Non abbiate paura: io vedo loro assoggettati e messi sotto i piedi dalle cose. Ho conosciuto un cavaliere che è stato ucciso per aver litigato per un mezzo soldo. Guardate a che miserabile somma si è assoggettato! Ogni giorno potete costatare numerosi fatti del genere e conoscere la verità. Certo, il salmista non può mentire, perché le sue parole sono dettate dallo Spirito santo. A me sembra (e può darsi che io non capisca e dica uno sproposito che non ho letto) che sia stato detto per [le anime] perfette che tutte le cose sono sotto il loro dominio.

3. Se poi si tratta di acqua che piove dal cielo, questa sarà ancor meno in grado di spegnerlo, anzi lo ravviva, perché non si tratta più di elementi contrari, ma provenienti dallo stesso luogo; non temete che si danneggino, anzi l’uno concorre all’effetto dell’altro, perché l’acqua l’accende di più ed aiuta a sostenerlo, mentre il fuoco aiuta l’acqua a raffreddarsi. Oh, mio Dio, che cosa straordinaria e meravigliosa è vedere un fuoco che raffredda! E inoltre gela tutte le affezioni del mondo. Quando poi si aggiunge ad essa l’acqua viva del cielo, non c’è da temere che essa infonda un pizzico di calore per nessuna cosa di quaggiù.

4. La seconda proprietà dell’acqua è «lavare ciò che non è pulito». Se non ci fosse acqua per lavare, che sarebbe del mondo? Sapete voi quanto deterga quest’acqua viva, quest’acqua celestiale, quest’acqua chiara, quando nulla l’intorbida, nulla l’infanga, ma la si attinge dalla stessa fonte? Un’acqua che, bevuta una volta, sono certa che lascia l’anima netta e pura d’ogni colpa, perché – come ho scritto altrove – Dio non concede che si beva di quest’acqua (che non dipende dalla nostra volontà), di perfetta contemplazione, di vera unione se non per purificare l’anima e lasciarla netta, liberandola dal fango e da ogni miseria in cui, per le sue colpe, era invischiata. Invece le altre gioie che ci vengono dalla mediazione dell’intelletto, malgrado tutto, attingono a un’acqua che scorre sulla terra; non si beve direttamente alla sorgente. Pertanto, non manca mai lungo questo cammino qualcosa di fangoso che ne ostacola il corso e non è più tanto pura né tanto limpida. Non chiamo «acqua viva» questa orazione, perché – dico –, non è quella che intendo io.

5. La terza proprietà dell’acqua è che «sazia e toglie la sete», perché a me sembra che sete voglia dire desiderio di una cosa di cui si ha tanto bisogno: se ci manca ne moriamo. È strano che se ci manca moriamo, e se è di troppo, ci dà ugualmente la morte, come avviene agli annegati. Oh, mio Signore, potersi vedere così immersa in quest’acqua viva da perderci la vita! Forse ciò non è possibile? Con il desiderio sì, perché l’amore e il desiderio di Dio possono aumentare a tal punto che la nostra natura umana non riesca a sopportarlo, pertanto ci sono state persone che ne sono morte. Io so di una che, se Dio non l’avesse sollecitamente soccorsa con quest’acqua viva in tale abbondanza da farla quasi uscire da sé mediante i rapimenti, si sentiva una sete così grande e il desiderio cresceva così tanto da comprendere chiaramente che, se qualcuno non fosse intervenuto, probabilmente sarebbe morta di sete. Benedetto sia colui che c’invita a bere al suo Vangelo.

 

CAPITOLO 32 (19)


Mostra come talvolta i trasporti soprannaturali vadano moderati.

 

1. Siccome nel Signore, nostro bene, non ci può essere cosa che non sia perfetta, e soltanto lui ci dà  quest’acqua della quale abbiamo bisogno, per quanto abbondante possa essere quest’acqua di cui ci fa dono, non può mai essere eccessiva, venendo da lui. Se infatti dà molto, rende l’anima capace – come ho detto – di bere molto, allo stesso modo di un vetraio che fa il vaso della misura necessaria per contenere ciò che vuole mettervi dentro. Quando il desiderio viene da noi, non è mai esente da imperfezione. Se ha in sé qualcosa di buono, ciò si deve all’aiuto del Signore. Ma siamo così poco discreti che, essendo una pena dolce e piacevole, non crediamo mai di esserne sazi; ce ne alimentiamo a dismisura, stimoliamo con tutte le nostre forze questo desiderio e pertanto, alcune volte, ne moriamo. Morte felice! Ma, forse, vivendo, si sarebbero aiutati altri a morire del desiderio di questa morte. E credo che si tratti di un’insidia del demonio, il quale capisce il danno che gli può venire da queste anime, se restano in vita; pertanto le induce a inopportune penitenze per privarle della salute, il che non è poco per lui.

2. Avverto, quindi, l’anima che giunge ad avere questa sete così impetuosa, di stare bene in guardia, perché può esser certa che incorrerà in tale tentazione, e anche se non muore di sete, perderà la salute. In questa crescita del desiderio – quando è tanto grande – cerchi di non incrementarlo, ma di tagliare soavemente il filo della sua veemenza con qualche altra considerazione, perché a volte sarà forse la nostra natura a operare tanto quanto l’amore. Vi sono, infatti, persone che desiderano ardentemente qualunque cosa, sia pur cattiva. Sembra una stoltezza dover frenare un desiderio tanto buono, eppure non lo è, perché io non dico che bisogna annullare il desiderio, ma moderarlo con un altro che forse ci farà guadagnare altrettanto merito.

3. Voglio aggiungere ancora qualcosa per farmi capire meglio. Viene un gran desiderio di vedersi con Dio, liberi da questa prigione del corpo, come l’aveva san Paolo, e persone emotive finiranno col farlo vedere anche esteriormente, senza accorgersene (cosa che si può anche scusare).

4. Chi ha un simile anelito, cambi il desiderio. Se continua a vivere, potrà servire meglio Dio e illuminare qualche anima che sta per perdersi. È un buon motivo di conforto di fronte a un così gran tormento e serve a mitigare la sua pena e a farle guadagnare molto nella carità se, per servire il Signore, si vuole soffrire quaggiù un giorno di più. È come se, vedendo qualcuno sotto il peso di una difficile prova e di un gran dolore, lo si consolasse dicendogli di aver pazienza.

5. E se il demonio ha favorito in qualche modo tale sfrenato desiderio (come aveva fatto con qualcuno al quale aveva proposto di gettarsi in un pozzo per andare a vedere più presto Dio), è segno che non era lontano dal far crescere in lui tale desiderio. È chiaro che se il desiderio gli fosse venuto da Dio, non gli avrebbe nuociuto (è fuor di dubbio perché esso comporta luce, discrezione ed equilibrio). L’avversario, invece, cerca di nuocerci con tutti i mezzi, dovunque può. E siccome egli non disarma mai, non dobbiamo disarmare neanche noi. È questo un punto molto importante per molte cose, e talvolta è tanto necessario da non dimenticarlo.

6. Perché credete, figlie mie, che io abbia voluto parlarvi del fine a cui siamo chiamate e mostrarvi il premio che ci attende prima della battaglia – come si dice –, parlandovi del bene che consegue dal giungere a bere alla fonte celeste di quest’acqua viva? È stato perché non vi affliggiate per le difficoltà e le contrarietà che presenta il cammino, ma procediate in esso con coraggio e non vi stanchiate. Difatti, come ho detto, può darsi che, quando non vi manca che abbassarvi per bere, abbandoniate tutto e perdiate questo bene, disperando di avere la forza di raggiungere e di essere degne di tale dono.

7. Pensate che il Signore invita tutti. Poiché egli è la stessa Verità, non c’è da aver dubbi. Se il suo invito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non direbbe: Io vi darò da bere. Avrebbe potuto dire: «Venite tutti, perché, infine, non perderete nulla, e io darò da bere a chi vorrò». Ma, avendo detto, senza questa restrizione, «tutti», ritengo certo che a tutti coloro i quali non si fermeranno nel cammino, non mancherà quest’acqua viva.

 

CAPITOLO 33 (20)


Dice come, sia pur attraverso vie differenti, non manchi mai il conforto nel cammino dell’orazione.

 

1. Sembra che io mi contraddica perché, volendo offrire una consolazione alle anime che non arrivano a questo grado, affermavo che il Signore, nostro Bene, ha diverse strade e guida a sé per diverse strade, come in cielo vi sono molte dimore. Lo riaffermo ora perché Sua Maestà, vedendo la nostra debolezza, vi provvide da par suo. Però non disse: «Gli uni vengano per questa strada e gli altri per quella»; anzi, la sua misericordia è stata così grande che non ha impedito ad alcuno di cercare di venire a bere a questa fonte di vita.

2. Sia Egli benedetto! Con quanta ragione avrebbe potuto impedirlo a me! Poiché non mi ordinò di lasciare questo cammino, quando l’ebbi intrapreso, e fece sì che fossi tuffata nel profondo della sorgente, non c’è dubbio che non lo impedirà a nessuno, anzi, pubblicamente ci chiama a gran voce. Ma, essendo infinitamente buono, non ci costringe a farlo e offre da bere in molti modi a coloro che vogliono seguirlo, affinché nessuno sia privo di conforto né muoia di sete. Da questa fonte abbondante infatti derivano ruscelli, alcuni grandi, altri piccoli, e talvolta piccole pozze per i bambini. A costoro basta poca acqua, a quelli che si trovano al principio della via della virtù. Pertanto, sorelle mie, non abbiate paura di morire di sete in questo cammino: non manca mai l’acqua delle consolazioni a tal punto che la sete sia intollerabile. Poiché è così, seguite il mio consiglio e non fermatevi lungo la strada, ma lottate da anime forti fino a morire nella ricerca di questo bene, non essendo voi qui se non per combattere la vostra battaglia. Procedendo sempre con la ferma determinazione di morire piuttosto che lasciar di raggiungere questa fonte per colpa vostra, se il Signore vi farà soffrire un po’ di sete in questa vita, vi darà abbondantemente da bere in quella eterna, ove non dovrete più temere che per vostra colpa debba venire a mancarvi. Piaccia al Signore che non venga a mancarci la sua misericordia! Amen.

 

CAPITOLO 34 (20)


Cerca di convincere le sorelle a spronare all’orazione le persone che vanno da loro.

 

1. Ora, per iniziare questo cammino di cui ho parlato in modo che non si erri fin dal primo momento, parliamo un po’ di come si deve iniziare il nostro viaggio, che è la cosa essenziale, vale a dire la più importante a tutti i fini. Non che non si debba intraprenderlo se non si ha la determinazione di cui parlerò, perché il Signore ci aiuterà gradatamente a perfezionarci, e quand’anche non si facesse che un solo passo, esso ha in sé tanta virtù, che non si deve temere sia un passo perduto né che non ci sarà molto ben ricompensato. Ha annesso grandi indulgenze, più o meno, che sono – diciamo – come chi ha un rosario di indulgenze: se lo recita una volta, guadagna una volta le indulgenze; se, invece, più volte, ne guadagna altrettante di più, ma se non lo recita mai, tenendolo chiuso in uno scrigno, sarebbe meglio che non l’avesse. Pertanto, anche se non si prosegue in questo cammino, dopo averlo cominciato, il poco tratto che di esso si sarà percorso ci darà luce per avanzare bene in altre vie, e tanto maggiore quanto più ci si sarà inoltrati in esso. In conclusione, si può essere certi che non si avrà alcun danno, sotto nessun punto di vista, dall’averlo cominciato, anche se poi si sarà lasciato, perché il bene non è mai causa di male. Pertanto, sorelle, procurate di liberare tutte le persone che tratteranno con voi, se le vedete ben disposte e l’amicizia ve lo consente, dalla paura d’iniziare una ricerca così vantaggiosa. Vi prego, per l’amor di Dio, che la vostra conversazione sia sempre rivolta al maggior bene di coloro con cui parlate, perché la vostra orazione deve servire al profitto delle anime. E poiché dovete chiedere sempre questo al Signore, sarebbe male, sorelle, non cercare di adoperarsi in tutti i modi a conseguirlo.

2. Se volete comportarvi da buone parenti, questa dev’essere la vostra vera manifestazione d’affetto; se da buone amiche, sappiate che non potete esserlo se non in questo modo. Regni nei vostri cuori la verità, come dev’essere a causa della meditazione, e vedrete chiaramente quale sia l’amore che dobbiamo avere verso il prossimo.

Non è più il tempo, sorelle, d’intrattenerci in giochi da bambini, giacché altro non mi sembrano queste amicizie del mondo, anche se son buone; né abbiano mai luogo tra voi espressioni di tal genere: «se mi volete bene», o «non mi volete bene», né con fratelli né con altri, a meno che siano dette in vista di un fine superiore e per il profitto di qualche anima. Può darsi infatti che per attirare l’attenzione e far accettare una verità da un parente, un fratello o altri, dobbiate prima disporveli con tali espressioni e manifestazioni d’affetto, che riescono sempre gradite alla nostra umana sensibilità. Forse stimeranno di più una di queste buone parole – come esse si chiamano – che non molte parole di Dio, e si disporranno meglio, col loro aiuto, ad accogliere, in seguito, quelle divine. Così non ve le impedisco, purché intese a giovare alle anime, ma se non è a tal fine, non potranno procurarvi alcun vantaggio, e potranno recarvi, invece, molto danno, senza che ve ne accorgiate. Si sa che voi siete religiose e che la vostra vita è fatta di orazione. Guardatevi, quindi, dal dire: non voglio che mi reputino virtuosa; il bene o il male che si vede in voi ricade su tutte. Ed è proprio un gran male che persone le quali hanno un obbligo così rigoroso di non parlare se non di Dio, credano sia meglio, in questo caso, far ricorso alle dissimulazioni, a meno che, qualche volta, non sia in vista di un bene maggiore. Questo dev’essere il vostro tratto e il vostro linguaggio; chi vorrà trattare con voi lo impari, altrimenti guardatevi da imparare voi il suo: sarebbe l’inferno.

3. Se vi dovessero considerare come persone grossolane, poco importa; se come ipocrite, ancor meno. Ne guadagnerete che non venga a farvi visita se non chi capirà il vostro linguaggio, perché è fuori d’ogni logica che chi non conosce l’arabo abbia piacere di intrattenersi a lungo con chi non conosce altra lingua. Così nessuno verrebbe più a stancarvi né a nuocervi, perché non sarebbe poco danno cominciare a parlare e apprendere una nuova lingua, spendendo in questo tutto il vostro tempo. E non potete sapere, come me che ne ho fatto esperienza, il gran male che ciò arreca all’anima, perché nel cercare di apprendere una nuova lingua, si dimentica l’altra. S’incorre in una continua inquietudine, dalla quale dovete rifuggire a ogni costo, essendo soprattutto necessario, per entrare in questo cammino di cui ho cominciato a parlare, aver pace e tranquillità nell’anima.

4. Se le persone che tratteranno con voi volessero imparare la vostra lingua, siccome non è vostro compito insegnare, potete dir loro le ricchezze che si guadagnano con il cercare di apprenderla. Questo no stancatevi di ripeterglielo, ma insistete anche con la pietà, con l’amore e con la preghiera perché ne traggano profitto e, avendo compreso quali grandi beni possano ricavarne, vadano a cercarsi un maestro che le istruisca. Non sarebbe piccola grazia che vi farebbe il Signore concedendovi di incitare un’anima al desiderio di questo bene. Ma quante cose si presentano alla mente nel cominciare a trattare di questo cammino. Oh, se avessi molte mani per scrivere per non dimenticare alcune cose mentre sto annotando le altre!

 

CAPITOLO 35 (21)


Dice quanto sia importante cominciare a praticare l’orazione con grande risolutezza e non badare agli ostacoli che il demonio frappone.

 

1. Non vi spaventate, figlie mie, è la strada maestra per il cielo. Percorrendola, si guadagna un gran tesoro e non fa meraviglia che ci sembri costare ben caro. Verrà un tempo in cui si capirà quanto sia un nulla qualunque fatica di fronte a un tanto prezioso premio.

2. Ora, ritornando a parlare di coloro che vogliono giungere a bere di quest’acqua di vita e vogliono arrivare alla stessa fonte, cioè come debbano cominciare, cosa – ripeto – di grande importanza, anzitutto devono partire bene . (Ho letto in qualche libro che si fa bene a ribadire questo principio, cosa che ho letto anche in altri, perciò mi sembra di non perdere nulla nel ripeterlo qui): occorre prendere una risoluzione ferma e decisa di non arrestarsi prima di raggiungere quella fonte, avvenga quel che avvenga, succeda quel che succeda, si fatichi quanto bisogna faticare, mormori chi vuol mormorare; bisogna tendere sempre alla meta, a costo di morire durante il cammino se il cuore non regge agli ostacoli che vi s’incontrano; sprofondi pure il mondo, visto che accade spesso di sentirsi dire: «ci sono pericoli», «la tale per questa strada si è perduta», «un’altra persona si è ingannata», «un’altra, che pregava, è caduta», «fate torto alla virtù», «ciò non è cosa per donne, che possono essere soggette alle illusioni», «sarà meglio che se ne stiano a filare», «non hanno bisogno di tali finezze», «bastano il Pater noster e l’Ave Maria».

3. Questo lo dico anch’io, sorelle, e come se basta! È sempre un gran bene prendere come base della nostra orazione le preghiere pronunziate da una tal bocca [qual è quella del Signore]. In questo hanno ragione, perché se la nostra debolezza non fosse così grande e la nostra devozione così tiepida, non ci sarebbe bisogno di altri procedimenti, né di alcun libro di preghiere; né di altre preghiere.

4. Per questo mi è sembrato opportuno (poiché, come ho detto, parlo ad anime che non possono raccogliersi nella meditazione di misteri, per i quali sembra loro necessario far ricorso a mezzi speciali, e ci sono alcuni spiriti così esigenti che niente li contenta) di stabilire alcune regole sul principio, il progresso e i fini dell’orazione, anche se non indugerò in considerazioni elevate. Come ho detto, di ciò ho già scritto. E non vi potranno togliere libri senza che vi resti il Libro migliore: se lo studiate con umiltà, non avrete bisogno d’altro. Ho sempre amato molto le parole del Vangelo che mi hanno procurato più raccoglimento di libri ben scritti, perché le sue parole uscirono dalla santissima bocca [di Gesù]. Soprattutto quando i libri non erano di un autore riconosciuto di valore, non ho mai avuto voglia di leggerli. Ora, avvicinandomi a questo Maestro della sapienza, ne avrò forse suggerimenti per qualche considerazione che vi soddisfi. Non dico che vi esporrò una spiegazione di queste orazioni divine (non oserei farlo, a parte il fatto che ne sono state scritte molte, e quand’anche così non fosse, sarebbe una stoltezza che lo facessi io), ma solo qualche considerazione sulle parole contenute in esse, perché talvolta sembra che con tanti libri si perda la devozione proprio di quelle cose di cui è assai importante averla. È evidente che quando un maestro insegna una cosa prende anche amore al suo discepolo, gode che il suo insegnamento lo soddisfi e l’aiuta molto nell’apprendimento di esso: lo stesso farà questo Maestro divino con noi.

 

CAPITOLO 36 (21)


Prosegue sullo stesso argomento. Parla dell’inganno di alcune dicerie, invitando a non dare ascolto a tutti.

 

1. Tornando a quanto dicevo, non fate, pertanto, alcun caso dei timori che cercheranno d’ispirarvi, né dei pericoli che vi prospetteranno. Sarebbe ben strano voler andare senza pericoli a impadronirsi di un gran tesoro per una strada che è piena di ladri. Forse che il mondo è divenuto migliore, oggi, per lasciarvelo prendere in pace?! Per il guadagno di un maravedi c’è gente capace di non dormire notti e notti e di tormentarvi nel corpo e nell’anima. Se, dunque, quando voi andate alla conquista di questo tesoro o a rapirlo – poiché, come dice il Signore, sono i violenti ad appropriarsene – per una strada maestra, per una strada sicura, per quella stessa strada percorsa da Cristo, nostro Re, da tutti i suoi eletti e i suoi santi, vi dicono che ci sono tanti pericoli e vi suscitano tanti timori, a quali pericoli non si esporranno coloro che credono di poter riuscire a guadagnare questo tesoro senza seguire una strada? Oh, figlie mie, quanti di più senza confronto ne incontreranno, ma non se ne rendono conto fino a quando non cadono nel vero pericolo, e non c’è alcuno che dia loro una mano; perdono, così, del tutto l’acqua, di cui non possono bere poco né molto, né di pozzo né di ruscello.

2. Vedete ora, dunque, come potranno, senza una goccia di quest’acqua, percorrere un cammino dove ci sono tanti nemici da combattere? È evidente che moriranno di sete nel momento che doveva essere per loro il migliore. E, che lo si voglia o no, tutti, figlie mie, camminiamo verso questa fonte, sebbene in diverse maniere. Credetemi, pertanto, e non lasciatevi ingannare da nessuno che voglia indicarvi altro cammino che non sia quello dell’orazione.

3. Io non entro ora in merito al fatto che debba essere mentale o vocale per tutti, ma dico che voi avete bisogno dell’una e dell’altra. Questo è il dovere dei religiosi. Se qualcuno vi dicesse che ciò rappresenta un pericolo, ritenete lui stesso un pericolo e fuggitelo: non dimenticatevi mai di questo consiglio, che forse vi sarà necessario. Un pericolo sarà non avere umiltà né altre virtù, ma che il cammino dell’orazione sia cammino di pericoli, Dio non lo vorrà mai. Sembra che il demonio abbia inventato questo spauracchio, e con tale artifizio è riuscito a far cadere alcuni che erano incamminati per la via dell’orazione.

4. Guardate un po’ quanto è cieco il mondo a non far caso delle molte migliaia di anime – come si dice – che sono cadute nell’eresia e in altri gravi mali, per non aver praticato l’orazione e senza saper nemmeno cosa fosse (e questo è molto da temere). Se, poi, nel gran numero di esse, il demonio, per meglio svolgere la sua trama, ha incluso alcune – poche – che praticavano l’orazione, ciò gli è servito per incutere gran paura ad altre e allontanarle dalla virtù. Chi si appiglia a questa difesa di fuggire dall’orazione per evitarne i pericoli, stia bene in guardia, perché fugge il bene per salvarsi dal male. Non ho mai visto un’invenzione così: è chiaro che è opera del demonio. Oh, mio Signore, prendete le difese della vostra causa! Vedete come s’intendono al rovescio le vostre parole. Non permettete che le vostre serve cadano in simili debolezze. Figliole, fatevi coraggio. Il Pater noster e l’Ave Maria non ve li toglieranno di certo.

5. Voi avrete sempre qualche persona che vi aiuterà, perché il vero servo di Dio, al quale Sua Maestà ha dato la luce per scorgere il vero cammino, ha questo vantaggio: che fra tali terrori gli cresce il desiderio di non fermarsi. Vede chiaramente dove il demonio si prepara a colpirlo e non solo si sottrae all’urto, ma gli rompe la testa. Il maligno si affligge di questa sconfitta più di quanto possa godere di tutti i piaceri che gli arrecano le sue vittime. In tempi di disordini e di zizzanie da lui suscitate – in cui sembra che si trascini dietro tutta la cristianità, quasi accecata dalle apparenze di santo zelo –, Dio fa intervenire qualcuno che apra loro gli occhi, esortandoli a rendersi conto che il demonio, per impedire che vedessero il cammino, glielo ha avvolto di nebbia. (Grandezza di Dio! Uno o dieci che dicano la verità hanno, a volte, più potere di molti riuniti insieme!). A poco a poco tornano a far scoprire il cammino, perché Dio infonde loro coraggio. Se si dice che non vi deve essere orazione, essi si adoperano a far capire quanto sia utile, se non con le parole, almeno con le opere. Se si dice che non è conveniente fare molto spesso la comunione, allora essi la fanno con maggior frequenza. Basta che appena ci sia una persona senza alcun timore, vi si aggiunge un altro;  il Signore torna gradatamente a riconquistare ciò che aveva perduto.

6. Lasciate, dunque, sorelle mie, tutte queste paure; non fate alcun caso, in questioni del genere, dell’opinione della gente. Badate che non sono, questi, tempi di credere a chiunque, ma solo a coloro di cui vedrete la vita conforme a quella di Cristo. Cercate di avere coscienza pura, umiltà, disprezzo di tutte le cose del mondo, di credere fermamente a ciò che insegna la santa madre Chiesa, e non c’è dubbio che andrete per la strada buona. Lasciate perdere i timori dove non c’è di che temere. Se qualcuno tenta di suscitarveli, esponetegli con umiltà il cammino che seguite. Ditegli che la vostra Regola v’impone di pregare incessantemente – com’è vero – e che dovete osservarla. Qualora vi replicasse che ciò va riferito alla preghiera vocale, chiedetegli un po’ se la mente e il cuore non devono accompagnare le parole. Se vi risponderà di sì – perché non potrà certo dire altrimenti – vedrete la sua implicita confessione che dovete necessariamente fare l’orazione mentale e anche giungere alla contemplazione, se Dio ve la concede.

 

CAPITOLO 37 (22)


Spiega che cosa sia l’orazione mentale.

 

1. La differenza fra l’orazione mentale e vocale non consiste nel tener la bocca chiusa o no. Se, pregando vocalmente, sono del tutto consapevole e persuasa di parlare con Dio, più attenta a lui che alle parole che dico, l’orazione mentale e vocale sono unite. Se poi mi si viene a dire che state parlando con Dio quando, recitando l’Ave Maria, avete il pensiero alle cose del mondo, non posso che tacere. Ma se [starete attente a lui], com’è giusto fare parlando con un tale Signore, è bene che consideriate chi è colui con il quale parlate e chi siete voi, non foss’altro che per rispettare la convenienza dovuta. Come potete infatti chiamare il principe Altezza, e osservare il cerimoniale di prammatica per parlare a un grande, se non vi rendete conto della sua condizione e della vostra? Il rispetto da testimoniargli formalmente deve conformarsi alla sua dignità e alle regole d’uso, che dovrete pur conoscere, altrimenti sarete mandate via come persone grossolane, e non tratterete alcun affare. Una volta mi è capitato questo: non ero abituata a parlare con grandi signori, ma per necessità dovevo trattare con uno al quale si dava il titolo di «Vostra Signoria» e così mi avevano insegnato a fare. Io, però, siccome sono un po’ limitata e non ne avevo l’abitudine, nell’arrivare lì non riuscivo bene. Perciò decisi di manifestargli il mio imbarazzo, ridendoci su, affinché egli non si offendesse quando gli davo solo il titolo di «Vostra Grazia». E così feci. Ma è possibile, mio Signore? È possibile, mio sovrano? Come si può sopportarlo, Principe di tutto il creato? Voi siete, Dio mio, il Re eterno, perché il regno che avete è vostro e non vi è stato dato in prestito. Esso dura per sempre. Siate benedetto! Quando nel Credo si dice che il vostro regno non avrà fine, è raro che io non ne provi una gioia particolare. Vi lodo, Signore, e vi benedico e tutte le cose vi lodino  per sempre: infine, il vostro regno durerà eternamente. Non permettete dunque mai, Signore, che chi parla con voi ritenga sufficiente farlo soltanto con la bocca.

2. Com’è possibile, o cristiani? Sapete ciò che dite? Vorrei alzare la voce, pur essendo quella che sono e discutere con coloro che dicono che non c’è bisogno di orazione mentale. Io son certa che voi non capite e neppure sapete che cosa sia l’orazione mentale né come bisogna fare quella vocale né che cosa s’intenda per contemplazione, perché se lo sapeste non condannereste da un lato quel che lodate dall’altro.

3. Io vi dirò sempre, figlie, ogni volta che me ne ricorderò, di unire l’orazione mentale a quella vocale, e vi raccomando di non intimorirvi a questo riguardo; io so come vanno a finire certi timori, e quindi non vorrei che alcuno vi procurasse qualche turbamento, essendo di gran danno procedere per questo cammino con paura. È molto importante rendersi conto che si è sulla buona strada. Infatti, se si dice a un viandante che ha sbagliato, che ha smarrito la strada, lo si costringe ad andare da una parte all’altra stancandosi nella ricerca del cammino che deve percorrere: perde tempo e arriva più tardi. Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovrete trattare con lui? Ora io vi dico, sorelle, che, se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale, cioè le Ore e il rosario, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Certamente, non dobbiamo parlare alla buona ad un principe, come si fa con un contadinello o come con una poveretta come noi, alla quale non importa se le diamo del tu o del voi.

4. È vero che l’umiltà del nostro Re è tale che, per quanto io, grossolana come sono, non sappia parlargli se non con rozzo linguaggio, non tralascia di aiutarmi né mi vieta di avvicinarmi a lui. Neppure le sue guardie mi respingono, perché gli angeli del cielo conoscono bene la natura del loro Re, il quale si compiace maggiormente della rozzezza di un umile pastorello, vedendo che se più sapesse più direbbe, che di quanti bei ragionamenti gli facciano i teologi con le loro delucidazioni, se in loro manca l’umiltà. Non perché egli è buono noi dobbiamo essere irriverenti. Non foss’altro per ringraziarlo di sopportare il cattivo odore che sente per la nostra vicinanza, è bene che si cerchi di conoscerlo. È vero che lo si capisce subito quando ci si avvicina a lui, come per i grandi della terra basta che ci dicano chi furono i loro antenati, i milioni di rendita, il titolo di nobiltà e non c’è da sapere altro perché nel mondo, per onorare qualcuno, non si tiene conto dei meriti personali, per grandi che essi siano, ma delle ricchezze.

5. Oh, mondo miserabile! Figlie mie, rendete gran lode a Dio per avervi concesso di lasciare cosa tanto vile, dove non si fa stima delle persone per i loro pregi intrinseci, ma per quello che possiedono i loro affittuari e i loro vassalli. È questo davvero un buon motivo di divertimento per voi quando vi prendete insieme un po’ di ricreazione, perché costituisce un gradevole svago rendersi conto dell’accecamento in cui passano il loro tempo quelli che vivono nel mondo.

6. Oh, Re della gloria, Signore dei signori, Imperatore di tutti gli imperatori, Santo dei santi, Potere sopra tutti i poteri, Sapienza sovrana di tutti i sapienti, la stessa Sapienza! Signore, voi siete la Verità stessa, la stessa ricchezza: non cesserete mai di regnare, per sempre.

 

CAPITOLO 38 (22)


Continua a parlare dell’orazione mentale.

 

1. Sì, avvicinandovi a lui cercate di pensare chi sia colui con il quale vi disponete a parlare o al quale già state parlando. Neppure con mille vite delle nostre arriverete a comprendere come meriti di essere trattato questo Signore, di fronte al quale gli angeli tremano. Egli impera su tutto: volere, per lui, è agire. Sarà dunque giusto, figlie mie, che ci adoperiamo a raggiungere alcune di tali grandezze del nostro Sposo e che comprendiamo con chi siamo sposate e quale vita dev’essere la nostra. Oh, mio Dio! Quaggiù, quando ci si sposa, anzitutto si conosce la persona, con le sue qualità e le sue sostanze; e noi, già promesse in matrimonio, come lo sono tutte le anime in virtù del battesimo, non potremo pensare al nostro Sposo prima del giorno delle nozze, in cui ci farà entrare nella sua casa? Visto che qui non proibiscono di farlo a quelle che sono promesse agli uomini, perché devono impedire a noi di cercare di sapere chi sia il «nostro» Uomo, chi sia suo Padre, quanto possiede, quale il paese dove mi condurrà dopo sposata, quale sia la sua condizione, come potrò meglio contentarlo, in che cosa compiacerlo e studiare il modo di conformare il mio temperamento al suo? Perché, infatti, una donna sia una buona sposa, non le danno altro consiglio che questo, anche se il marito è un uomo di condizioni molto umili. Mio Sposo, dunque, si dovrà proprio in tutto far meno apprezzamento di voi che degli uomini? Se ad essi ciò non sembra giusto, lascino in pace le vostre spose, che devono trascorrere la vita con voi. E che vita felice! Se uno sposo è tanto geloso da non volere che la sua sposa esca di casa o tratti con alcuno, non sarà certo una bella cosa non cercare di compiacerlo e non capire come sia giusto adeguarsi a tale desiderio, e non voler trattare con altri, poiché in lui si ha tutto ciò che si può desiderare!

2. Comprendere queste verità, figlie mie, è fare orazione mentale. Se a tali considerazioni volete aggiungere qualche preghiera vocale, va benissimo. Ma non vogliate, vi scongiuro, parlare con Dio e pensare ad altre cose, perché questo significherebbe non capire che cosa sia l’orazione mentale. Credo di avervelo spiegato abbastanza. Nessuno v’intimidisca con tali paure. Sia lodato Dio che è potente sopra tutti e nessuno potrà vietarvi di farlo. Peraltro, se qualcuna di voi non riesce a recitare vocalmente con la suddetta attenzione, sappia che non fa ciò cui è obbligata. Se vuole pregare con perfezione, deve tendervi con tutte le sue forze, sotto pena di non adempiere il suo dovere di sposa di un così grande Re. Supplicatelo, figlie, che egli mi dia la grazia di fare anch’io ciò che vi consiglio, perché ancora non vi sono arrivata. Sua Maestà, per quello che è, vi provveda.

 

CAPITOLO 39 (23)


Tratta di quanto sia necessario, per chi ha cominciato il cammino dell’orazione, non tornare indietro, e insiste sull’importanza di procedere in esso con salda determinazione.

 

1. Quante digressioni sto facendo! Dico che è molto importante cominciare con grande determinazione, per tante ragioni che, a dirle tutte, ci sarebbe da dilungarsi molto, e in altri libri in parte sono già state esposte. Ve ne voglio dire solo due o tre. La prima è che, quando ci determiniamo a dedicare un po’ del nostro tempo e dare qualcosa (non certo senza interesse, ma con enorme guadagno) a chi tanto ci ha dato e ci dà di continuo, non è giusto non dargliela con assoluta generosità, ma solo come chi fa un prestito per riprendersi quello che ha dato. Questo a me non sembra un dono. Inoltre, colui al quale si è prestato qualcosa resta sempre un po’ dispiaciuto quando essa gli viene ripresa, specialmente se sono amici e se quello che gliel’ha prestata gli deve molte cose dategli senza alcun interesse. A ragione ciò gli sembrerà una grettezza e un segno di ben scarsa benevolenza, se non vuol lasciargli in dono nemmeno una piccola cosa sua, non foss’altro come testimonianza di affetto amichevole.

2. Qual’è la sposa che, avendo ricevuto dal suo sposo molti gioielli di valore, non gli dia almeno un anello, non per quel che vale, perché ormai tutto ciò che possiede gli appartiene, ma come segno d’amore, come pegno ch’ella sarà sua fino alla morte? E merita forse meno questo nostro Signore perché ci prendiamo gioco di lui, prima dandogli e poi riprendendoci subito quel niente che gli abbiamo dato? Almeno questo po’ di tempo che ci risolviamo a dedicargli – di tutto quello che sciupiamo per noi stesse o per chi non ce ne sarà grato – visto che vogliamo darglielo, diamoglielo libere da ogni altro pensiero, staccate da preoccupazioni terrene, e con ferma determinazione di non riprenderglielo mai più, nonostante le difficoltà, i contrasti o le aridità. Consideriamo quel tempo come cosa non più nostra e pensiamo che ci può essere richiesto a buon diritto, se non vogliamo consacrarglielo interamente.

3. Dico interamente non nel senso che sia un riprendersi quanto abbiamo dato se tralasciamo l’orazione un giorno o anche più, a causa di legittime occupazioni. Sia ben salda la volontà, perché il nostro Dio non è meticoloso e non bada a piccolezze. Pertanto, avrà di che esservi grato: qualcosa gli avete dato. L’altro modo di agire va bene per chi non è generoso, anzi così avaro che non ha il coraggio di donare; è già molto che presti. Comunque, faccia qualcosa, perché questo Imperatore tiene conto di tutto e in tutto si adegua a ciò che desideriamo. Nel tener conto di quel che facciamo, non è affatto esigente, ma generoso: per quanto grande sia il nostro debito, egli non esita a condonarlo. È così attento a ricompensarci, che non abbiate a temere che un semplice levar d’occhi nel ricordo di lui resti senza premio.

4. Il secondo motivo è dato dal fatto che il demonio non ha mano libera di tentarci; teme molto le anime ben determinate, perché sa per esperienza che lo pregiudicano moltissimo e che quanto egli ordisce a loro danno, si converte a profitto di esse e d’altri, e ch’egli ne esce con perdita. Ma non dobbiamo mai cessare di stare in guardia né fidarci troppo di questo, perché siamo in lotta con una genia di traditori che non osano, in generale, attaccare chi è vigilante, essendo assai vili; ma se si accorgono della nostra distrazione, possono recarci un gran danno. E se vedono che qualcuno è incostante e non persevera nel bene, né ha la ferma decisione di farlo, non lo lasceranno in pace né giorno né notte; gli frapporranno paure e ostacoli a non finire. Io lo so molto bene per esperienza; per questo ve ne posso parlare e vi dico che non c’è nessuno che sappia quanto ciò sia importante.

5. Il terzo motivo – di gran peso per l’argomento che trattiamo – è che allora si combatte con coraggio. Si sa ormai che qualunque cosa avvenga non si deve tornare indietro. È come chi, impegnato in una battaglia, se sa che, una volta vinto, non gli sarà risparmiata la vita e che, se non muore nella mischia, dovrà morire subito dopo, è sicuro, a mio avviso, che combatterà con maggiore accanimento né temerà troppo i colpi avversi, avendo presente l’importanza che ha per lui la vittoria. È, altresì, necessario cominciare con la sicurezza che, se non vogliamo lasciarci vincere, riusciremo vittoriosi; su questo non c’è il minimo dubbio: per quanto piccolo sia il guadagno che ne potremo ricavare, ci ritroveremo molto ricchi. Non temete che il Signore, dopo averci chiamato a bere a questa fonte, vi lasci morire di sete. Ve l’ho già detto e vorrei ripetervelo mille volte, perché il non conoscere bene la bontà del Signore per esperienza personale, anche se la si conosce per fede, rende le anime molto pavide. È davvero un gran vantaggio aver fatto esperienza dell’amicizia e della dolcezza con cui tratta coloro che vanno per questo cammino.

6. Non mi meraviglio che coloro i quali non l’hanno provato esigano la sicurezza di un qualche interesse. Ma voi già sapete che quest’interesse è del cento per uno fin da questa vita e che il Signore dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a Sua Maestà, che ce lo assicura in vari passi del Vangelo, serve a poco, sorelle, che io mi rompa la testa a ripetervelo. Dico tuttavia a chi avesse qualche dubbio che non si perde nulla a farne la prova, perché ha questo di buono un tale viaggio: frutta più di quel che si chiede o che riusciremmo a desiderare. Non c’è dubbio, e io so che è così; e se trovaste che non è la verità, non credete più a quanto vi dico. Voi, sorelle, lo sapete per esperienza, ed io posso presentarmi a voi come testimone, per la bontà di Dio. Per quelle che verranno dopo di voi, è bene averlo detto.

7. Ho già detto che mi occupo di anime che non possono raccogliersi né costringere l’intelletto a un’orazione mentale, né fare alcuna meditazione. Non voglio qui neanche pronunciare il nome di queste due cose, non essendo alla loro portata. Vi sono, in realtà, molte persone alle quali solo il nome sembra sia causa di spavento.

8. Siccome può darsi che qualcuna di tali anime venga in questa casa (e, come ho detto, non tutte possono andare per lo stesso cammino), ciò che voglio consigliarvi (e anche potrei dire insegnarvi, perché come vostra madre mi è lecito farlo) è il modo in cui dovete pregare vocalmente, in quanto è giusto che comprendiate quello che dite. E siccome chi è incapace di pensare a Dio può darsi che si stanchi anche di lunghe preghiere, non voglio affatto parlarvi di esse, ma solo di quelle che, come ogni cristiano, dobbiamo necessariamente recitare, cioè il Pater noster e l’Ave Maria.

 

CAPITOLO 40 (24)


Tratta dell’orazione vocale e dice come si abbini a quella mentale.

 

1. È evidente, come ho detto, che dobbiamo sapere quello che diciamo. Non devono poter dire di noi che parliamo senza essere coscienti delle nostre parole, salvo che basti, a nostro avviso, seguire l’abitudine, contentandoci solo di pronunciare le parole. Se basti o no, non è affar mio; lo diranno i dotti e lo diranno alle persone che, per aver ricevuto luce da Dio, andranno a chiederglielo. Per coloro che non appartengono al nostro stato, non mi pronuncio. Ciò che io vorrei che noi facessimo, figlie mie, è non contentarci solo di questo. Quando, infatti, dico «credo», mi sembra giusto e doveroso che sappia ciò che credo; e quando dico «Padre nostro», l’amore esige che io comprenda chi sia questo Padre. E inoltre che cerchiamo di vedere chi sia il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera.

2. Se volessimo obiettare che basta sapere, una volta per sempre, chi è il Maestro, e che non c’è motivo di ricordarvelo, potreste altrettanto affermare che basta dire l’orazione una volta nella vita. Vi è molta differenza fra maestro e maestro. E se anche per quelli che ci danno insegnamenti quaggiù è molto grave non ricordarcene, a maggior ragione si deve dire dei maestri dell’anima ai quali, se siamo dei buoni discepoli, è impossibile non portar loro amore, onorarli e ricordarli spesso. Come allora dimenticarsi di un tale Maestro qual è colui che ci ha insegnato questa preghiera e con tanto amore e desiderio di giovarci? Dio non voglia che non ci ricordiamo di lui recitandola; anche se non [ci ricordiamo] sempre, a causa della nostra debolezza, almeno spesso.

3. Anzitutto voi sapete che questo celeste Maestro c’insegna a pregare in solitudine, come egli sempre faceva quando pregava e non perché ne avesse bisogno, ma per impartire un insegnamento a noi.

4. Già si è detto che non si può parlare nello stesso tempo con Dio e con il mondo, mentre altro non fanno quelli che recitano preghiere e al tempo stesso ascoltano quanto si dice intorno, o si soffermano a pensare a ciò che viene loro in mente, senza preoccuparsi d’altro. Si sa che non è cosa buona fare così. Ciò che noi possiamo fare è cercare la solitudine. Piaccia a Dio che ciò basti – ripeto – per comprendere con chi stiamo e quali siano le risposte del Signore alle nostre domande. Credete forse che egli taccia? Anche se non lo udiamo, parla chiaramente al cuore, quando è il cuore a pregarlo. È bene, una volta ammesso che dobbiamo essere in solitudine, considerare che a ciascuna di noi il Signore ha insegnato e continua ad insegnare quest’orazione, e il Maestro non è mai così lontano dal discepolo d’aver bisogno d’alzare la voce, anzi gli è molto vicino. Io vorrei che voi foste convinte di questa verità, che per ben recitare il Pater noster dovete restare presso il Maestro che ve l’ha insegnato.

5. Direte che già questo è meditare e che voi non potete né volete fare altro che pregare vocalmente. E avete una qualche ragione. Ma io vi dichiaro, in verità, che non so come si possa separare l’orazione mentale dalla vocale, se si vuol fare bene quella vocale, sapendo chi sia colui al quale parliamo. Ed è anche un dovere cercare di pregare con attenzione. Piaccia a Dio che con questi mezzi si riesca a recitare bene il Pater noster e che non si finisca, nel dirlo, col pensare a cose del tutto fuori luogo. Io l’ho provato varie volte: e il miglior rimedio che trovo di fronte alla distrazione è tener fisso il pensiero su colui al quale rivolgo le parole. Pertanto, abbiate pazienza, come è necessario per essere monache e anche, come mi sembra, per pregare da buoni cristiani.

 

CAPITOLO 41 (25)


Dice quanto bene riceva un’anima che fa con perfezione la preghiera vocale, e come avvenga talvolta che Dio la elevi da questa preghiera a favori soprannaturali.

 

1. Mentre state recitando il Pater noster, se lo recitate bene, può darsi benissimo che il Signore vi elevi a contemplazione perfetta. Sua Maestà fa vedere così che ascolta chi gli parla e gli risponde sospendendogli l’intelletto, arrestandogli l’immaginazione, fermandogli – come si dice – le parole in bocca in modo che, anche se vuole, non può parlare se non a prezzo di grandi sforzi.

2. L’anima capisce che questo divino Maestro opera nella sua anima senza rumore di parole, nella sospensione delle potenze che non operano più. Questa è la contemplazione perfetta.

3. Da ciò capirete la differenza che c’è fra la contemplazione e l’orazione mentale, come avevo detto. La seconda consiste nel pensare e intendere di che cosa parliamo, con chi parliamo e chi siamo noi che osiamo rivolgere la parola a un così gran Signore. Considerare tutto questo e altre cose del genere, come, ad esempio, il poco che abbiamo fatto per lui e il molto che siamo obbligate a servirlo, è orazione mentale. Non pensate ad astruserie di altro genere, né vi spaventi il suo nome. Recitare il Pater noster o ciò che vorrete, è orazione vocale. Ma considerate un po’ che musica stonata sarà senza quella mentale: perfino le parole avranno spesso un suono discordante. In queste due specie di orazione noi possiamo far qualcosa, con l’aiuto di Dio; nella contemplazione di cui ho parlato or ora, nulla: è Dio a far tutto; si tratta di opera sua che supera le nostre umane possibilità.

4. Siccome ho trattato di questo meglio che ho potuto nel libro che ho scritto (e così non occorre trattarne qui in modo particolare perché ho già esposto tutto ciò che sapevo), quelle tra voi che avranno la grazia di essere elevate dal Signore allo stato di contemplazione – e alcune, come avevo detto, vi sono già giunte – cerchino di procurarsi [il mio libro] non appena sarò morta perché è molto importante per voi. Per quelle, invece, che non vi sono arrivate basta che si sforzino solo di mettere in pratica ciò che ho detto in questo libro, cercando di guadagnare meriti in tutti i modi possibili, supplicando il Signore con insistenza ed aiutandosi con le proprie forze. Il resto lo darà in dono lo stesso Signore e non ve lo negherà se continuate a combattere sino alla fine del cammino, com’è stato detto.

 

CAPITOLO 42 (26)


Indica come raccogliere il pensiero e parla dei mezzi per riuscirvi. È un capitolo assai utile per coloro che cominciano a praticare l’orazione.

 

1. Ora, ritornando alla nostra orazione vocale, bisogna pregare in modo che senza rendercene conto, Dio ci conceda insieme l’altra, ma per questo – ripeto – occorre pregare come si deve.

L’esame di coscienza, il recitare il Confiteor e il farsi il segno della croce, si sa bene che devono essere la prima cosa. Subito dopo, figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state per recitare? Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto; credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?

2. Oh, anime, che non potete discorrere molto con l’intelletto, né potete concentrare il vostro pensiero in Dio senza cadere in distrazioni, abituatevi a ciò che vi suggerisco, abituatevi! Badate che io so che potete farlo, perché ho trascorso molti anni in questo tormento, di non poter fermare il pensiero su un unico soggetto, ed è un grandissimo tormento, ma so che il Signore non ci lascia mai così sole da non tenerci compagnia se riusciamo a chiederglielo con umiltà; e se non l’otteniamo in un anno, impieghiamocene pure molti! Ripeto che potete acquistarne l’abitudine e adoperarvi a stare in compagnia di questo vero Maestro.

3. Non vi chiedo di concentrare il vostro pensiero su di lui, né di fare molti ragionamenti né profonde e sublimi considerazioni con la vostra mente, vi chiedo solo di guardarlo. E chi può impedirvi di volgere gli occhi della vostra anima, anche solo per un attimo, se non potete di più, a lui? Se potete guardare cose ripugnanti, non potrete guardare la cosa più bella che si possa immaginare? Qualora non vi sembri bello, vi do il permesso di non guardarlo più. Siccome, figlie mie, il vostro Sposo non distoglie mai gli occhi da voi, ha sopportato da voi mille cattiverie e offese, senza che ciò sia bastato perché lasciasse di guardarvi, è forse troppo per voi, tolti gli occhi dalle cose esteriori di quaggiù, rivolgerli qualche volta a lui? Badate che egli, come dice alla sposa, non aspetta altro se non un nostro sguardo. Lo troverete sotto l’aspetto in cui lo avrete desiderato. Stima tanto questo sguardo che, per averlo, non trascurerà nulla.

4. Così dicono che si debba comportare una donna con il marito, per essere una buona sposa: mostrarsi triste, se egli è triste, se allegro, allegra, anche quando non lo sia affatto. Ebbene, questo sinceramente, senza alcuna finzione, fa il Signore con voi: si fa vostro servo e vuole che voi siate le padrone, uniformandosi ai vostri desideri. Se vi sentite disposte alla gioia, contemplatelo risuscitato. E solo immaginare come uscì vittorioso dal sepolcro vi riempirà di allegrezza. In effetti, che splendore, che bellezza, quale maestà, quale trionfo e quale giubilo! Quelli che convengono a chi è uscito con gloria dalla battaglia dove ha conquistato un così gran regno che vuole tutto per voi, insieme con lui. È dunque molto che volgiate una volta gli occhi a colui che vi offre tanto bene?

5. Se siete afflitte o tristi, pensatelo legato alla colonna, spasimante di dolori, con tutte le carni a brandelli per il grande amore che vi porta! Perseguitato dagli uni e coperto di sputi dagli altri, rinnegato e abbandonato dai suoi amici, senza che alcuno prenda le sue difese, morto di freddo e ridotto in tale solitudine che voi potete, accanto a lui, ben consolarvi a vicenda; o quando è abbandonato nell’Orto [degli ulivi] e sotto il peso della croce, non gli era concessa una tregua per respirare. Egli vi guarderà con quei suoi occhi tanto belli, compassionevoli, pieni di lacrime e dimenticherà i suoi dolori per consolare i vostri, solo perché vi rivolgete a lui per essere consolati e volgete la testa dalla sua parte per guardarlo.

6. Se il vederlo in tale stato vi ha intenerito il cuore al punto che non solo desiderate guardarlo, ma che sentiate la gioia di parlare con lui, non con preghiere studiate, ma con struggenti invocazioni sgorganti dalla pena del vostro cuore, di cui egli fa grandissimo conto, vi verrà spontaneo dirgli: «Oh, Signore del mondo e vero Sposo mio, mio Signore e mio Bene, siete proprio così pressato da voler accettare una povera compagnia, e vedo dal vostro aspetto che avete dimenticato le vostre pene nel sentirmi vicina a voi. Ma com’è possibile, Signore, che gli angeli vi lascino solo e che vostro Padre non vi consoli? Se, Signore, è perché voi volete sopportare tutto per me, cosa mai è questo che io soffro? Di che mi lamento? Mi vergogno tanto di avervi visto in tale stato che voglio sopportare tutte le sofferenze che mi possano sopravvenire e stimarle come un grande bene per imitarvi in qualche cosa. Camminiamo insieme, Signore; io devo andare dove andrete voi; dovunque passerete, passerò anch’io».

7. Prendete, figlie, su di voi parte del peso di quella croce; non curatevi di poter essere insultate dai giudei, non badate a quello che vi diranno; fingetevi sorde alle mormorazioni, inciampando e cadendo con il vostro Sposo, non separatevi mai dalla croce. Considerate con quanta stanchezza si trascini e quanto il suo tormento superi i vostri patimenti. Per gravi che voi immaginiate che siano, e per quanto vi facciano soffrire, ne uscirete consolate, vedendo che sono uno scherzo in confronto a quelli del Cristo.

8. Mi chiederete, sorelle, come ciò possa essere in pratica, perché lo avreste fatto ben volentieri e non avreste mai distolto lo sguardo da lui, se aveste potuto vederlo con gli occhi del corpo nel tempo in cui Sua Maestà era sulla terra. Non credetelo; chi infatti ora non può imporsi un po’ di forza per raccogliersi a contemplare il Signore nell’interno della sua anima (cosa che può fare senza alcun pericolo, ma solo con un po’ di diligenza), molto meno si sarebbe posto ai piedi della croce con la Maddalena, che vedeva la morte a faccia a faccia – come si dice. Quanto hanno dovuto soffrire la gloriosa Vergine e questa santa benedetta! Quante minacce, quante parole ingiuriose, quante villanie! Con che tipo di cortigiani riguardosi avevano a che fare! Sì, cortigiani dell’inferno, ministri del demonio. Certamente fu terribile quel che dovettero subire, ma di fronte a un dolore ben più grande, non sentivano il proprio.

 

CAPITOLO 43 (26)


Continua sullo stesso argomento. Comincia a insegnare una maniera devota e fruttuosa di recitare il Pater noster.

 

1. Non credete, pertanto, sorelle, non credete che sareste state capaci di sopportare quella grande sofferenza, se non siete capaci di fare questo. Credete che vi dico la verità, perché sono passata per questa prova: lo potrete fare.

2. Ciò che in questo potrà esservi di aiuto è avere un’immagine o un ritratto di questo Signore; non per recarlo nel seno e non guardarlo mai, ma per parlare spesso con lui, il quale vi suggerirà quello che gli dovrete dire. Come parlate con le creature umane, perché vi dovrebbero mancare le parole per parlare con Dio? Non temetelo, almeno io non credo che ciò possa accadere.

3. È pur un grande aiuto prendere un buon libro, in volgare, anche per concentrare il pensiero e pregare bene vocalmente (dico, come si deve fare): a poco a poco, con queste attrattive e con questi espedienti, abituerete la vostra anima alla meditazione, senza spaventarla. È come se una sposa da molti anni si sia separata dal suo sposo: perché ritorni alla sua dimora occorre far ricorso a molta diplomazia. Così è di noi peccatori: la nostra anima e la nostra mente sono talmente abituate a seguire il proprio piacere o, meglio, la propria afflizione, che la povera anima non si comprende più, e perché torni a nutrire l’amore di stare nella sua casa, è necessario servirsi di molta diplomazia; se non si fa con amore e non si procede per gradi non si riuscirà a nulla. Ma credetelo: state certe, abituandovi con diligenza a considerare che portate con voi questo Signore e spesso parlando con lui, ne trarrete un tale profitto, quale a me non riesce spiegarvi, e non mi credereste nemmeno.

4. Avvicinatevi, dunque, a questo buon Maestro, con la ferma risoluzione d’imparare ciò che egli vi insegnerà. E Sua Maestà farà sì che non manchiate di divenire sue buone discepole, né vi verrà meno se voi non venite meno a lui. Meditate le parole che pronunzia quella bocca divina, e fin dalla prima comprenderete subito l’amore che ha per voi. Non è certo piccolo conforto né dono da poco per un discepolo vedersi amato dal proprio Maestro.

 

CAPITOLO 44 (27)


Tratta del grande amore che il Signore ci ha dimostrato con le prime parole del Pater noster qui es in coelis.

 

1. Padre nostro che sei nei cieli. Oh mio Signore, come si vede bene che siete Padre di un tal Figlio e che vostro Figlio è Figlio di un tal Padre! Siate benedetti per sempre nei secoli! Non bastava, Signore, che ci accordaste di chiamarvi nostro Padre alla fine della preghiera? Ma voi fin dal principio ci riempite le mani, concedendoci un tale dono, per il quale il nostro intelletto dovrebbe sentirsi così colmo di grazia e la nostra volontà così impegnata da renderci impossibile pronunciare parola. Oh, figlie mie, come verrebbe bene qui trattare della contemplazione perfetta! Oh, come sarebbe conveniente che l’anima si raccogliesse in sé per meglio elevarsi al di sopra di se stessa, affinché questo santo Figlio le spiegasse cosa sia il luogo dove dice che abita suo Padre, che è nei cieli! Liberiamoci dalla terra, figlie mie, perché, dopo aver conosciuto l’eccellenza di un tale dono, non è giusto tenerlo in così poco conto da restare ancora in questo mondo.

2. Oh, Figlio di Dio e mio Signore, come potete darci, sin dalla prima parola, tanto bene? Dopo esservi umiliato a tal punto di unirvi a noi nelle nostre richieste e farvi fratello di creature così povere e miserabili, come ci date in nome di vostro Padre tutto ciò che si può dare, volendo che ci abbia per figli? E siccome la vostra parola non può venire meno, voi lo obbligate ad adempierla, il che non è cosa di poco peso, perché, essendo Padre, ci deve sopportare, per quanto gravi siano le nostre offese; perdonarci quando ritorniamo a lui, come il figliuol prodigo; consolarci nelle nostre sofferenze, come si conviene a tal Padre, che è necessariamente migliore di tutti i padri del mondo, perché in lui non può esserci se non l’assoluta perfezione. Deve sostentarci, deve ricoprirci di doni – e ne ha di che – e, infine, renderci partecipi e coeredi con voi.

3. O Signore, se voi, per l’amore che ci portate e per la vostra umiltà, non indietreggiate di fronte a nessun ostacolo…, quanto più, Signore, se, essendo disceso sulla terra ed essendovi rivestito della nostra carne, con l’assumere la nostra natura, sembra che in un certo qual modo siate obbligato a soccorrerci. È giusto, poi, che vi prendiate cura dell’onore di vostro Padre, che, come voi dite, abita nei cieli. Se voi vi siete votato a subire il disonore per amor nostro, lasciate libero vostro Padre: non lo obbligate a tanto per gente così miserabile come me, che gliene sarà ben poco riconoscente, come vi sono altri così ingrati.

4. Oh, buon Gesù! Come avete chiaramente dimostrato che siete una cosa sola con lui e che la vostra volontà è la sua, e la sua è la vostra! Quale chiara testimonianza! Quanto è grande l’amore che nutrite per noi! Avete fatto ricorso a ogni raggiro per nascondere al demonio di essere Figlio di Dio e, animato come siete dall’immenso desiderio del nostro bene, non c’è ostacolo che non superiate per farci intendere una verità così grande. Chi poteva far questo se non voi, Signore? Io non so come, con questa parola, il demonio non abbia compreso chi eravate, senza il minimo dubbio. Almeno io vedo chiaramente, Gesù mio, che voi avete parlato, come Figlio prediletto, per voi e per tutti e che avete la potenza di ottenere che si faccia in cielo quanto avete detto sulla terra. Siate benedetto per sempre, Signor mio, così amante di dare, che nessun ostacolo può esservi d’impedimento.

 

CAPITOLO 45 (27)


Parla della grande importanza di non badare al proprio casato per quelle che vogliono essere figlie di Dio.

 

1. Ebbene, figlie mie, non vi sembra un buon Maestro chi, per impegnarci a ad apprendere ciò che c’insegna, comincia col farci una grazia così grande? Vi sembra ora, dunque, che sia giusto, pronunciando con le labbra questa parola, tralasciare di applicarvi anche la mente, sì che il nostro cuore non si spezzi nel vedere una tale grazia? Qual è, infatti, in questo mondo il figlio che non cerchi di conoscere suo padre, quando sa che è buono, pieno di tanta maestà e di potenza? Se non fosse così, non mi stupirei che non volessimo riconoscerci per figlie sue, perché il mondo è tale che, se il padre si trova in uno stato inferiore a quello del figlio, lui, in pratica, non lo riconoscerà per padre.

2. Questo non succede qui. Dio voglia che nella nostra casa non ci siano mai simili sentimenti: sarebbe un inferno. Al contrario, quella che è di più nobile famiglia abbia meno di ogni altra il nome di suo padre sulla bocca, perché tutte qui devono essere uguali. Oh, collegio di Cristo, in cui, per volontà del Signore, aveva più autorità san Pietro, pur essendo un pescatore, che san Bartolomeo, che era figlio di re. Sua Maestà sapeva ciò che doveva accadere nel mondo, dove non si fa altro che discutere chi sia di miglior pasta, e se servirà per far mattoni o muri. Dio mio, quale cecità! Dio vi liberi, sorelle, da chiacchiere di tal genere, anche se fatte per scherzo; io spero che Sua Maestà vi concederà questa grazia. Se qualcosa di simile si notasse in qualcuna di voi, non tenetela in casa perché ella è come Giuda tra gli apostoli. Fate tutto il possibile per liberarvi da così brutta compagnia. E se non vi riuscite, le vengano imposte penitenze più gravi di quelle stabilite per altre mancanze, fino a che capisca che non meritava d’essere tra voi neppure come la terra più vile. Avete un buon Padre, che vi è dato dal buon Gesù. Non riconoscetene altro qui all’infuori di lui che vi ha donato il vostro Sposo per intrattenervi con lui. Perciò procurate, figlie mie, di essere tali da meritare di godere di lui e di gettarvi nelle sue braccia. Ormai sapete che non vi allontanerà da sé se sarete buone figlie. Chi, dunque, non farà di tutto per non perdere un tal Padre?

3. Oh, mio Dio, quanti motivi di consolazione ci sarebbero qui da esporre! Ma per non dilungarmi troppo, voglio lasciare tali pensieri alla vostra intuizione, per quanto bizzarra possa essere la vostra immaginazione. Fra un tal Figlio e un tal Padre dev’esserci sempre lo Spirito santo, che opera nella vostra volontà e vi incatena col suo ardentissimo amore, se non basta a tal fine un così grande interesse!

 

CAPITOLO 46 (28)


Spiega che cosa sia l’orazione di raccoglimento.

 

1. Ora considerate ciò che il vostro Maestro dice: Che sei nei cieli. Pensate che importi poco sapere che cosa sia il cielo e dove si debba cercare vostro Padre, infinitamente santo? Ebbene, io vi dico che, per anime distratte importa molto non solo credere questo, ma riflettervi molto, perché è una delle cose che più giova a tenere a freno l’intelletto e a far raccogliere l’anima.

2. Avete già sentito che Dio è in ogni luogo, e questa è una gran verità. Ora, è chiaro che dove sta il re, come si dice, lì sta la sua corte; pertanto, dov’è Dio, lì è il cielo. Senza ombra di dubbio potete credere che dov’è Sua Maestà, là è anche tutta la gloria. Considerate, inoltre, quello che dice sant’Agostino, che – credo nel libro delle sue Meditazioni – lo cercava in molti luoghi e lo trovò finalmente in se stesso. Pensate che importi poco, per un’anima proiettata al di fuori, comprendere questa verità e sapere che non ha bisogno, per parlare con il suo eterno Padre e godere della sua compagnia, di salire al cielo, né ha bisogno di pregare con la voce? Per quanto possa farlo sommessamente, egli certamente l’udrà. E non ha bisogno di ali per andare a cercarlo, ma solo di ritirarsi in solitudine, sentirlo dentro di sé e non meravigliarsi di ricevere un tale Ospite. Con grande umiltà l’anima gli parli come a un padre, lo supplichi come con un padre, consapevole, peraltro, di non meritare d’essere sua figlia.

3. Lasciate perdere certe timidezze che hanno alcune persone pensando che si tratti d’umiltà. L’umiltà non consiste certo nel rifiutare un dono che il re vi fa, ma nell’accettarlo riconoscendo quanto ne siete immeritevoli, e gioirne. Bella umiltà sarebbe quella che io ospiti l’Imperatore del cielo e della terra in casa mia, dove egli viene per colmarmi delle sue grazie, per compiacersi con me, e per umiltà non voglia rispondergli né restare con lui, e lo lasci solo, e quando mi esorta a rivolgergli le mie suppliche, per umiltà voglia rimanere nella mia indigenza e perfino lo lasci andar via, dal momento che egli vede che io non riesco ad accettare le sue offerte! Guardatevi, figlie mie, da queste forme di umiltà, e trattate invece con lui come con un padre, con un fratello, con un maestro, con uno sposo, a volte in un modo, a volte in un altro, perché egli v’insegnerà che cosa dobbiate fare per contentarlo. Smettete di essere sciocche! Chiedetegli di mantenere la sua parola; poiché è vostro Sposo, che vi tratti come tale. State attente! Importa molto per voi aver capito questa verità: il Signore è dentro di noi e nel nostro intimo dobbiamo stare con lui.

 

CAPITOLO 47 (28)


Comincia a parlare dell’orazione di raccoglimento.

 

1. Questo modo di pregare, sia pur fatto vocalmente, raccoglie lo spirito assai più rapidamente d’ogni altro e apporta mille vantaggi. Si chiama orazione di raccoglimento, perché l’anima raccoglie tutte le potenze e si ritira in se stessa con il suo Dio. Lì il suo Maestro divino viene e riesce più presto che in qualunque altro modo a istruirla e a concederle l’orazione di quiete. Raccolta, infatti, in se stessa, può meditare sulla passione, rappresentarsi il Figlio di Dio ed offrirlo al Padre, senza stancare la mente alla ricerca di lui sul Calvario o nell’Orto degli ulivi o flagellato alla colonna.

2. Le persone che sapranno rinchiudersi in questo piccolo cielo della nostra anima, dove abita colui che l’ha creata e che pure creò la terra, e abituarsi a non volgere lo sguardo né a soffermarsi su ciò che le può distrarre i loro sensi esteriori, seguono, credano pure, un cammino sicuro: non mancheranno di giungere a bere l’acqua della fonte e faranno molta strada in poco tempo. È come chi, andando per nave, con un po’ di buon vento, giunge al termine del viaggio in pochi giorni, mentre quelli che vanno per terra impiegano molto di più.

3. È il cammino del cielo, dico del «cielo» - perché si trovano già nel palazzo del Re – e non più sulla terra, e sono più al sicuro da tante occasioni.

4. Il fuoco dell’amore divino si accende più facilmente, perché, stando proprio vicino al fuoco, basta un minimo soffio dell’intelletto perché tutto, alla minima scintilla, s’incendi. Non essendoci alcun impedimento esteriore e trovandosi l’anima sola con il suo Dio, è pronta per un’intesa con lui.

5. Cercate di comprendere molto bene questo modo di pregare perché, come ho detto, si chiama orazione di raccoglimento.

 

CAPITOLO 48 (28)


Porta un paragone e indica il modo con cui abituare l’anima a rientrare in sé.

 

1. Immaginate dunque che dentro di voi ci sia un palazzo di una enorme ricchezza, un edificio tutto d’oro e di pietre preziose, quale, infine, si conviene a un tale Signore; pensate che voi contribuite, com’è vero, al suo splendore, non essendoci alcun palazzo di tanta bellezza che regga il confronto con un’anima pura e piena di virtù. Più queste sono elevate, più le pietre preziose risplendono; pensate, inoltre, che in questo palazzo abita il gran Re che si è compiaciuto di essere vostro Padre e che siede su un trono di grande valore: il vostro cuore.

2. Dapprima ciò potrà sembrarvi fuor di luogo – cioè che io mi serva di tale immagine per farvi intendere quel che dico –, ma può darsi che sia molto proficuo, specialmente per voi, perché, essendo noi donne sprovviste di istruzione, tutto questo è necessario per capire bene come dentro di noi ci sia qualcosa d’incomparabilmente più prezioso di quello che vediamo al di fuori: non crediamoci vuote dentro, è molto importante. E piaccia a Dio che siano soltanto le donne ad essere così sprovvedute! Ritengo infatti impossibile che, se procurassimo di ricordare di avere un tale Ospite dentro di noi, potremmo dedicarci molto di più alle cose del mondo, perché vedremmo quanto sono spregevoli in confronto a quelle che possediamo in noi. E che cosa ci distingue da un animale, il quale, vedendo ciò che gli soddisfa la vista, sazia la sua fame con quella preda? Eppure, dovrebbe esserci una differenza tra gli animali e noi, visto che abbiamo un tale Padre.

3. Forse si potrà ridere di me, dicendo che tutto ciò è ben chiaro, e a ragione, benché per me sia stato oscuro per qualche tempo. Sapevo benissimo di avere un’anima, ma quale fosse il suo valore e chi stesse dentro di essa non lo capivo perché avevo gli occhi bendati dalle vanità della vita. Infatti, se avessi capito, come ora, chiaramente, che in questo minuscolo palazzo dell’anima mia abita un Re così grande, mi sembra che non l’avrei lasciato tanto spesso solo; qualche volta, almeno, sarei stata con lui e soprattutto avrei procurato di non esser così piena di macchie. Ma che cosa c’è di più meraviglioso che vedere colui il quale può riempire della sua grandezza mille mondi, rinchiudersi in una casa così piccola? Così ha voluto rinchiudersi nel grembo della sua santissima Madre. Essendo egli il Signore di tutto, può fare ciò che vuole, e siccome ci ama, si adatta alla nostra misura. Quando un’anima comincia a seguire questa via, perché non abbia turbarsi di vedersi tanto piccola, destinata a racchiudere in sé un essere tanto grande, il Signore non le si rivela finché essa non ingrandisce a poco a poco la sua capacità, proporzionatamente ai doni che vuole accordarle. Per questo dico che può fare ciò che vuole, perché ha il potere d’ingrandire il palazzo dell’anima.

4. Tutto l’essenziale sta nel fargliene dono con piena decisione e di sgombrarlo, affinché egli possa mettere o levare quel che vuole, disponendone come di cosa propria: questa ne è la condizione. E Sua Maestà ha ragione. Non neghiamoci a lui. Anche a noi può dare fastidio avere ospiti in casa, quando non ci è possibile dire loro che se ne vadano. Egli non vuol forzare la nostra volontà, prende ciò che gli diamo, ma non si dà interamente a noi finché noi non ci diamo interamente a lui. Questo è fuor di dubbio, ed essendo di grande importanza, ve lo ricordo continuamente: il Signore non agisce nell’anima se non quando, del tutto sgombra da ostacoli, è sua; diversamente, non so come potrebbe agire, amante com’è dell’ordine. Se infatti riempiamo il palazzo di gente da poco e di cose inutili, come può trovarvi posto il Signore con la sua corte? È già molto se si trattiene un momento fra tanti impicci.

5. Credete, forse, figlie mie, che egli venga solo? Non vedete che il suo Figlio sacratissimo dice: Che sei nei cieli? È mai possibile che i cortigiani di un tal re osino lasciarlo solo? No, essi stanno sempre con il re, ed essendo pieni di carità, lo pregano continuamente in vostro favore. Non pensate che avvenga come quaggiù, che se un signore o un prelato favorisce qualcuno per motivi determinati o perché così vuole, subito nascono invidie e quel poveretto è visto di mal occhio senza aver fatto nulla a nessuno, e così i favori ricevuti gli costano caro.

6. Per amor di Dio, figlie mie, rifuggite da cose simili; ognuna cerchi di fare il proprio dovere e, se il superiore non se ne mostrerà soddisfatto, può essere sicura che lo sarà il Signore, il quale saprà ricompensarla. Non siamo certo venute qui a cercare un premio per questa vita; teniamo sempre fisso il pensiero su ciò che è eterno e non facciamo alcuna stima delle cose terrene, che non durano neanche quanto la vita. Oggi il favore del superiore sarà rivolto a una consorella, domani, se scorge in voi una virtù in più, sarà rivolto a voi, e se anche non fosse così, ha ben poca importanza. Non lasciate il passo a questi cambiamenti; troncatene subito il pensiero, considerando che il vostro regno non è quaggiù, ove tutto passa assai rapidamente. Non c’è cosa veramente solida. 

CAPITOLO 49 (29)


Prosegue sullo stesso argomento. È un capitolo molto utile.

 

1. Ma anche questo è un rimedio da poco, non molto perfetto. È meglio per voi, invece, che la prova duri, che voi restiate in quello stato di contraddizione e di umiliazione e che vogliate esserlo per amore del Signore che è in voi. Volgete lo sguardo su voi stesse e guardatevi interiormente, come ho detto. Vi troverete il vostro Maestro che non vi verrà mai meno; anzi, quanto minori saranno le consolazioni esterne, tanto più egli vi riempirà di gioia. È pieno di compassione e non abbandona mai le anime afflitte che hanno fiducia in lui solo. Questo lo dice Davide, cioè di non aver mai visto il giusto abbandonato e in un altro passo [afferma] che il Signore è vicino ai cuori affranti. O ci credete o no. Ma se ci credete, perché vi tormentate tanto?

2. Oh, Signore mio, se vi conoscessimo bene, non c’importerebbe nulla di nulla, perché voi siete molto generoso con chi veramente si dà a voi! Credetemi, amiche, è una gran cosa capire tale verità per rendersi conto che le grazie e i favori di quaggiù son tutti una menzogna quando allontanano anche un po’ l’anima dal raccogliersi in sé. Oh, mio Dio, chi potrebbe far capire questo ai mortali? Non io, di certo; so che, pur essendovi tenuta più d’ogni altra, non riesco a capirlo come si deve.

3. Oh, se ci fosse qualcuno capace di spiegare come può questa santa compagnia, che circonda il Santo dei Santi che abita nelle anime, non impedire all’anima di ritrovarsi sola con il suo Sposo, quando ella, raccolta nel suo intimo, vuole entrare in questo paradiso con il suo Dio e chiude la porta a tutte le cose del mondo. Perché sappiate che non si tratta qui di un fatto soprannaturale, ma di un’operazione dipendente dalla nostra volontà, che possiamo realizzare noi stesse, sempre con l’aiuto di Dio. Come si presuppone nel presente libro quando si dice «possiamo». Veramente nulla si può fare senza di lui. Ma qui non si tratta, infatti, di un silenzio delle potenze, ma di racchiuderle nell’anima.

4. Ciò si ottiene in vari modi. Come è scritto in alcuni libri, che trattano dell’orazione mentale, noi dobbiamo distaccarci da tutto per avvicinarci interiormente a Dio.

 

CAPITOLO 50 (29)


Parla del grande vantaggio che deriva da questo modo di fare orazione.

 

 1. Siccome non parlo del modo in cui fare bene l’orazione vocale, non c’è bisogno di dilungarmi su di essa. Ciò che pretendo è soltanto che ci rendiamo conto di chi è presente, con chi parliamo, senza voltargli le spalle (e mi sembra di fare così parlando con Dio e, al tempo stesso, pensando a mille cose!). Tutto il danno deriva dal non comprendere che Dio è veramente vicino, mentre lo si immagina lontano, e quanto lontano, se andiamo a cercarlo in cielo! Perché non contemplare il tuo volto, Signore, quando sei vicino a noi? Ci sembra che gli uomini non ci ascoltino se vediamo che essi non ci guardano. E perché chiudiamo gli occhi per non vedere che tu ci guardi? Come faremo allora a capire se hai udito ciò che abbiamo detto? Solo questa cosa mi sono proposta di farvi comprendere: per abituare con facilità il nostro intelletto ad essere sicuro di ciò che dice e con chi sta parlando è necessario raccogliere in noi stessi i sensi esteriori e dare loro di che occuparsi. Abbiamo il cielo dentro di noi, giacché il Signore del cielo è nel nostro intimo.

2. Se una volta abbiamo cominciato ad acquistare l’abitudine di prendere gusto a non sentire la necessità di gridare per parlargli – perché Sua Maestà ci farà sentire ch’egli è là, dentro di noi – reciteremo con molta tranquillità il Pater noster e tutte le altre orazioni. Lo stesso Signore ci aiuterà a non stancarci; giacché poco tempo dopo i nostri sforzi di stare uniti a lui, egli ci capirà per mezzo di segni. E se, precedentemente, per farci capire da lui dovevamo recitare il Pater noster molte volte, ora egli ci capirà fin dalla prima. Egli è vivamente desideroso di risparmiarci ogni fatica; anche se in un’ora non lo recitiamo più di una volta basta, purché comprendiamo di essere con lui, siamo consapevoli delle nostre richieste, del vivo desiderio che egli ha di esaudirle come Padre e del piacere che prova nello stare con noi e che noi stiamo con piacere con lui; egli non ama che ci rompiamo la testa. Per questo, sorelle, per amor di Dio, abituatevi a recitare il Pater noster con un tale raccoglimento e ne vedrete il profitto in poco tempo. Infatti, è un modo di pregare che abitua presto l’anima a non perdersi in distrazioni e abitua le potenze a non agitarsi, come il tempo vi farà capire. Vi prego solo di provarlo, anche se sarà un poco faticoso, come succede in tutte le cose che non rientrano nelle nostre abitudini. Ma soprattutto vi assicuro che, in breve tempo, sarà una vera consolazione per voi scoprire che questo santo Padre cui rivolgete le vostre parole è dentro di voi e ciò senza stancarvi tanto a cercarlo.

3.Sua Maestà voglia insegnare questo tipo di orazione a quelle tra voi che non lo conoscono. Da parte mia, vi confesso che non ho mai saputo che cosa fosse pregare con soddisfazione e consolazione finché il Signore non me l’ha insegnato; ho sempre trovato tanti vantaggi in quest’abitudine di raccoglimento interiore, che per tal motivo mi sono così dilungata in proposito. Magari voi tutte lo sapete già. Ma, in seguito, verrà forse qualcuna che non ne sa nulla. Per questo motivo non deve pesarvi il fatto che io l’abbia detto qui. Vediamo ora come fa il nostro buon Maestro che comincia a pregare il suo santo Padre per noi e cosa gli chiede. È bene che noi lo comprendiamo.

 

CAPITOLO 51 (30)


Dice quanto importi capire ciò che si domanda nell’orazione.

 

1. Chi è colui, per quanto sconsiderato sia, che dovendo chiedere una grazia a una persona autorevole, non pensi anzitutto come chiedergliela, per riuscirle accetto e non sembrarle scortese? Non deve forse sapere cosa chiedere e comprendere il bisogno che ne ha, specialmente se chiede una cosa importante, come quella che c’insegna a chiedere il nostro buon Gesù? Ma ecco quel che mi sembra degno di nota. Non potevate, Signor mio, concludere con una parola e dire: dateci, Padre, quello che a noi conviene? Per chi conosce tutto così bene, mi sembra che non ci fosse bisogno d’altro.

2. Oh, Sapienza degli angeli, per voi e per vostro Padre ciò poteva bastare! Così, infatti, voi vi siete espresso nell’orazione dell’Orto degli ulivi; avete manifestato il vostro desiderio e il vostro timore e, poi, vi siete rimesso alla sua volontà. Ma, mio Signore, voi ci conoscete e, sapendo che non siamo così sottomessi alla vostra volontà come lo eravate voi a quella di vostro Padre, avete ritenuto necessario precisare bene le domande per farci considerare un po’ se ciò che gli chiediamo ci conviene e, in caso contrario, indurci a non chiederglielo. Siamo così fatti, in realtà, che se non ci viene dato quello che chiediamo, con questo libero arbitrio di cui disponiamo non accetteremo ciò che il Signore voglia darci. D’altronde, anche se è il meglio, non crediamo mai di essere ricchi se non quando abbiamo il denaro tra le mani.

3. Oh, mio Dio, com’è debole la nostra fede! Tanto debole che non riusciamo a capire né quanto sia certo il castigo né quanto lo sia il premio che avremo! Per questo è bene, figlie mie, che sappiate ciò che chiedete nel Pater noster affinché, se il Padre eterno ve lo concederà, non abbiate a rifiutarglielo; considerate assai attentamente se vi conviene; altrimenti non chiedeteglielo, ma pregate Sua Maestà di illuminarvi, perché siamo ciechi e proviamo ripugnanza per i cibi che devono darci la vita, mentre ricerchiamo quelli che ci condurranno alla morte. E che morte spaventosa ed eterna!

 

CAPITOLO 52 (30)


Commenta le parole: Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum. Inizia con la spiegazione dell’orazione di quiete.

 

1. Il buon Gesù, dunque, dice: Sia santificato il tuo nome, venga a noi il tuo regno. Ma considerate, figlie mie, l’infinita sapienza del nostro Maestro. Considerate qui, con me, perché è bene rendersene conto, che cosa chiediamo con questo regno. Sua Maestà ha visto che non potevamo santificare, lodare, esaltare né glorificare e celebrare degnamente questo santo nome dell’eterno Padre con le nostre scarse possibilità, se non provvedeva a darci quaggiù il suo regno, e per questo il buon Gesù pose queste due richieste l’una accanto all’altra. Voglio dirvi qui quello che ne penso, affinché possiamo comprendere non solo ciò che gli chiediamo, ma quanto importi insistere per ottenerlo e fare di tutto per piacere a colui che ci può esaudire. Nel caso che non vi soddisfi questa mia spiegazione, trovate voi altre considerazioni. Il nostro Maestro vi autorizzerà, purché vi sottomettiate in tutto a ciò che insegna la Chiesa, come faccio anch’io, sempre, e non vi darei da leggere questo libro se non dopo che sia stato rivisto da persone competenti e, se in esso si trovasse qualche errore, sappiate che ciò non è dovuto a malizia, bensì ad ignoranza.

2. Ora, il gran bene che c’è nel regno dei cieli, insieme con molti altri, è non tenere più in alcun conto le cose della terra, ma sentire in sé un gran riposo e una piena felicità, gioire della gioia di tutti, godere di una pace eterna e provare una profonda soddisfazione interiore nel vedere che tutti santificano e lodano il Signore, ne benedicono il nome e nessuno l’offende. Tutti lo amano e l’anima stessa non attende ad altro, se non ad amarlo, perché lo conosce. E così l’ameremmo quaggiù, conoscendolo, anche se non con questa perfezione e continuità, ma sempre molto diversamente da come lo amiamo.

3. A quanto dico, sembrerebbe che dobbiamo essere angeli per rivolgergli questa richiesta e pregare bene vocalmente. Ben lo desidererebbe il nostro divino Maestro, visto che ci prescrive di rivolgergli una richiesta così sublime, e si può essere certi che egli non ci suggerisce di chiedere cose impossibili. Sarebbe possibile pertanto, con l’aiuto di Dio, che un’anima vivente ancora in quest’esilio l’ottenesse, anche se non con la perfezione di quelle che son libere da questo carcere, perché dopo tutto si è ancora tra i flutti del mare e in viaggio. Ma vi sono momenti in cui il Signore, vedendoci stanchi del cammino, ci procura un riposo delle potenze e una serenità dell’anima tali da far chiaramente capire, per segni manifesti, quale sia il sapore di ciò che viene dato a coloro che egli introduce nel suo regno; e a quelli di cui esaudisce quaggiù la richiesta dà pegni capaci di alimentare la grande speranza di andare a godere eternamente ciò che qui ci viene dato a sorsi.

4. Se non mi accusassero di parlare di contemplazione, verrebbe a proposito, in questa richiesta del Pater, dire qualcosa sull’inizio della pura contemplazione, chiamata, da coloro che ne sono favoriti, orazione di quiete. Ma – ripeto – io tratto di orazione vocale, e a chi non ne abbia esperienza sembra che una cosa non vada bene con l’altra, mentre io so che si conciliano perfettamente. Perdonatemi se ve ne voglio parlare, perché conosco molte persone le quali, mentre pregano vocalmente – com’è stato detto – sono elevate da Dio, senza che esse sappiano come, a un alto grado di contemplazione. Per questo, figlie, desidero tanto che recitiate bene le preghiere vocali. Conosco una monaca, ad esempio, che non poté mai praticare se non l’orazione vocale e, attaccata ad essa, realizzava tutto. Se invece non pregava così, l’intelletto si smarriva talmente che diventava un supplizio. Magari avessimo tutte un’orazione mentale così perfetta com’era la sua vocale! In certi Pater noster che recitava in onore delle varie volte in cui il Signore sparse il suo sangue – e in poche altre preghiere – impiegava due o tre ore. Una volta venne da me piena d’angoscia perché non sapeva elevarsi alla contemplazione, ma solo pregare vocalmente. Era già anziana ed aveva trascorso molto bene nonché religiosamente la sua vita. Le chiesi cosa recitasse: vidi allora che, fedele al Pater noster, arrivava alla pura contemplazione e il Signore la elevava anche fino all’unione. Io ne lodai il Signore e invidiai la sua orazione vocale. Non pensate, voi che siete nemici dei contemplativi, di non poterlo diventare anche voi, se recitate le orazioni vocali come devono essere recitate, con una coscienza pura. Lo ripeterò ancora. Ma chi non vuole udirlo, non ci badi e tiri avanti.

 

CAPITOLO 53 (31)


Continua a spiegare che cosa sia l’orazione di quiete. È un capitolo molto importante.

 

1. Questa orazione di quiete, in cui – ripeto – il Signore comincia a mostrarci che ascolta la nostra richiesta, è per darci già quaggiù il suo regno, affinché lodiamo sinceramente il suo nome e procuriamo che lo facciano altri. Non mi dilungo molto nelle spiegazioni, avendone già parlato in un altro luogo, come ho detto. Ne dirò solo qualcosa.

2. Questa è già una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci da noi, nonostante ogni nostra diligenza possibile. L’anima, infatti, entra ormai nella pace o ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza, come fece con il giusto Simeone. Allora tutte le potenze restano inattive e l’anima si rende conto, per virtù di una consapevolezza del tutto estranea a quella procurata dai sensi esterni, d’essere ormai assai vicina al suo Dio, tanto che, innalzandosi un po’ di più, diverrebbe una cosa sola con lui, mediante l’unione. Mi esprimo così non perché lo veda con gli occhi del corpo o con quelli dell’anima. Nemmeno il giusto Simeone, guardando il glorioso Gesù, vedeva più di un Bambino poverissimo; dai panni che l’avvolgevano e dalle poche persone che l’accompagnavano nella processione, l’avrebbe piuttosto creduto pellegrino, figlio di povera gente che Figlio del Padre celeste; ma lo stesso infante divino glielo fece intendere. A questa medesima comprensione l’anima giunge qui, anche se non con uguale chiarezza, non sapendo ancora come riesca a capirlo; vede solo che è nel suo regno, o per lo meno vicino al Re che glielo deve dare, e si sente compresa di tale rispetto da non osare chiedere nulla.

3. Si è come tramortiti, interiormente ed esteriormente, al punto che l’uomo esteriore (cioè il corpo, perché forse verrà da voi qualche sempliciotta che non sa cosa sia interiore ed esteriore) non vorrebbe muoversi, allo stesso modo di chi, arrivato quasi al termine del cammino, si concede un po’ di riposo, provando grandissimo sollievo nel corpo e grande soddisfazione. L’anima è così felice solo di vedersi vicino alla fonte, che anche prima di bere si sente già sazia. Le sembra che non ci sia altro da desiderare: le potenze sono talmente assopite che non vorrebbero muoversi; tutto le appare d’impedimento ad amare, anche se le potenze non sono così assopite da non percepire chi sia colui presso il quale si trovano, e in grazia di chi possono qualcosa. Il loro pensiero è placido e tranquillo. Desiderano soltanto che il corpo non si muova minimamente per non destare le loro potenze. Coloro che sono pervenuti a questo stadio pensano a una sola cosa, non a molte. Dà loro pena il parlare: per dire un solo Pater noster possono impiegare anche un’ora. Sono così prossimi a Dio che s’intendono per segni. Stanno nel palazzo accanto al loro Re e capiscono che egli comincia a dar loro fin da questa vita «il suo regno». Talvolta scendono loro le lacrime, senza afflizioni, ma con molta dolcezza. Tutto il loro desiderio è che venga santificato il suo nome in quel momento. Non hanno l’impressione di stare nel mondo, né vorrebbero vederlo né udirlo, per vedere e udire soltanto il loro Dio. Nulla dà loro pena e nulla sembra possa dargliene.

4. Nel libro [della Vita] in cui ho trattato dell’orazione di quiete, ho dimenticato di dire quanto segue. Accade, spesso, che l’anima sia immersa in una quiete profonda e che l’intelletto sia così distratto da non accorgersi che quanto avviene si svolge nella sua casa. A dire la verità, a me sembra essere un ospite in casa altrui; va allora in cerca di altro alloggio. Non è contento della casa in cui si trova, perché non sa stare fermo. Parlo di me stessa, giacché credo che non succederà così agli altri. Ma io, a volte, desidero morire, incapace come sono di porre un rimedio. Altre volte, sembra che l’intelletto si stabilisca nella sua casa, assieme alla volontà e, quando i due vanno d’accordo, è un paradiso, come avviene di due sposi: se si amano, ognuno vuole quel che vuole l’altro, mentre, se sono male accoppiati, si vede subito l’inquietudine che un marito può dare a sua moglie. La volontà pertanto, quando si trova in questa quiete – e si faccia attenzione a questo consiglio che è molto importante –, non faccia caso dell’intelletto più che di un pazzo, perché, se lo vuole trascinare con sé, forzatamente dovrà distrarsi e in parte turbarsi. Al grado di orazione a cui è giunta tutto ciò sarà affaticarsi per non guadagnare nulla, anzi, perdere quello che il Signore le concede senza alcuna fatica da parte sua.

5. Fate attenzione a questo paragone, suggeritomi dal Signore durante l’orazione, che mi sembra cada a proposito qui: l’anima è come un bambino lattante attaccato al seno della madre, la quale, senza che egli faccia lo sforzo di succhiare, gli spreme il latte in bocca per tenerezza. Così avviene qui dove, senza alcun lavoro dell’intelletto, il Signore s’introduce nell’anima e vuole che ci si renda conto che egli vi è presente e desidera che si succhi il latte da lui offerto. In tutto ciò l’anima deve capire il dono che egli le fa ed il suo amore. Se si mette a lottare con l’intelletto per farlo partecipe del suo stato, trascinandolo con sé, non potrà arrivare a tutto e necessariamente si lascerà cadere il latte dalla bocca, perdendo così quel sostentamento divino.

6. La differenza tra questa orazione e quella in cui tutta l’anima è unita a Dio è che in quest’ultima non si ha neanche bisogno d’inghiottire il nutrimento; lo pone il Signore all’interno di noi stessi, senza che sappiamo come. Nell’altra, invece, sembra volere che si lavori un po’, anche se il lavoro si compie con tanta tranquillità che quasi non si avverte. Chi è giunto a questa orazione comprende chiaramente ciò che dico, se con attenzione riflette su quanto ho esposto dopo averlo letto. Guardate, è importante! Altrimenti vi sembrerà arabo. Così, quando l’anima si trova in questa orazione, sperimenta una felicità dolce e profonda della volontà. Benché non possa precisare in cosa consista, vede tuttavia che è assai diversa da ogni soddisfazione terrena e che non basterebbe essere padroni del mondo con tutti i suoi piaceri per poter sentire in sé quella gioia. Questa è nell’intimo della volontà, mentre i piaceri della vita essa li gode, mi sembra, all’esterno della volontà, come, per così dire, nella superficie di essa. Quando dunque si vede elevato a un alto grado di orazione (che è, come ho già detto, evidentemente soprannaturale), non si preoccupi se l’intelletto si lasciasse andare alle maggiori insensatezze del mondo. Si rida di esso, lo consideri come un pazzo e se ne resti nella sua quiete, incurante del suo andirivieni. Qui la volontà è potente sovrana e lo richiamerà a sé senza che voi ve ne occupiate. Se poi l’anima vuol richiamarlo a viva forza, perde l’energia che ha contro di esso in virtù del nutrirsi e accogliere in sé quel divino sostentamento, sì che né l’uno né l’altro guadagneranno nulla, ma entrambi perderanno, e potremmo dire che «chi troppo vuole nulla stringe». L’esperienza ve lo farà capire; per comprenderlo senza che lo dicano gli altri, occorre molto, ma per praticarlo e tenerlo presente, dopo averne letto [la descrizione], basta poco.

7. Ora dunque concludiamo dicendo che per tutto il tempo in cui si sente soddisfazione e piacere le anime possono già credere di stare nel suo regno e che l’eterno Padre abbia esaudito la richiesta di darglielo loro quaggiù. Oh, benedetta domanda che ci fa chiedere un così gran bene senza saperlo! Oh, benedetto modo di domandare! Per questo, sorelle, vorrei che considerassimo bene come recitiamo quest’orazione celestiale e stiamo attente a ciò che chiediamo. È chiaro, una volta che Dio ci ha fatto questa grazia non dobbiamo più preoccuparci delle cose del mondo, in quanto il Signore, arrivando nell’anima, la sgombra di ciò che la occupa. Non dico che tutti coloro che lo chiedono debbano essere, per ciò stesso, staccati completamente dal mondo, ma desidero che almeno capiscano quello che loro manca, si umilino. Non dovrebbero chiedere una cosa così grande come se chiedessero una cosa da nulla e, se il Signore concedesse loro ciò che chiedono, non dovrebbero mai perderlo di vista.

8. Ma vi sono persone, e io sono stata una di esse, alle quali il Signore dà sentimenti di devozione, sante ispirazioni, luce sulla vanità del tutto e, infine, il dono di quiete, mentre esse fanno le sorde. E vi sono anime talmente desiderose di parlare e di dire molte orazioni vocali in gran fretta, come chi vuole portare a termine presto il suo compito, nella misura in cui sono obbligate a recitarle ogni giorno. E sebbene il Signore ponga loro nelle mani il suo regno, donando loro questa orazione di quiete e pace interiore, non lo accettano, perché pensano di far meglio con le loro preghiere, e così si distraggono dall’orazione di quiete.

9. Voi, sorelle, non fatelo, e state bene attente quando il Signore vi concederà questa grazia. Badate che, perdendola, perdereste un gran tesoro e che fate molto di più pronunciando di quando in quando una sola parola del Pater noster che recitandolo molte volte in fretta, senza riflettere. Colui che voi pregate è così vicino che non mancherà di ascoltarvi. Credetemi, in questo consiste il lodare e santificare veramente il suo nome. Infatti voi allora glorificherete il Signore come persone della sua casa, lo loderete con maggiore affetto e fervore e, infine, vi sembrerà impossibile fare a meno di servirlo. Vi raccomando di fare molta attenzione a questo consiglio, perché è molto importante.

 

CAPITOLO 54 (32)


Tratta di queste parole del Pater noster: Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra, e dice quanto merito abbia chi le reciti con piena determinazione.

 

1. Ora che il nostro buon Maestro ha chiesto per noi e ci ha insegnato a chiedere un bene di tale valore che racchiude in sé tutto ciò che noi quaggiù possiamo desiderare, e ci ha elargito una grazia così incomparabile qual è quella di farci suoi fratelli, vediamo cosa vuole che diamo a suo Padre, cosa gli offre in nome nostro e cosa esige da noi, perché è giusto che gli rendiamo qualche servigio in contraccambio di così grandi benefici. Oh, buon Gesù, com’è poco quello che gli offrite da parte nostra, in confronto a quello che chiedete per noi! Eppure, lasciando da parte che è in sé un puro niente di fronte al molto che dobbiamo, e a un così gran sovrano, è certo però che voi, Signore, non ci lasciate più nulla perché diamo tutto ciò che possiamo se ci atteniamo a quanto le parole promettono.

2. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Avete fatto bene, o nostro buon Maestro, a rivolgere al Padre la richiesta precedente per metterci in condizione di adempiere quello che gli offrite da parte nostra; altrimenti, mi sembra, ci sarebbe impossibile farlo. Ma, siccome vostro Padre esaudirà la vostra richiesta di darci quaggiù il suo regno, io so che comproveremo la verità della vostra promessa se offrite quel che offrite da parte nostra. Quando la terra della mia anima sarà cambiata in cielo, sarà più facile che si compia in me la vostra volontà. Senza questa trasformazione però, e per giunta se si tratta di una terra così vile e sterile come la mia, io non so, Signore, come ciò sarebbe possibile. È gran cosa ciò che offrite da parte nostra. Per questo, figlie, vorrei che ve ne rendeste conto.

3. Quando penso a questo, rido di certe persone che non osano chiedere sofferenze al Signore. Ciò è segno di poca umiltà. Ho incontrato alcune persone così meschine che, senza appellarsi all’umiltà, non hanno il coraggio di chiederle perché pensano di venir subito esaudite. Ma vorrei domandare a quelle che non le chiedono, nel timore d’essere subito esaudite, cosa intendono dire quando supplicano il Signore che Sua Maestà adempia in esse la sua volontà, ovvero se lo dicano per dire quel che dicono tutti, e non nell’intento di mettere in pratica le loro parole. Questo, sorelle, non sarebbe ben fatto. Considerate che qui il buon Gesù appare nostro ambasciatore, avendo voluto far da intermediario tra noi e suo Padre, e non gli è costato poco: non sarebbe quindi giusto che tralasciassimo di realizzare ciò che egli offre in nostro nome, oppure non dovremmo dirlo.

4. Ora voglio spiegarlo nuovamente. Considerate, figlie mie, ascoltate il mio parere, che – volenti o nolenti – ciò accadrà, perché la sua volontà deve compiersi così in cielo come in terra; credetemi e fate di necessità virtù. Oh, mio Signore, che gran favore è stato per me non lasciare alla mercé di una volontà così dappoco come la mia l’adempimento della vostra! Siate benedetto per sempre e vi lodino tutte le creature! Sia glorificato il vostro nome in eterno! Povera me, Signore, se fosse dipeso da me l’adempimento della vostra volontà! Ora io vi do liberamente la mia, anche se non esente da interesse, perché so di certo, e per lunga esperienza, il grande bene che si ricava nel rimettere liberamente la propria volontà nelle vostre mani. Oh, figlie mie, quale gran guadagno! E che gran perdita, se non adempiamo quanto diciamo al Signore nel Pater noster con l’offerta che gli facciamo!

5. Prima di esporvi quello che si guadagna, voglio spiegarvi l’importanza della vostra offerta, affinché non dobbiate addurre il pretesto di un errore dicendo che non l’avevate capito. Che non vi avvenga come ad alcune monache, le quali non fanno altro se non promettere, e poiché non mantengono le promesse, dopo aver emesso la professione, trovano una scusa nel dire che non avevano capito quello che promettevano. Voglio anche crederlo perché è facile parlare e difficile operare. E se hanno pensato che è la stessa cosa parlare e fare, certo non l’hanno capito. Fatelo comprendere bene a coloro che faranno la professione qui [in questa casa] con una lunga prova e non pensino che le sole parole siano sufficienti senza le opere corrispondenti.

6. Vorrei anzitutto che comprendiate bene con chi vi intrattenete – come si dice – e che sappiate quanto offre per voi al Padre il buon Gesù e cosa gli state dando quando dite: sia fatta in voi la sua volontà, che non è un’altra cosa. Non abbiate paura che la sua volontà consista nel voler donarvi ricchezze, piaceri, onori, né tutti gli altri beni di quaggiù. Vi ama troppo e stima molto ciò che gli offrite, per non volervelo pagare bene, visto che vi dà il suo regno fin da questa vita. Volete sapere come si comporta con quelli che gli fanno una sincera promessa? Chiedetelo al suo Figlio glorioso, che nell’orazione dell’Orto degli ulivi gli rivolse queste stesse parole. Poiché le disse con verità e con tutta la volontà, guardate un po’ se ha ben compiuto in lui la sua volontà, con tutti i patimenti, i dolori, le ingiurie e le persecuzioni a cui lo sottopose, per farlo morire, alla fine, crocifisso.

 

CAPITOLO 55 (32)


Come i religiosi abbiano l’obbligo di operare e non di dire solo parole.

 

1. Voi vedete, figlie, che cosa diede [il Signore] a chi amava di più; da qui potete capire quale sia la sua volontà. State attente a quel che fate; procurate che non siano soltanto parole di compiacimento quelle che dite a un così grande Signore, ma sforzatevi di sopportare quanto vorrà mandarvi Sua Maestà. Dargli la propria volontà in altro modo sarebbe come mostrare a qualcuno una pietra preziosa apprestandosi a dargliela, e pregandolo di accettarla; e poi, quando l’altro tende la mano per prenderla, tornare a tenersela ben stretta.

2. Non son questi scherzi da fare a chi ne ha sofferti troppi per noi; anche se non ci fosse altro motivo, non è giusto che ci prendiamo gioco di lui tante volte, perché non son poche quelle in cui gli rivolgiamo tale offerta nel Pater noster. Diamogli una buona volta questa pietra preziosa che gli offriamo da tanto tempo! È certo che egli non ce la dà per prima cosa. Oh, mio Dio! Com’è chiaro che il mio buon Gesù ci conosce! Non ci dice infatti all’inizio che dobbiamo consegnargli la nostra volontà, cioè prima di essere ripagati bene di questo piccolo servizio che gli abbiamo reso, e con ciò intendo il grande vantaggio che il Signore vuole che otteniamo nel servizio stesso. Egli comincia a pagarci sin da questa vita, come subito dirò. Per le persone del mondo sarà già molto se sono fermamente decise a mantenere la loro promessa. Voi, figlie mie, dovete dire e fare, servirvi di parole e di opere, come in verità sembra che facciano tutti i religiosi. A volte, però, gli mettiamo addirittura in mano la pietra preziosa, poi gliela riprendiamo. All’inizio siamo generosi e poi così avari, che sarebbe stato forse meglio se fossimo stati più cauti nel dare.

3. Tutti i consigli che vi ho dato in questo libro hanno lo scopo d’indurvi a consacrarvi totalmente al Creatore, porre la vostra volontà nella sua e distaccarvi dalle creature. Avrete già capito quanto ciò sia importante e non insisto oltre; voglio soltanto dirvi perché il nostro buon Maestro ponga qui le suddette parole, come chi conosce il gran profitto che trarremo dal rendere questo servizio al suo eterno Padre. Infatti, per mezzo di esse, ci disponiamo ad arrivare rapidamente al termine del cammino e a bere l’acqua viva di quella fonte di cui ho parlato. Se invece non ci rimettiamo completamente al Signore e non ci mettiamo nelle sue mani perché operi in tutto quel che ci riguarda conformemente alla sua volontà, non ci lascerà mai bere l’acqua di tale fonte. L’acqua è la contemplazione perfetta di cui mi avete pregato di parlarvi.

4. In essa noi non facciamo nulla da parte nostra; nessun lavoro, nessuno sforzo; non c’è bisogno di altro (perché tutto il resto è d’impaccio e d’impedimento) se non dire: fiat voluntas tua: si compia, Signore, in me la vostra volontà in tutti i modi e con tutti i mezzi dei quali piacerà a voi, Signor mio, servirvi. Se vorrete che ciò sia mediante sofferenze, datemi la forza necessaria, e che vengano; se mediante persecuzioni, malattie, disonori e indigenze, ecco sono pronta: non volgerò la testa indietro, né sarebbe giusto che vi voltassi le spalle. Poiché vostro Figlio vi consegnò, in nome di tutti, anche la mia volontà, non è giusto che io, da parte mia, manchi a tale impegno. Ma perché lo possa fare, concedetemi la grazia di questo vostro regno, che egli vi ha chiesto per me e disponete di me come di cosa vostra, secondo la vostra volontà.

5. Oh, sorelle mie, che forza racchiude questo dono! Se esso è ispirato dalla determinazione che deve accompagnarlo, non può mancare di attirare l’Onnipotente a essere una cosa sola con la nostra pochezza, trasformarci in lui e operare l’unione del Creatore con la creatura. Guardate un po’ se sarete ben pagate e se avete un buon Maestro, il quale sapendo come deve conquistare il cuore di suo Padre, ci insegna in che modo e con quali mezzi dobbiamo servirlo.

 

CAPITOLO 56 (32)


Parla di ciò che il Signore dona dopo che ci siamo abbandonati alla sua volontà.

 

1. Quanto più grande è la risolutezza dell’anima – di compiere opere che non sono soltanto  parole di convenienza –, tanto più il Signore l’avvicina a sé e la eleva su tutte le cose di quaggiù e sopra se stessa per prepararla a ricevere grazie sublimi, giacché non finisce mai di pagare in questa vita tale dono. Lo stima tanto che noi non sappiamo più che cosa chiedergli, e Sua Maestà non si stanca mai di dare. Non contento infatti di aver fatto dell’anima una cosa sola con lui, per averla ormai trasformata in sé, comincia a compiacersene, a scoprirle segreti, godendo che capisca quanto ha guadagnato e che sappia qualcosa di quanto le ha riservato; infine, le fa perdere a poco a poco i sensi esterni, perché nulla le sia d’impedimento. Questo è il rapimento. E comincia allora a trattarla con tanta amicizia che non solo le restituisce la sua volontà, ma le dà, insieme, la propria, compiacendosi, ora che la tratta con tanta amicizia, di far sì che comandino a turno – come si dice – e di adempiere le sue richieste, come ella adempie ciò ch’egli le comanda di fare; solo ch’egli opera molto meglio perché, essendo onnipotente, può ciò che vuole e non smette mai di volere.

2. Invece l’anima, poveretta, nonostante voglia, molte volte non può fare quel che vorrebbe; anzi, non può far nulla senza un dono di Dio. Resta tanto più debitrice quanto più serve, e spesso tormentata dal vedersi soggetta a tanti inconvenienti, ostacoli e legami che comporta lo stare nel carcere di questo nostro corpo, perché vorrebbe pagare almeno qualcosa del suo debito. Ma è molto sciocca a tormentarsi; infatti, se anche facesse tutto quello che dipende da lei, che cosa possiamo pagare noi che non abbiamo nulla da dare se non lo abbiamo ricevuto? Non possiamo fare altro che riconoscerci incapaci e compiere perfettamente quanto possiamo la rinuncia alla nostra volontà. Come ho detto, ho lasciato scritto in un altro libro come dev’essere questa orazione e cosa debba fare l’anima fino a quando non vi è pervenuta. Ho anche spiegato molto diffusamente ciò che l’anima sente in questo stato e come si riconosca l’intervento di Dio. Per questo motivo, basta ora solo accennare ad alcuni elementi dell’orazione per farvi comprendere come si debba recitare il Pater noster.

3. Voglio darvi soltanto un avviso: non pensate d’arrivare a questo stato in virtù dei vostri sforzi e del vostro zelo; sarebbe inutile: se prima avevate devozione, ora cadreste nella freddezza. Dovete solo, con la semplicità e l’umiltà che ottiene tutto, dire: fiat voluntas tua.

 

CAPITOLO 57 (33)


Indica quanto abbiamo bisogno che il Signore ci dia quello che gli chiediamo con queste parole del Pater noster: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie.

 

1. Il buon Gesù si rendeva conto dunque di quanto fosse difficile quest’offerta fatta al Padre in nostro nome, conoscendo la nostra umana fragilità e sapendo che spesso fingiamo di non conoscere quale sia la volontà del Signore. Di fronte alla nostra debolezza, pietoso com’egli è, capì che occorreva trovare un mezzo per aiutarci, perché non adempiere quanto era stato promesso sarebbe stato contrario al nostro interesse, visto che in ciò sta tutto il nostro profitto. Si rese dunque conto della difficoltà di quest’adempimento. Infatti, se si dice a un ricco gaudente che la volontà di Dio comporta che egli faccia attenzione a moderarsi a tavola affinché gli altri, che muoiono di fame, possano mangiare almeno il pane, tirerà fuori mille pretesti per non sentir ragioni che non rispondano a quello che gli fa comodo. Se si ricorda a un maldicente che la volontà di Dio comporta l’amare il prossimo come se stessi, non potrà sopportarlo, e nessuna ragione sarà sufficiente a convincerlo. Se poi direte a un religioso, o a una religiosa, amante della sua libertà e dei suoi comodi, che deve tener presente il suo obbligo di dare buon esempio e che deve badare a che non siano soltanto parole quelle che egli pronuncia, ma ricordarsi che ne ha promesso e giurato l’adempimento, che è volere di Dio che egli osservi i suoi voti, e che, dando scandalo, va decisamente contro di essi, anche se non li violi del tutto, che si è impegnato alla povertà e deve rispettarla senza giri viziosi, che tale è la volontà del Signore, vedrete che non c’è possibilità, ancora oggi, di essere ascoltati, per lo meno da alcuni. Che avrebbero essi fatto dunque se il Signore non avesse facilitato la maggior parte dell’impegno con il rimedio che ci ha dato? Non ce ne sarebbero rimasti che ben pochi ad adempiere la sua parola e a realizzare ciò che egli ha offerto al Padre. Volesse il cielo che almeno ora se ne potessero trovare molti. Il buon Gesù, vista dunque la necessità del suo aiuto, ricorse a un mezzo ammirevole con il quale ci mostrò il grandissimo amore che ci portava, rivolgendo al Padre, a nome suo e dei suoi fratelli, la preghiera di darci il pane quotidiano.

 

CAPITOLO 58 (33)


Parla di quanto abbia fatto il Padre eterno volendo che il Figlio ci rimanesse vicino nel santissimo Sacramento.

 

1. Per amor di Dio, sorelle, intendiamo bene quanto chieda per noi il nostro buon Gesù, perché ne va la vita della nostra anima a prenderlo alla leggera; e non fate gran conto di quel che avete dato al Signore, considerato il molto che dovrete ricevere da lui. A me sembra, salvo un miglior parere, che il buon Gesù, considerato ciò che aveva promesso in nostro nome, quanto fosse importante per noi adempierlo e la grande difficoltà di riuscirvi, deboli come siamo, così attaccate alle cose della terra e così poco dotate di amore e di coraggio, visto che era necessario farci guardare al suo amore per risvegliarci, e non una volta sola, ma ogni giorno, prese la decisione di restare con noi. E poiché era cosa di assai grande importanza e gravità, volle che venisse dalle mani del suo eterno Padre. Ciò in quanto, pur essendo essi una stessa cosa e sapendo che quanto egli avesse fatto in terra Dio l’avrebbe confermato in cielo e l’avrebbe ritenuto valido, perché entrambi hanno una sola volontà, l’umiltà del buon Gesù era così grande che volle quasi chiedergliene il permesso, sicuro del suo amore e del suo compiacimento. Sapeva bene che in questa supplica gli chiedeva più di tutto quanto gli avesse già chiesto, conoscendo la morte che gli avrebbero dato e i disonori e gli oltraggi che avrebbe patito.

2. Oh, Signore, qual è il padre che dopo averci dato suo figlio, e un tal figlio, così perfetto, potrebbe consentire che restasse ogni giorno fra noi a patire? Certamente nessuno, Signore, fuorché il vostro: voi sapevate bene a chi rivolgevate la vostra preghiera. Oh, mio Dio, che grande amore quello del Figlio e che grande amore quello del Padre! Ancora non mi meraviglio tanto del buon Gesù, perché avendo ormai detto fiat voluntas tua, doveva adempiere tale volontà da par suo. Egli non è certo come noi! E sapendo che la adempiva amandoci come se stesso, cercava di farlo con maggior perfezione, anche a prezzo del suo sacrificio. Ma voi, eterno Padre, come avete potuto consentirlo? Perché volete ogni giorno vostro Figlio in mani così indegne? Per una volta che l’avete permesso, acconsentendo alla sua richiesta, avete ben visto come lo trattarono. Come può la vostra pietà sopportare di vederlo ogni giorno, immancabilmente, fatto oggetto di offese? E quante credo che oggi se ne facciano a questo santissimo Sacramento! In quante mani nemiche il Padre è costretto a vederlo! Quante irriverenze da parte di questi eretici!

 

CAPITOLO 59 (33)


Prosegue con una esclamazione al Padre.

 

1. Oh, Signore eterno! Come potete accettare tale richiesta? Come potete acconsentirvi? Non badate al suo amore, perché egli, pur di adempiere scrupolosamente la vostra volontà e di operare per il nostro bene, si lascerà fare a pezzi ogni giorno. Spetta a voi prendervene cura, mio Signore, visto che vostro Figlio non conosce ostacoli, in quanto ogni nostro bene dev’essere a sue spese. Perché sopporta tutto in silenzio e non sa parlare per sé, ma solo in nostro favore? Possibile che non ci sia nessuno che prenda le difese di questo Agnello tanto mansueto? Mi ha colpito come solo in questa richiesta ripeta le stesse parole, perché anzitutto prega e implora che ci venga dato questo pane ogni giorno e torna poi a dire: Daccelo oggi, Signore. Ci mette, inoltre davanti il fatto che questo pane è «nostro», come se volesse dire che è giusto non toglierci più questa grazia. Avendocela data una volta per la nostra salvezza, ce la conserva per sempre. Tale pensiero, sorelle mie, vi riempia il cuore di tenerezza e lo infiammi d’amore per il vostro Sposo. Non c’è schiavo che riconosca volentieri di esserlo, mentre il buon Gesù sembra che ne sia onorato.

2. Oh, eterno Padre! Quanto è grande il merito dell’umiltà! Con quale tesoro abbiamo comprato vostro Figlio? Per venderlo, ben sappiamo che sono bastati trenta denari, ma per comprarlo c’è prezzo che basti? Qui il Signore si fa tutt’uno con noi in quanto è partecipe della nostra natura, ma, in quanto padrone della sua volontà, fa presente a suo Padre che, poiché essa gli appartiene, ce la può dare, e per questo dice: il «nostro pane». Non fa differenza tra lui e noi, ma la facciamo noi per il fatto di non donarci a lui ogni giorno.

 

CAPITOLO 60 (34)


Spiega il significato del termine quotidianum.

 

1. Ormai è certo che il buon Gesù, dicendo che il pane è «nostro» - e invitandoci a chiederlo «ogni giorno» - intenda farcelo avere per sempre. Scrivendo questo nacque in me il desiderio di sapere perché il Signore, dopo aver detto «ogni giorno», aggiungesse «daccelo oggi». Voglio ora riferirvi un mio sciocco pensiero e, se è tale, rimanga così – è già troppo che io mi intrometta in simili cose – ma poiché ci avviamo a comprendere ciò che chiediamo, dobbiamo pensarci bene per – come ho detto – renderci conto di ciò che significa e ringraziare colui che con tanta premura ce lo va insegnando. Così, mi sembra che il Signore, con «ogni giorno», credo, abbia voluto significare che lo possediamo qui, sulla terra, perché è rimasto qui e noi lo abbiamo accolto, e che lo possederemo anche in cielo, se sapremo trarre profitto dalla sua compagnia. Egli infatti non rimane con noi per alcun altro motivo che non sia quello di aiutarci, incoraggiarci e sostenerci affinché si compia in noi questa volontà di cui abbiamo parlato.

2. Con «oggi», mi sembra che abbia voluto indicare «per un giorno», cioè finché durerà questa vita. Ed è proprio un giorno! E lo dice anche per gli sventurati che si dannano, i quali non lo godranno nell’altra vita, per dare loro la possibilità di approfittarne come di cosa propria, e per stare con loro nell’«oggi», perché si impegnino in questa vita. Non è certo colpa sua se si lasciano vincere. E, affinché il Padre glielo conceda, pone loro davanti il fatto che, trattandosi di più di un giorno che dura questo mondo, glielo lasci passare nella schiavitù. Giacché egli ce lo concede, non deve sembrare che gli tolga il tempo migliore. I maltrattamenti dureranno un giorno solo per coloro che si accostano indegnamente a lui. Per il fatto di aver offerto per noi una cosa tanto grande, come quella di includere la nostra volontà nella sua, egli è ora obbligato ad aiutarci con tutti i mezzi possibili. Egli ripete questa richiesta solo per «oggi», perché ci aveva già dato per sempre questo pane sacratissimo. Certo, noi l’abbiamo ed egli ce lo ha dato senza chiederlo. Abbiamo questo alimento e questa manna dell’Umanità del Cristo, che possiamo trovare quando vogliamo; e se non è per colpa nostra, non moriremo di fame. Difatti, fra tutti i mezzi di cui l’anima vorrà usufruire per alimentarsi, solo nel santissimo Sacramento troverà piacere, consolazione e alimento. Non ci sono privazioni né sofferenze né persecuzioni che non sia facile superare partendo da [questo sostentamento] e ruminandolo, e facendolo oggetto della nostra considerazione. Non vorrei nemmeno che vi venga in mente l’altro pane che sostiene le nostre necessità corporali, del quale il Signore, come penso, non si è ricordato. Qui [la persona che prega] è immersa in una sublime contemplazione e, giunta a questo punto, non ricorda più di essere nel mondo né tantomeno che bisogna mangiare. Come mai il Signore avrebbe potuto chiedere che mangiamo per lui ed egli per noi? Io non penso a questo. Qui il Signore ci sta insegnando a desiderare le cose del cielo, chiedendo di poter cominciare a gustarle già quaggiù. Perché avremmo dovuto chiedere una cosa così pedestre come quella di chiedere di mangiare? Quasi non ci conoscesse e non sapesse che una volta presi nelle necessità del corpo finiamo per dimenticare quelle dell’anima. Sì, siamo gente così misurata da contentarci di poco e da chiedere poco! Invece, quanto più ci dà, tanto più sembra che ci manchi l’essenziale.

3. Lasciate, figlie mie, che tutto ciò lo chiedano coloro che vogliono più del necessario. Chiedete [al Padre] che vi lasci «oggi» il vostro Sposo, e che non dobbiate vedervi senza di lui in questo mondo, finché vivrete; che basti a temperare una gioia così grande il fatto di vederlo trasfigurato sotto le apparenze del pane e del vino, il che è un gran tormento per chi non ha altro da amare né altra consolazione. Supplicatelo che almeno non vi manchi mai e vi disponga a riceverlo degnamente.

4. Di altro pane non si devono preoccupare quelle tra voi che si siano abbandonate completamente alla volontà di Dio; voglio dire: non dovete darvene pensiero quando siete in orazione, e attendete a cose ben più importanti, perché ci sono altri momenti nei quali chi ha il compito di occuparsi di provvedervi da mangiare, dico di darvi ciò che avrà. Non abbiate paura che il cibo vi manchi se voi non mancate alla promessa di non venir meno nel fare la volontà di Dio. Figlie, vi assicuro, se anche io dovessi ora mancare per malizia – come purtroppo ho fatto tante altre volte – non supplicherei il Signore di darmi questo pane né altra cosa da mangiare: preferirei mi lasciasse morire di fame. Perché desiderare la vita se essa mi porta tutti i giorni a meritare maggiormente la morte eterna?

 

CAPITOLO 61 (34)


Prosegue sullo stesso argomento. Introduce un paragone. È cosa molto buona raccogliersi dopo aver ricevuto il santissimo Sacramento.

 

1. Se davvero vi donate a Dio, come dite, cercate di dimenticare voi stesse ed egli avrà cura di voi e vi penserà sempre. È come quando è entrato un servo in una casa e, adoperandosi a contentare in tutto il suo padrone, questi è obbligato a dargli da mangiare finché l’altro starà lì al suo servizio, a meno che sia tanto povero da non avere nulla né per sé né per il domestico. Ma qui non si tratta di questo, perché il padrone è e sarà sempre ricco e potente. Non sarebbe, quindi, ben fatto che il servo andasse ogni giorno a chiedergli da mangiare, sapendo che il suo padrone ha e avrà sempre cura di darglielo. Sarebbero parole buttate via, e [il padrone] dovrebbe dirgli di preoccuparsi di servirlo, perché, occupandosi di cose che non gli competono non farà nulla di buono.

2. Pertanto, sorelle, si preoccupi, chi vuole, di chiedere questo pane; noi chiediamo all’[eterno] Padre di darci la grazia di meritare di ricevere un dono così grande e un cibo così celestiale in modo  che, non potendo gli occhi del corpo dilettarsi di contemplarlo, nascosto com’è, si riveli a quelli dell’anima e le si dia a conoscere; è questo ben altro nutrimento, fatto di gioie e diletti. Per sostentare la vita, molte volte verremo a formulare i nostri desideri e le nostre richieste, anche senza rendercene conto. Non è necessario stimolarci in ciò. La nostra naturale inclinazione alle cose della terra ci spingerà – come dico – molte più volte di quanto vogliamo, ma cerchiamo di non fermare su questo la nostra attenzione, supplicando invece dal Signore quello di cui ho parlato prima. Possedendolo, avremo tutto.

3. Potete forse pensare che questo santissimo Sacramento non sia un sostentamento anche per il corpo e una medicina perfino per i mali fisici? Io so che lo è, e conosco una persona soggetta a gravi malattie che, soffrendo spesso di atroci dolori, se li sentiva togliere come con la mano, rimanendo completamente guarita. Ciò le accadeva assai di frequente, e si trattava di sofferenze così evidenti che, a mio giudizio, non si potevano simulare. Inoltre, [il santissimo Sacramento] produceva in quell’anima molti altri effetti che non sto ad enumerare. Ero in grado di conoscerli e so che non sono menzogne. Ma aveva una devozione ed una fede così viva che, in alcune feste, quando udiva dire da alcuni che avrebbero voluto vivere al tempo in cui Cristo era in questo mondo, rideva dentro di sé, sembrandole che, se lo si possedeva nel santissimo Sacramento così realmente come allora, null’altro dovesse loro importare.

4. So inoltre di questa persona che per molti anni, anche se non era molto perfetta, quando prendeva la comunione, né più né meno che se avesse visto con gli occhi del corpo entrare il Signore nella dimora della sua anima, si adoperava a ravvivare la fede, per riuscire, credendo veramente che il Signore entrasse nella sua povera dimora, a distaccarsi, come le era possibile, da tutte le cose esteriori. Cercava di raccogliere i suoi sensi ritirandosi in un cantuccio per stare sola con il suo Signore. Si considerava ai suoi piedi e stava lì parlando con lui, anche senza provare devozione.

5. Se infatti non vogliamo essere ciechi e sciocchi e, se abbiamo la fede, è chiaro che egli si trova dentro di noi. E, allora, perché andare a cercarlo più lontano – come si diceva prima –, quando  sappiamo che il nostro buon Gesù sta in noi, finché il calore naturale non abbia consumato gli accidenti del pane? E se, quando era nel mondo, il solo tocco delle sue vesti sanava gli infermi, come si può dubitare, avendo fede, che non farà miracoli così intimamente unito a me, e non mi darà quanto gli chiederò, trovandosi in casa mia?

6. Se vi affligge non vederlo con gli occhi del corpo, pensate che ciò non è opportuno: è ben altra cosa vederlo glorificato che vederlo com’era nel mondo; a causa della nostra naturale debolezza, non ci sarebbe nessuno capace di sopportarne la vista, né ci sarebbe più il mondo, né chi volesse viverci, perché, contemplando questa eterna verità, risulterebbero burla e menzogna tutte le cose a cui quaggiù diamo importanza.

7. Quand’anche non lo si veda con gli occhi del corpo, per questo non aver paura che egli rimanga nascosto ai suoi amici. State volentieri con lui. Il buon Gesù gradisce che gli teniate compagnia e questi sono i momenti più fruttuosi per l’anima; procurate di non perderla. Se l’obbedienza vi impone di far altro, cercate di mantenere l’anima accanto al Signore. Egli è il vostro Maestro e non cesserà di istruirvi, anche se non ve ne accorgete. Se invece portate il pensiero su altre cose e non fate caso a lui che sta dentro di voi, come se non l’aveste ricevuto, non lamentatevi di lui ma di voi stesse. Non dico di non recitare qualche preghiera vocale – perché non voglio che mi rimproveriate e mi dite che parlo di contemplazione, anche se il Signore non vi eleva ad essa – ma dico che, se recitate il Pater noster, comprenderete veramente di stare in compagnia con chi ve l’ha insegnato, motivo per cui dovete baciargli i piedi e chiedere il suo aiuto nel domandare, supplicandolo di non andar via da noi.

8. Se doveste fare tali richieste davanti a un’immagine di Cristo, mi sembrerebbe una stoltezza lasciare Cristo in persona per contemplare il ritratto. Non sarebbe, forse, così se avessimo il ritratto di una persona che amiamo molto e, venendo ella a farci visita, noi lasciassimo di parlare con lei e svolgessimo tutta la nostra conversazione con il suo ritratto? Sapete quando è santo e utile, invece, e quando a me è causa di gioia? Quando è assente la stessa persona, è una grande gioia vedere un’immagine di nostra Signora o di qualche santo di cui siamo devote – e quanto più l’immagine di Cristo. È una cosa che ci tocca fino in fondo, una presenza che vorrei guardare da qualunque parte volgessi gli occhi. In che cosa, infatti, di meglio e di più dilettevole possiamo impiegare lo sguardo? Infelici gli eretici che hanno perduto questa consolazione, insieme a molte altre!

9. Appena dunque avete ricevuto nell’ostia il Signore, poiché vi trovate in presenza della sua persona, cercate di chiudere gli occhi del corpo e di aprire quelli dell’anima: fissateli in fondo al vostro cuore. Vi dico, torno a ripetervi, e vorrei dirvelo molte volte ancora che, se prendete l’abitudine di stare con lui (e questo non un giorno o due, ma ogni volta che ricevete la comunione) e se cercate di avere la coscienza talmente pura da poter godere con frequenza di questo Bene, egli non si presenterà mai così trasfigurato che non ci sia possibilità di riconoscerlo, in proporzione del desiderio che abbiamo di vederlo. Potrete anche desiderarlo con un ardore tale da spingerlo a manifestarsi completamente.

10. Ma se quando lo ricevete, non vi curate di lui, pur essendo così vicini, e andate a cercarlo da altre parti e correte dietro alle cose della terra, cosa deve fare? Deve forse trascinarci per forza perché lo guardiate, gli stiate accanto, a rendervi conto che vuole rivelarsi a voi? No, certo, perché non fu trattato bene quando si fece vedere da tutti dicendo chiaramente chi era, e ben pochi furono a credergli. Pertanto, usa a noi tutti una grande misericordia nel volere che ci rendiamo conto della sua presenza nel santissimo Sacramento. Ma farsi vedere apertamente, comunicare le sue grandezze e distribuire i suoi tesori, non vuol concederlo se non a coloro di cui scorge l’ardente desiderio che hanno di lui, perché questi sono i suoi veri amici. E io vi dico che chiunque lo offenda e non giunga a far tutto quello che può per riceverlo come tale, si risparmi d’importunarlo perché gli si dia a conoscere. Ha appena adempiuto al precetto della Chiesa, che torna a casa sua e fa in modo di cacciarlo da essa. Infatti, costui, se rientra in sé, è solo per pensare alle vanità del mondo in presenza di lui.

 

CAPITOLO 62 (35)


Parla del raccoglimento in cui si deve rimanere dopo aver fatto la comunione.

 

1. Mi sono assai dilungata su questo argomento, anche se già avevo parlato circa l’orazione di raccoglimento, essendo cosa assai importante ritrovarci sole con Dio. Anche quando non riceverete la comunione, ascoltando la Messa, potete comunicarvi spiritualmente e raccogliervi poi nel vostro intimo, il che è di grandissimo profitto; così, infatti, s’imprime nel cuore un profondo amore di nostro Signore. Dal momento in cui ci prepariamo a riceverlo, egli non cessa mai di farci doni in molti modi che ci sono ignoti. È come avvicinarci al fuoco che, sia pur molto grande, se nascondete le mani, non riuscirà a riscaldarvi molto e rimarrete sempre con il freddo, anche se vi darà sempre più caldo che non se foste dove esso manca, perché, stando un po’ vicino, il calore vi raggiunge. Ben diverso è volersi accostare al Signore, perché se l’anima è ben disposta, basta una scintilla che salti dal fuoco per trasformare tutto. Abbiamo veramente bisogno, figlie, di disporci a questo. Perciò non vi meravigliate se ve lo ripeto molte volte.

2. Se all’inizio non vi si scoprisse e non vi trovaste bene – perché il demonio, conoscendo il gran danno che gliene viene, vi darà strette e angosce di cuore, facendovi credere che troverete più devozione in altre pratiche che non in questa –, non abbandonate tale metodo: in esso il Signore metterà a prova l’amore che gli portate. Ricordatevi che vi sono poche anime che l’accompagnano e lo seguono nei patimenti; soffriamo qualcosa per lui e Sua Maestà ce lo pagherà. Ricordate anche che vi saranno perfino anime le quali non solo non vogliono stare con lui, ma lo cacciano con irriverenza, scortesemente da sé. Dobbiamo dunque soffrire un po’ per dimostrargli il desiderio che abbiamo di vederlo. E poiché egli soffre e soffrirà sempre tutti gli atteggiamenti scortesi che gli fanno lasciandolo solo, pur di trovare una sola anima che lo accolga e lo trattenga in sé con amore, fate che sia la vostra! Se infatti non ve ne fosse alcuna, a buon diritto l’eterno Padre non gli permetterebbe di restare con noi. Ma egli è così amico dei suoi amici e così buon padrone dei suoi servi che, vedendo il desiderio del suo buon Figlio, non lo distoglierà mai da un’opera così divina, nella quale dimostra con tanta perfezione l’amore che nutre per suo Padre, nell’aver cercato questa straordinaria invenzione, per mostrare quanto ci ami e per aiutarci a sopportare le nostre sofferenze.

3. Allora, Padre santo che siete nei cieli, poiché lo volete e l’accettate, essendo chiaro che non potete rifiutarvi di concedere un favore di così gran profitto per noi, ci dev’essere qualcuno – come ho detto all’inizio – che prende le difese di vostro Figlio, perché egli non le ha mai prese in suo favore. Vi prego, figlie di aiutarmi a chiedere al nostro Padre santo – a nome suo –, giacché egli non ha fatto nessun’altra cosa così grande come l’aver lasciato ai peccatori  un beneficio meraviglioso [come l’Eucaristia]. Aiutatemi a supplicare Sua Maestà, a non permettere che venga oltraggiato, ponendovi rimedio. E poiché il suo santo Figlio ce ne ha fornito uno così incomparabile che ci permette di offrirgli lui stesso in sacrificio di continuo, valga tale dono prezioso ad arrestare il corso di tanti gravi mali e irriverenze come son quelli che si commettono nei luoghi ove sta questo santissimo Sacramento, dando l’impressione che si voglia tornare a cacciarlo dal mondo. Addirittura, tra i cristiani si distruggono i templi, si perdono tanti sacerdoti, le chiese vengono profanate e, spesso, i cristiani vanno in chiesa più con l’intenzione di offenderlo che di adorarlo.

4. Che è mai questo, mio Signore e mio Dio! O date fine al mondo o ponete rimedio a tanti terribili mali! Non c’è cuore, infatti, che lo sopporti, neanche i nostri, pur essendo noi tanto miserabili. Vi supplico, eterno Padre, di non sopportarlo voi oltre; arrestate questo fuoco, Signore. Considerate che vostro Figlio è ancora nel mondo; per rispetto a lui cessino tante cattiverie, orrori e sozzure: la sua bellezza e la sua purezza non meritano che egli stia dove sono così cattivi odori. Non fatelo per noi, Signore, che non lo meritiamo; fatelo per vostro Figlio. Quanto a supplicarvi che egli non resti quaggiù, non osiamo chiedervelo. Egli stesso infatti ha ottenuto da voi di stare qui questo «giorno d’oggi» - che è quello che durerà tutto il tempo che esiste il mondo – e se venisse a mancare in mezzo a noi tutto finirebbe. Se, infatti, c’è qualcosa con cui potervi placare è l’aver fra noi tale pegno. Ma ci dev’essere, mio Signore, qualche rimedio a tutto questo. Vostra Maestà vi faccia ricorso, perché quello che volete, potete.

5. Oh, mio Dio! Potessi io importunarvi insistentemente e avervi reso molti servigi per chiedervi la grazia in ricompensa di essi, visto che non ne lasciate alcuno senza retribuzione. Ma non l’ho fatto, Signore, anzi forse proprio io ho provocato la vostra collera a causa dei miei peccati, da attirare tanti mali. Allora che altro posso fare se non presentarvi questo Pane sacratissimo e, anche se ce l’avete dato, tornare a darvelo e supplicarvi, per i meriti di vostro Figlio, che mi facciate questa grazia ch’egli ha meritato in tanti modi? Oh, sì, Signore, fate che questo mare si calmi, che non proceda sempre in così gran tempesta la nave della Chiesa, e salvateci, Signore, perché siamo sul punto di perire.

 

CAPITOLO 63 (36)


Tratta di queste parole del Pater noster: Dimitte nobis debita nostra.

 

1. Il nostro buon Maestro vedendo, dunque, che con questo nutrimento tutto ci è facile, purché non siamo noi a mancare, e che possiamo adempiere assai bene ciò che abbiamo detto al Padre circa il compimento in noi della sua volontà, lo prega ora di perdonarci i nostri debiti, perché noi perdoniamo a nostra volta. Perdonaci, Signore, i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori.

2. Considerate, sorelle, che non dice: «come perdoneremo», ma «come perdoniamo», per farvi capire che chi chiede un dono così grande come il precedente e chi ha ormai rimesso la sua volontà in quella di Dio, deve aver già fatto questo. Chi avrà, pertanto, detto di tutto cuore al Signore: Fiat voluntas tua, deve aver già perdonato tutto, o almeno deve esserselo proposto. Considerate quindi, sorelle, perché i santi godevano di patire offese e persecuzioni: per aver qualcosa da offrire al Signore quando lo pregavano. Ma che farà mai una misera creatura come me, alla quale c’è tanto da perdonare? Questa è una verità, sorelle, su cui dobbiamo molto riflettere. Una grazia così grande e tanto importante, come il perdono da parte di nostro Signore dei nostri peccati meritevoli del fuoco eterno, ci è concessa in cambio di una cosa di così poco prezzo com’è quella di perdonare anche noi cose che non sono oltraggi o cose da nulla. Infatti, a una come me che cosa si può dire se non ingiurie, perché merita di essere sempre maltrattata dai demoni? Se essi mi trattano male in questo mondo, non è forse cosa giusta? Infine, mio Signore, in questo non ho proprio nulla da offrirvi per ricevere il perdono dei peccati. Mi perdoni vostro Figlio, perché nessuno mi ha fatto ingiustizie e, così, non devo perdonare nemmeno per voi. Però, Signore, accettate il mio desiderio: mi sembra di essere pronta a perdonare qualsiasi cosa, purché voi perdonaste a me ed io riuscissi a fare incondizionatamente la vostra volontà. Non so, però, cosa farei, in pratica, se fossi condannata senza colpa. Per il momento, mi vedo così colpevole ai vostri occhi che tutti [gli accusatori] rimangano lontani dalla verità e, non sapendo quella che sono, come lo sapete voi, credano di offendermi. Perciò, Padre mio, dovete perdonarmi gratuitamente! Questa è una bella occasione per l’attuazione della vostra misericordia. Siate benedetto perché mi sopportate, misera qual sono, accogliendo la preghiera che il vostro sacratissimo Figlio fa in nome di tutti, ma in cui io non dovrei esser compresa per il fatto d’esser io quella che sono.

3. Ma, mio Signore, non ci saranno altre persone che mi rassomiglino e non abbiano inteso, come me, questa verità? Se ci sono, io le prego, in vostro nome, di pensarci e di non dare importanza a certe piccole offese: far caso a questi punti d’onore è come quando i bambini vogliono costruire casette con le pagliuzze. Oh, mio Dio, sorelle, se riuscissimo a capire che cos’è il vero onore e in cosa consista il perderlo! Con questo io non mi riferisco a voi, che commettereste un gran male se ancora non lo aveste compreso, ma parlo di me nel tempo in cui facevo caso dell’onore, senza sapere che cosa fosse. Seguivo l’opinione comune per ciò che sentivo dire. Oh, di quante cose mi sentivo offesa, al punto da vergognarmene! E pensare che non ero di quelle che badavano particolarmente a questi punti d’onore; ma non andavo al nocciolo della questione, perché non consideravo né davo importanza all’onore in cui è implicito un profitto, cioè quello che è utile all’anima. Come ha detto bene colui che ha affermato che onore e profitto non possono stare insieme! Io non so se lo ha detto a questo proposito, ma è esattamente così, perché il profitto dell’anima e quello che il mondo chiama onore non possono mai andare d’accordo. Oh Signore, come il mondo va alla rovescia. Sia benedetto il Signore, per averci tirato fuori da esso! Voglia Sua Maestà che simili cose siano sempre lontane da questa casa, come lo sono ora! Dio ci liberi dai monasteri in cui si cercano punti di onore! In essi non si onora mai molto il Signore.

 

CAPITOLO 64 (36)


Biasima gli esagerati desideri di onore.

 

1. Santo cielo, che sciocchezza è questa! Addirittura i religiosi pongono il punto di onore in sciocchezze tanto che io me ne spavento. Questo non lo sapete, sorelle, ma io voglio parlarvene affinché vi guardiate da una cosa simile. Voi sapete che anche nei monasteri si stabiliscono leggi d’onore, in base alle quali si sale o si scende di dignità, come nel mondo. I dotti devono regolarsi secondo il grado del loro sapere – benché io non sappia nulla di ciò – e, per esempio, colui che è giunto ad essere un professore di teologia non deve abbassarsi a insegnare filosofia, perché il punto d’onore vuole che si salga e non che si scenda. Se anche glielo imponesse l’obbedienza, la prenderebbe come un’offesa e troverebbe chi condivide il suo parere, ritenendolo un affronto. Il demonio, intanto, trova motivi in base ai quali sembra che abbia ragione anche secondo la legge di Dio. Fra noi monache, poi, quella che è stata priora, non è più utile per un altro ufficio che non sia quello. C’è il punto d’onore dell’anzianità, e non vi è timore che venga dimenticato: anzi ci facciamo un merito nell’averlo presente, perché l’Ordine ce lo impone.

2. È proprio ridicolo, c’è proprio da ridere o forse, meglio, da piangere, e a ragione! Sì, la Regola non c’impone di non avere umiltà, ma di rispettare la gerarchia! Ma io non debbo essere così esigente dei riguardi dovutimi da preoccuparmi tanto di questo punto della Regola come di altri, che forse osservo in modo imperfetto, occupata come sono da questo punto, altre ci baderanno per me,ed io posso sentirmi disobbligata. Resta, però, sempre il fatto che, essendo inclini a salire – anche se per questa strada non saliremo al cielo – non accettiamo di scendere. Oh, Signore, Signore! Non siete voi il nostro modello e il nostro Maestro? Sicuramente sì. Ebbene, in cosa avete posto il vostro onore, voi che siete il mio Re? Forse che l’avete perduto, umiliandovi fino alla morte? No, Signore, non l’avete perduto, ma l’avete guadagnato per tutti.

3. Oh, per amor di Dio, guardiamoci dal perdere la strada perché si sbaglia fin dal principio! E piaccia a Dio che non si perda nessun’anima per osservare questi miserabili punti d’onore, senza comprendere in cosa consista il vero onore! Per giunta, arriveremo a pensare di aver fatto molto perdonando una miseria di tal genere, che non era offesa, né ingiuria, né niente, e come se avessimo fatto qualcosa, andremo a chiedere perdono al Signore perché abbiamo perdonato. Fateci capire, Dio mio, che non comprendiamo nulla, che ci presentiamo davanti a voi con le mani vuote, come me. Fatelo, Signore, per la vostra misericordia, e per quello che siete. In verità, Signore, non vedo, infatti, nulla (poiché tutte le cose hanno una fine quaggiù, mentre il castigo è eterno) che meriti di esservi presentato allo scopo di ottenere da voi una grazia così grande, se non è per colui che ve la chiede, il quale ha tutte le ragioni, egli che è sempre l’ingiuriato e l’offeso.

4. Ma quanto dev’essere stimato questo reciproco amore dal Signore! Avendogli consegnato una volta la nostra volontà, gli abbiamo dato davvero tutto e ciò non si può fare senza amore. State attente, sorelle, a quanta importanza abbia per noi il volerci bene e rimanere in pace. Tra le molte cose che gli avevamo dato – e che egli ha dato in nome nostro a suo Padre – il Signore ha posto soltanto questa. Avrebbe potuto dire: «perché ti amiamo e sopportiamo sofferenze e vogliamo sopportarle ancora per te», oppure: «perché digiuniamo e facciamo opere buone», come quelle che fa un’anima che ama e che «gli ha consegnato la sua volontà», e invece ha detto soltanto questa. Forse, siccome sa che siamo attaccate a questo falso punto d’onore, incapaci di sopportare qualcosa per lui, sa che è difficile per noi conseguire questo, egli ha voluto sottolinearlo più di qualsiasi altra cosa; essa è infatti così difficile che, dopo aver chiesto tante cose grandi per noi, egli la offre da parte nostra.

 

CAPITOLO 65 (36-37)


Parla degli effetti prodotti dall’orazione perfetta.

 

1. Considerate inoltre, bene, sorelle, l’espressione «come noi perdoniamo»: cioè ne parla – ripeto – come di cosa già fatta. E fate molta attenzione a ciò: se dalla grazia che Dio concede all’anima nell’orazione, della quale ho parlato prima, e nella contemplazione perfetta, essa non trae la ferma determinazione, e non sia pronta, all’occorrenza, a mantenerla, di perdonare qualunque offesa, per grave che sia,  c’è poco da fidarsi della sua orazione. Non parlo di quelle altre quisquiglie. Tali offese non toccano l’anima che Dio avvicina a sé in così elevata orazione, che tanto le fa l’essere stimata o disprezzata, e anzi sente in maniera più penosa l’onore che il disonore.

2. Potete credere dunque che se l’anima non ne esce con questi effetti, i favori non li riceve da Dio ma le vengono dal demonio: cioè si tratta di qualche illusione o dono che vi dà l’impressione di essere buono per indurvi a ritenervi più onorati. Ma, il buon Gesù sa bene che, dove egli si avvicina, lascia questi effetti, e dice con determinazione al Padre che «perdoniamo ai nostri debitori».

3. Si resta davvero estasiati nel costatare la sublime perfezione di questa preghiera evangelica [del Pater noster], che reca l’impronta del Maestro che ce la insegna; pertanto, ognuna di noi, figlie mie, può servirsene a seconda delle sue necessità. Oggi mi sono meravigliata nel vedere che in così poche parole sono racchiuse tutta la contemplazione e tutta la perfezione, al punto che sembra non ci sia bisogno di studiare altro libro all’infuori di questo. Il Signore, infatti, fin qui ci ha insegnato tutti i gradi dell’alta contemplazione, dalla preghiera dei principianti all’orazione mentale, a quella più elevate e perfetta e della contemplazione. Se non ne avessi parlato altrove e se non rischiassi di dilungarmi, il che sarebbe noioso, potrei comporre un gran libro di orazione, basandomi su così saldo fondamento. Ora, il Signore già comincia a farci comprendere gli effetti dell’orazione e della contemplazione, quando sono di Dio.

4. A volte, mi sono chiesta perché Sua Maestà non si sia spiegato più chiaramente circa cose tanto elevate, in modo che le capissimo. Mi è sembrato che, siccome quest’orazione era destinata a tutti in generale, il suo intento, nel lasciarla un po’ confusa, è stato che ciascuno potesse pregare secondi i suoi bisogni particolari e trovare nella preghiera motivo di consolazione, persuaso di interpretarla bene. Sia benedetto il suo nome in eterno, amen. E in questo nome supplico il Padre eterno di perdonare i miei debiti e i miei grandi peccati – visto che io non ho mai avuto da perdonare nulla a nessuno, ma ogni giorno c’è qualcosa da farmi perdonare – e mi dia la grazia di avere anch’io qualche volta qualcosa da perdonare per poter chiedere.

5. Il buon Gesù, avendoci insegnato un modo di fare orazione così sublime, ha chiesto al Padre per noi di essere angeli in questo esilio. Dobbiamo impegnarci, perciò, con tutte le nostre forze, affinché le nostre parole trovino risposta nelle nostre opere, perché in qualche modo si veda che siamo figli di un tale Padre e fratelli di un tale Fratello. Allora, sapendo Sua Maestà che facciamo ciò che diciamo – ripeto – non mancherà di esaudirci su ciò che chiediamo e ci introdurrà nel suo regno, aiutandoci con doni soprannaturali. Questi sono l’orazione di quiete e la contemplazione perfetta e tutti i favori divini con i quali il Signore ricompensa le nostre fatiche e i nostri fervori, giacché tutto ciò che possiamo procurarci e conseguire da parte nostra è ben poca cosa. Ma, siccome è il massimo che possiamo fare, è certo che il Signore ci aiuterà, perché suo Figlio lo chiede per noi. Sembra che egli abbia stabilito con suo Padre una specie di accordo in nostro nome, quando dice: «Padre mio, fa’ questo, e i miei fratelli faranno quest’altro». E si può essere certi che, da parte sua, non mancherà mai. Oh, egli è un ottimo retributore e paga sempre senza togliere nulla!

6. Vi potrà anche accadere, figlie, un giorno di recitare questa preghiera in modo tale ch’egli, vedendo l’assenza in voi di infingimenti e il fermo proposito di fare quanto dite, vi arricchirà d’un colpo dei suoi doni. Non andate a lui con doppiezza: egli ama molto chi non ha infingimenti nel trattare con lui; e in ogni caso, non potreste farlo, perché lui conosce tutto; se invece ci avviciniamo a lui con semplicità e con chiarezza, senza dire una cosa con le labbra e averne un’altra in cuore, e quando lo facciamo, ci concede sempre più di quel che gli chiediamo. Il nostro buon Maestro, come ho detto, conosceva tutto questo e sapeva che chi fosse arrivato davvero alla perfezione nel chiedere, sarebbe giunto a un grado molto elevato per le grazie che avrebbe ricevuto dal Padre. Egli sapeva che coloro che sono giunti qui non hanno alcuna paura né obbligo: come si dice, tengono il mondo sotto i piedi. Il Signore del mondo è contento di loro, potendo, essi, invero, nutrire grande speranza che lo sia Sua Maestà per gli effetti da lui operati nelle loro anime. Assorti in quelle grazie, non avrebbero voluto più ricordare che c’è un altro mondo né che ci sono possibili nemici.

7. Oh, Sapienza eterna! Oh, buon Maestro! E che gran cosa è, figlie mie, un maestro saggio e prudente che previene i pericoli! E questo è il più grande bene che un’anima spirituale possa desiderare quaggiù; è camminare con sicurezza. Non saprei trovare parole adeguate per esprimere l’importanza di tale grazia. Il Signore, vedendo, infatti, la necessità di svegliare queste anime, ricorda loro che hanno nemici. E sapendo quanto più pericoloso sarebbe per esse procedere distrattamente, perché hanno molto più bisogno dell’eterno Padre, per impedire che, senza rendersene conto, restino ingannate, gli rivolge queste richieste: E non c’indurre, Signore, in tentazione, ma liberaci dal male.







CAPITOLO 66 (38)


Tratta della grande necessità in cui siamo di supplicare: Et ne nos inducas in tentationem, e spiega alcune tentazioni poste dal demonio.

 

1. Qui abbiamo, sorelle, grandi cose da meditare e da comprendere, poiché ci disponiamo a chiederle. Ovviamente, coloro i quali arrivano a questo grado di orazione non chiedono a Dio di liberarli dai pericoli né dalle tentazioni né dalle persecuzioni né dalle lotte – è questo un altro indizio ben grande ed evidente che questo proviene dallo spirito del Signore e non è frutto di illusione –  anzi desiderano, piuttosto che temere, tali prove, le chiedono e le amano. Somigliano ai soldati che son più contenti quando hanno più occasioni di combattere, nella speranza di uscirne con maggior guadagno. Se infatti tali occasioni mancano, ricevono solo il soldo ordinario, e vedono che non possono arricchirsi molto.

2. Credetemi, sorelle, che i soldati di Cristo, che sono quelli che praticano l’orazione, non vedono l’ora di combattere, né mai temono molto i nemici dichiarati; ormai li conoscono, sanno che, contro la forza che Dio pone in loro, sono impotenti, e che essi usciranno dalla lotta sempre vincitori e con gran bottino e ricchezze; pertanto, non volgono mai loro le spalle. I nemici che temono, ed è giusto che li temano, pregando Dio di esserne liberati, sono certi demoni, cioè quei demoni che assumono l’aspetto di angeli di luce: si presentano sotto altra veste. Fin tanto che non abbiano fatto molto danno all’anima, non si lasciano conoscere, ma ci succhiano a poco a poco il sangue e ci distruggono la vita, così da farci piombare nella tentazione senza che ce ne rendiamo conto. Da tali nemici, figlie mie, quando recitiamo il Pater noster, preghiamo e supplichiamo incessantemente il Signore di liberarci e di non permettere che, vittime di qualche inganno, cadiamo in tentazione ma di far sì che si scopra dove sta il veleno e non si nasconda ai nostri occhi la verità. Oh, come ben a ragione il nostro Maestro c’insegna a chiedere questo, e lo chiede in nostro nome!

3. Considerate, figlie mie, che in questo i nostri nemici possono nuocerci in molti modi; non pensate che il danno sia solo quello di farci credere che le gioie e le grazie simulate in noi vengono da Dio, giacché questo mi sembra, in parte, il minor danno. Anzi, molte volte può darsi che serva a farci camminare più in fretta perché restiamo più ore in orazione.

4. Ma possono arrecare un grave danno a noi e agli altri nel farci credere che possediamo delle virtù che, in realtà, non abbiamo. Ciò è una vera pestilenza, e vi spiego perché. Senza accorgercene, sembrandoci di camminare sicuri, cadiamo in una fossa e non riusciamo più a uscirne. Anche se non si tratta di un affermato peccato mortale che ci porterebbe tutte le volte all’inferno, tuttavia ci taglia le gambe e ci impedisce di avanzare nel cammino di cui ho cominciato a trattare e che non ho per nulla dimenticato. Lo sapete anche voi come va a finire uno che precipita in una fossa profonda: perde la vita, e sarà molto se non sprofonderà fino a cadere nell’inferno. Ad ogni modo, non avanzerà più nel suo cammino e non sarà più di alcun vantaggio né a sé né agli altri, ma solo di danno. Infatti, una volta che si presenta la fossa, molti possono cadere in essa andando per lo stesso cammino. Chi, invece, riesce ad uscirne e a riempirla di terra, non fa danno né a sé né agli altri. Ma, vi dico che questa tentazione è assai pericolosa.

5. Tutto questo lo so molto bene per esperienza e così saprò parlarvene, anche se non riesco così bene come vorrei.

6. Il demonio vi fa pensare che siete povere, e ha un po’ ragione, perché avete promesso la povertà – con le parole della bocca beninteso – e allo stesso modo agisce con altre persone che si dedicano all’orazione. Dico «con le parole della bocca» perché, se avessimo inteso con il cuore ciò che abbiamo promesso e lo promettessimo davvero, sarebbe impossibile che il demonio per vent’anni e per tutta la vita continuasse con questa tentazione. Sì, il momento verrà in cui vedremo che inganniamo il mondo e noi stesse. Orbene, abbiamo promesso la povertà e pensiamo di essere povere. Ma quando diciamo: «non chiedo nulla», «tengo questa cosa perché non posso farne a meno» e «in fin dei conti devo pur vivere per servire Dio» ed «egli vuole che sosteniamo i nostri corpi»: sono mille cose differenti che il demonio ci insegna come se fosse un angelo – per convincerci che tutto questo è buono – e così ci persuade che siamo povere e possediamo questa virtù. Ecco, tutto è fatto.

7. Allora veniamo alla prova. Non si può conoscere tutto questo senza sempre tenerlo d’occhio. Se si sta attenti, presto si avrà qualche segno. Per esempio, uno ha troppe rendite in rapporto alle sue necessità – intendo il vero necessario e non prendere tre servitori quando ne basta uno. Se gli fanno la causa per qualcosa o perché un povero contadino non arriva a pagarlo, la questione gli dà tanta preoccupazione ed egli vi ammette tanta importanza, come se non potesse più vivere. Dirà di fare così: «per non andare in malora per cattiva amministrazione», e questo per sentirsi senza colpa. Non dico di lasciare tutto, ma che lo esiga pure se lo ritiene bene; altrimenti, cosa vuoi fare? Il vero povero attribuisce poca importanza a tali cose, anche se per qualche motivo se le procura. Mai, però, se ne inquieta pensando che non gli verranno a mancare. E se dovessero mancargli, non se ne preoccuperebbe molto considerandolo cosa accessoria e non principale. Siccome ha pensieri più elevati, delle cose terrene si occupa soltanto per necessità.

 

CAPITOLO 67 (39)


Prosegue sullo stesso argomento. Indica atteggiamenti di falsa umiltà suggeriti dal demonio.

 

1. Un religioso o una religiosa – già verificati nell’esserlo o almeno nel dover esserlo – non possiede nulla, a volte perché non ha veramente nulla. Ma, quando qualcuno viene a fargli un regalo, difficilmente gli sembra essere una cosa superflua. Gli piace sempre tenersi qualcosa in riserva, e quando si può tener un abito di panno fine, certamente non si chiede uno di panno grosso. Oppure si gradisce aver qualcosa da impegnare o da vendere – anche se sono soltanto dei libri – perché, se ci si ammala, occorre qualcosa più dell’ordinario. Peccatrice che sono! È questo che avete promesso? Come? Voi avete promesso di non pensare più a voi stesse per lasciare tutto a Dio, qualunque cosa accada, perché, se vi preoccupate così del vostro avvenire, tanto vale avere rendite sicure, senza dovervi distrarre.

2. Anche se ciò si può fare senza peccato, è bene per noi renderci conto di tali imperfezioni e vedere che ci manca ancora molto per arrivare a questa virtù. Chiediamola a Dio e cerchiamo di praticarla, perché pensando di possederla già, non la pratichiamo e ci illudiamo, e ciò è ancora peggio.

3. Così ci capita anche per l’umiltà. Ci sembra di non cercare onore e che non ci importi nulla di nulla. Ma appena capita un’occasione di toccarvi su questo punto, subito si nota da ciò che sentite e fate, che non siete umili. Anche se avviene qualcosa per aumentare il vostro onore, non lo rifiutate – similmente ai poveri di cui abbiamo parlato – per aver maggior profitto. Voglia Dio che non lo cerchino intenzionalmente! Con la bocca affermano «che non vogliono nulla, che non si dia loro nulla di nulla», e lo pensano anche davvero!

4. Anzi, l’abitudine di dirlo fa che lo credano sempre di più. Come ho detto, quando stiamo attenti, si nota subito se è una tentazione, sia in ciò di cui ho parlato sopra, sia in tutte le altre virtù. Infatti, quando si ha una solida virtù di queste, sembra che essa trascini dietro tutte le altre. È da tutti risaputo.

5. Guardatevi, figlie, da certe umiltà ispirate dal demonio che destano grande inquietudine per la gravità dei peccati passati. [Sembra dirci] «Forse non merito di accostarmi al Sacramento», «forse non mi sono preparata bene», «forse non sono degna di vivere tra i buoni» e cose di questo genere che vengono con tranquillità, con soddisfazione e piacere, come conseguenza della conoscenza di se stessi. Sono anche da valutare in senso buono, ma s procurano eccitazione, inquietudine ed oppressione dell’anima, impedendo la tranquillità del pensiero, credetemi, si tratta di una tentazione, e non ritenetevi umili. L’umiltà non viene da lì.

6. Lo stesso capita nelle penitenze disordinate, quando [il demonio] vuole farvi pensare che siete più penitenti degli altri e che fate davvero qualcosa. Se il vostro confessore o superiore vi dicesse di non fare [simili penitenze] e ciò vi dà pena tanto da tornare a praticarle, è chiaro che si tratta di una tentazione. Così avviene – ripeto – in tutti i campi. Ma, soprattutto, non dimenticate quanto ho detto sopra.

 

CAPITOLO 68 (39)


Continua sullo stesso argomento con alcuni consigli circa le tentazioni.

 

1. A volte, il demonio infonde una certa sicurezza nel credere che «in nessun modo potrei tornare agli errori passati», «ho già capito cos’è il mondo». Questa tentazione, se si verifica al principio, è la peggiore, perché con tale sicurezza non c’importa nulla esporci di nuovo a occasioni, ci cadiamo in pieno, e piaccia a Dio che vi rialziate da questa caduta! Infatti il demonio, se vede che l’anima può nuocergli e giovare alle altre, mette in opera tutte le sue risorse perché non si rialzi.

2. Per quanto riguarda i gusti, se il Signore vi eleva alla contemplazione e ad una particolare esperienza di sé, dandovi pegni d’amore, state attente! Cominciate e finite con la conoscenza di voi stesse, fatelo con timorosa cautela e parlate di tutto con chi vi può comprendere. È proprio qui che il demonio suole assalirvi nei modi più svariati. Molti libri sono pieni di questi consigli, eppure non ci possono dare una completa sicurezza, perché noi stesse non sappiamo capirci.

3. Allora, eterno Padre, non indurci in questa tentazione. Gli attacchi aperti vengano pure, se voi lo permettete; ma tali insidie chi potrà scoprirle, mio Dio? Abbiamo sempre bisogno d’invocare il vostro aiuto. Diteci, Signore, qualche parola affinché non stiamo sempre in ansia. Sapete bene che i più non vanno per questo cammino, e se si deve percorrerlo con tante paure, saranno ancora di meno ad andarci.

4. È una cosa strana, quasi che il demonio non tentasse anche coloro che non seguono il cammino dell’orazione, che tutti si meraviglino maggiormente nel vedere in inganno una sola anima di quelle che sono su questa strada, che non di centomila irretite in cammino verso l’inferno. In verità, [il mondo] ha ragione, essendo talmente pochi quelli che il demonio riesce ad ingannare fra coloro che recitano il Pater noster con questa attenzione, che il fatto desta meraviglia come cosa nuova e insolita. È, infatti, proprio di noi mortali passar sopra a ciò che si vede di continuo e meravigliarci molto di ciò che non è mai avvenuto. E sono gli stessi demoni a suscitare tale meraviglia, indotti dal loro interesse, perché perdono molte anime, per una che pervenga alla perfezione.

5. E dico: la cosa lascia talmente sorpresi che non mi meraviglio dello stupore del mondo. Infatti, se non è per colpa loro, qui le persone sono più al sicuro di coloro che camminano su altra strada, come coloro che partecipano alla corrida stando sul palco, guardando dall’alto il toro, stanno più riparati di quelli che si giostrano davanti alle sue corna. Questo paragone che ho sentito raccontare mi sembra molto appropriato. Non abbiate paura, sorelle, di avanzare su queste vie, di cui ne esistono molte nell’orazione. In verità, come ho già detto, alcuni viaggiano su una, altri su un’altra. È sempre una via sicura. Stando accanto al Signore, voi vi libererete più facilmente della tentazione che non stando lontano. Supplicatelo ed imploratelo, come lo fate tante volte al giorno, recitando il Pater noster.

 

CAPITOLO 69 (40)


Offre alcuni consigli per vincere le tentazioni e i rimedi, come l’amore e il timore di Dio. Qui parla del timore.

 

1. Prendete questo consiglio che non è mio, ma del vostro Maestro: cercate di camminare con amore e timore. Vi assicuro: l’amore vi farà accelerare il passo, il timore vi farà guardare dove mettete i piedi per non cadere. Con queste due virtù sicuramente non sarete mai ingannate.

2. Forse mi chiederete da quali segni potrete accorgervi di possedere queste due grandi virtù. Vi rispondo subito: lo vedono anche i ciechi. Non sono cose che rimangono segrete, anche se non volete accorgervene, parlano con tanta forza da far molto rumore, perché, non essendo molti quelli che le possiedono, balzano agli occhi con più evidenza. Par niente dire: amore e timor di Dio! Sono due castelli fortificati da dove si può far guerra al mondo e ai demoni.

3. Coloro che amano veramente Dio, amano tutto quello che è buono, desiderano tutto quello che è buono, favoriscono tutto quello che è buono, lodano tutto quello che è buono, si uniscono sempre ai buoni, li aiutano e li difendono; abbracciano tutte le virtù, non amano che la verità e ciò ch’è degno d’essere amato. Pensate che sia possibile, per chi ama davvero Dio, amare cose vane? Su di lui non hanno alcun potere le ricchezze, i piaceri del mondo, gli onori, né conosce contese o invidie. Tutto perché non vuole altro se non contentare l’Amato. Muore dal desiderio d’esserne riamato e pertanto fa consistere la sua vita a cercare il modo di riuscirgli più gradito. Potrà mai nascondersi tale amore? È impossibile! Se non siete convinte, guardate san Paolo e la Maddalena: uno, in tre giorni cominciò a dare a vedere d’essere ammalato d’amore; la Maddalena fin dal primo giorno. E com’era evidente il loro amore! È vero che può essere maggiore o minore, e pertanto si rivela in proporzione della sua forza: poco, se è piccola; molto, se è grande.

4. Non è certo piccolo, però, quello di coloro che sono sulla strada della contemplazione perfetta e delle cose elevate, di cui ora più ci occupiamo, essendo essi particolarmente esposti agli inganni e alle illusioni del demonio. Il loro amore è sempre grande e pertanto si manifesta con evidenza e in molti modi. È un grande fuoco che non può non emettere un grande splendore. E se questo manca, devono diffidare molto di sé, reputare che c’è di che temere, cercarne la causa, far orazione e procedere con umiltà, cercando di conoscere la verità, obbedendo al confessore, il Signore è fedele: credete, se non si va con malizia e con sentimenti di superbia, cioè con quelli che il demonio considera mezzi per dare la morte, vi darà la vita. Chi si sottomette all’insegnamento della Chiesa non ha nulla da temere,  per quante insidie e illusioni il demonio voglia tentare, si vedrà ben presto.

5. Se, poi voi sentite quest’amore di Dio di cui ho parlato e il timore di cui ora parlerò, rallegratevi e tranquillizzatevi. Il demonio, per turbarvi l’anima in modo che non goda di così grandi beni, v’ispirerà mille falsi timori e farà sì che altri ve li ispirino. Non potendo, infatti, guadagnarvi a sé, cerca per lo meno di farvi perdere qualcosa e farla perdere a coloro che potrebbero avvantaggiarsi molto dal credere che provengono da Dio le grandi grazie che egli concede a una creatura tanto misera.

 

CAPITOLO 70 (40)


Parla dell’amore di Dio.

 

1. Credete, figlie, che importi poco al demonio ispirare tali paure? No, anzi guadagna molto, perché fa un duplice danno, e ben risaputo: uno, di spaventare le anime, distogliendole dall’orazione, nel timore che possano essere ingannate anch’esse; l’altro, d’impedire che se ne accostino a Dio molte di più. Vedendo che egli, nella sua grande bontà, può comunicarsi perfino a una persona così misera, molti ritengono che farà così anche con loro. Ed hanno ragione. Conosco alcune persone che ne sono uscite con perfezione, avendole il Signore favorite, in poco tempo, di tante grazie.

2. Perciò, sorelle, quando vedrete che c’è qualcuna fra voi in cui è vivo questo amore, lodate e ringraziate il Signore per lei, ma non pensate che per questo sia sicura, anzi aiutatela con molte preghiere, perché nessuno può essere sicuro, finché vive quaggiù ed è in mezzo ai pericoli di questo mare tempestoso. Ma, navigando – come dico – presto si conosce dov’è. Non si può nascondere, quando si ama un ragazzo o una ragazzina; anzi, quanto più si cerca di nasconderlo, tanto più esso si manifesta (e si tratta di amare soltanto un verme che non merita neppure il nome d’amore, fondato com’è sul nulla, e mi ripugna portare questo paragone). Ed è possibile, forse, nascondere un amore così forte, come quello di Dio, che poggia su un fondamento così solido, qual è l’elevatezza di chi amiamo e l’avere tanti motivi per amare? In fin dei conti, solo questo è amore e merita tale nome. Oh, Dio mio, che gran differenza dev’esserci fra l’uno e l’altro di questi amori per l’anima che ne ha fatto esperienza!

3. Piaccia a Sua Maestà darcene l’esperienza, prima di farci lasciare questa vita, perché sarà d’indicibile conforto nel momento della morte (nella quale andiamo dove non sappiamo) pensare di aver amato con amore appassionato, al di là di noi stessi, il Signore che ci giudicherà. Potremo presentarci sicure circa l’esito del processo dei nostri debiti: non sarà andare in terra straniera, ma nella propria patria, poiché è quella di chi tanto amiamo. Questo amore, oltre tutto, ha anche il vantaggio nei confronti degli amori di quaggiù che, amando il nostro Sposo, siamo sicure che egli  a sua volta ci ama tanto. Considerate, a questo punto, figlie mie, il guadagno che tale amore porta con sé, e la perdita di non averlo, essendo noi allora alla mercé del tentatore. In mani così crudeli, così nemiche di ogni bene e così amiche di ogni male.

4. Che sarà della povera anima che, appena uscita da tali dolori e da tali angosce quali sono quelli della morte, cade subito in quegli artigli? A quale orribile riposo va incontro! Come cadrà nell’inferno fatta a pezzi! Che moltitudine di serpenti d’ogni specie! Che luogo spaventevole! Che disgraziato soggiorno! Se per una sola notte sopporta male un cattivo alloggio chi è abituato a vivere negli agi (e son proprio quelli che in maggior numero devono andare lì), che cosa pensate che sentirà quell’infelice anima in un tale alloggio eterno, senza fine? Non ricerchiamo gli agi mondani, figlie; stiamo bene qui, non si tratta che di passare una notte in un cattivo albergo. Lodiamo Dio e cerchiamo sempre di supplicarlo di tenere per mano noi stesse e tutti i peccatori, e non ci faccia cadere in queste occulte tentazioni.

 

CAPITOLO 71 (41)


Parla di come è necessario preservarsi dai peccati veniali.

 

1. Come mi sono dilungata! Eppure non tanto come avrei voluto, perché è dolce cosa parlare di tale amore: che sarà mai averlo? Oh Signore mio, datemelo! Fate almeno che io non lasci questa vita finché non sia riuscita ad allontanare ogni cosa all’infuori dell’amare Voi, non ponendo questo nome di amore in alcuno, perché tutto è falso quaggiù, fin dal fondamento, e così l’edificio non regge. Non so di cosa ci meravigliamo. Quando sento dire: «quello mi ha ripagato male», «quell’altro non mi ama», rido dentro di me: perché deve ripagarvi, perché deve amarvi? Vedrete in questo che cosa sia il mondo e che lo stesso vostro amore per esso vi infligge poi il castigo. È proprio questo che vi abbatte, perché la volontà sente molto che voi l’avete trascinata a perdersi in scherzi da bambini. Veniamo ora al timore di Dio, anche se mi dispiace di non parlarvi un po’ dell’amore mondano, avendolo conosciuto bene – per i miei peccati – e avrei desiderato farlo conoscere anche a voi per liberarvene per sempre. Ma, per non andare fuori tema, debbo allontanare l’idea. Il timore di Dio è una virtù facilmente riconoscibile sia da chi la possiede, sia da quelli che trattano con lui. Ma voglio che sappiate che all’inizio tale timore non è così sviluppato da manifestarsi esternamente, anche se esso esiste e va aumentando d’intensità. Come ho già detto, il Signore concede ad alcune persone, in breve tempo, tante e così sublimi grazie di orazione da capirlo subito bene. Ma nei soggetti in cui le grazie non aumentano in questo modo – cioè, come ho detto, in una comunicazione divina lascia l’anima ricca di tutte le virtù – il timore di Dio cresce man mano. Il timore e l’amore di Dio si manifestano, però, sempre più, quando l’anima si allontana dal peccato, dalle occasioni, dalle cattive compagnie, per non parlare di altri segni. Ma, quando è ormai giunta ad un’alta orazione, che è ciò di cui stiamo trattando, anche il timore di Dio non passa inosservato, anzi si rivela in pieno. Infatti, pur osservando con molta attenzione queste persone, non si scoprirà mai che siano trascurate. Il Signore le sostiene in tal modo da lasciar trasparire la viva preoccupazione di non offenderlo. Infatti, per quanta utilità possano anche trarne, non commetterebbero di proposito un peccato veniale; quelli mortali poi, li temono come il fuoco. Queste sono le illusioni, figlie mie, che vorrei tanto temeste; supplicate sempre Dio che la tentazione non sia mai così forte da indurvi ad offenderlo: se avrete la coscienza pura, vi farà poco o nessun danno: tutto lo porterà a farlo perdere ancora. Ciò è quanto importa, questo il timore che io desidero vedere sempre in voi, essendo la vostra difesa.

2. Oh, che gran cosa è non offendere mai il Signore, per incatenare i suoi servi e i suoi schiavi infernali! Perché, infine, tutti, volere o no, devono servirlo; solo che essi lo fanno per forza e noi con tutta la nostra volontà. Ora, più accontenteremo il Signore, più terremo a distanza i demoni. Così, tutto quanto possano fare non avrà come risultato che offrirci maggior vantaggio.

3. Nella vita interiore state attente: è cosa molto importante che vi sorvegliate con cura fino a che non sentiate tale ferma risoluzione di non offendere il Signore, da essere disposte a perdere mille vite, piuttosto di commettere un peccato mortale, pure a costo di lasciarvi perseguitare da tutto il mondo. Intendo dire con ferma decisione, ossia di evitarli consapevolmente, perché involontariamente chi potrà evitare di non commetterne molti? Vi è, però, un’avvertenza che si accompagna a molta riflessione, e un’altra così improvvisa che fino a quando non si è commessa la piccola colpa, sembra che non ce se ne accorga, anche se se ne ha un po’ la percezione. Ma dal peccato che si percepisce e commesso con piena determinazione, per piccolo che sia, Dio ci liberi! Non so come possiamo avere l’ardire di andar contro un Signore così grande, sia pure nelle piccole cose, tanto più che non è mai poco ciò che offende una così eccelsa Maestà, il cui sguardo sappiamo sempre fisso su di noi. Questa – a me sembra – è una colpa ben premeditata; è come dire: «Signore, anche se vi dispiace, lo farò; so che mi vedete e che non lo volete, me ne rendo conto perfettamente, ma preferisco seguire il mio capriccio che non la vostra volontà». E io non sono del parere che sia poca la colpa di un simile comportamento; per quanto il peccato possa essere di lieve entità, io lo trovo grave, anzi gravissimo.

4. Per amore di Dio, figlie, non trascuratevi mai in questo, proprio come state facendo ora, e ne sia glorificato il Signore! Considerate quale grande importanza ha l’abitudine e cominciare a comprendere quanto sia grave offenderlo. Cercate di comprenderlo bene e di pensarci spesso, perché nei vostri cuori vada radicandosi veramente un solido e compatto timore di Dio. Anzi,  fino a quando l’anima non avrà costatato di possederlo, è necessario procedere sempre con moltissima attenzione e allontanarci da tutte le occasioni e compagnie che non ci siano d’aiuto ad avvicinarci di più a Dio; badare a tutto ciò che facciamo, per vincere la nostra volontà, e a quel che diciamo, perché sia sempre di edificazione; fuggire da qualsiasi conversazione ove non si parli di Dio. Ci vuole molto perché resti in noi ben impresso questo timor di Dio, ma se c’è un vero amore, Sua Maestà ci aiuta per acquistarlo presto, tanto più se l’anima si sentirà fermamente risoluta, come ho detto, a non commettere, per nessuna cosa al mondo, né per paura di mille morti, un peccato veniale (anche se in seguito talvolta possa cadere, perché siamo deboli e non dobbiamo fidarci di noi stessi; anzi, quanto maggiore è la nostra determinazione, tanto meno dobbiamo confidare in noi; la nostra fiducia dev’essere riposta solo in Dio). Quando riconosceremo di avere in noi la disposizione che ho detto, non ci sarà più bisogno di nutrire tanta timidezza e paura, perché il Signore e la buona abitudine ormai contratta ci saranno d’aiuto a non offenderlo. Allora, potremo agire con una santa libertà trattando con le persone che incontriamo, e ancor meglio con quelle dedite a distrazioni, le quali, una volta che avremo in noi l’orrore del peccato, non ci arrecheranno più alcun danno, anzi ci  aiuteranno a rafforzare la nostra buona risoluzione, facendoci vedere la differenza tra l’uno e l’altro atteggiamento.

5. Se l’anima comincia ad abbattersi, fa una cosa cattiva nei confronti di ciò che è buono. A volte, poi, finisce col cadere negli scrupoli, ed eccola allora inutile a sé e agli altri. Ma anche se non cade negli scrupoli, potrà giovare a sé, non però condurre molte anime a Dio, una volta che vedano in essa tanta apprensione e avvilimento. La nostra natura è tale che ne resta paralizzata e per non vederci in quella oppressione, fuggiamo dal seguire la via che porta risolutamente sul cammino della virtù.

6. Da qui, ancora, nasce un altro errore, che è quello di giudicare gli altri: siccome non seguono la nostra stessa strada, e forse con maggior santità di noi, per giovare al prossimo trattano con libertà e senza tante soggezioni, subito ci sembreranno imperfette. Se manifestano una santa allegria ci sembreranno dissolute, specialmente se si tratta di gente come voi, che non siete istruite e non sapete come si può trattare con il prossimo senza peccare. È, questa, una cosa assai pericolosa, un esser soggette a una continua tentazione da cui è difficile sottrarsi, perché in pregiudizio del prossimo: credere che tutti quelli che non procedono come voi, con le vostre soggezioni, non seguano la strada giusta, è una pessima cosa. Vi è, poi, un altro inconveniente: in alcune occasioni in cui dovrete parlare e in cui è giusto che parliate, per timore di eccedere in qualcosa, non oserete farlo tranne, forse, per approvare quello che sarebbe assai conveniente detestare.

 

CAPITOLO 72 (41-42)


Contro gli scrupoli. Commento alle parole: Sed libera nos a malo.

 

1. Per questo, sorelle, cercate di capire bene che Dio non bada a tante piccolezze, come voi credete, e non permettete alla vostra anima di abbattersi né vi venga meno il coraggio, perché potranno andar perduti molti beni. Abbiate la retta intenzione, la ferma volontà, come ho detto, di non offendere Dio. Non lasciate che la vostra anima diventi gretta, perché tale atteggiamento, invece di procurarvi la santità, vi farà incorrere in molte imperfezioni causate dal demonio per diverse vie. E, ripeto, non sarete utili né a voi né alle altre.

2. Vedete ora come con queste due virtù – amore e timore di Dio – potete seguire il vostro cammino  tranquillamente e non con l’impressione di vedere ad ogni passo la fossa con il rischio di cadervi dentro. In questo modo non arriverete mai; ma, siccome non possiamo sapere con certezza se veramente possediamo queste due virtù tanto necessarie, il Signore, avendo compassione di noi che siamo in una vita così incerta tra numerose tentazioni e pericoli, ci insegna a chiedere e chiede anche per sé a sua Maestà: «ma liberaci dal male. Amen».

3. Dico che chiede questo anche per se stesso. Sì, perché noi vediamo quanto fosse stanco di questa vita quando disse ai suoi apostoli, nell’ultima cena, di aver tanto desiderato quella cena, che era l’ultima della sua vita. Da ciò si vede quanto dovesse essere ormai stanco di vivere; e oggi gli uomini anche quelli che hanno cento anni, non solo non si sentono stanchi, ma hanno sempre il desiderio di vivere più a lungo. In verità, la nostra esistenza non la trascorriamo tra tante sofferenze e povertà come quella del buon Gesù. Che cosa fu tutta la sua vita se non una croce continua, per il fatto di aver sempre davanti agli occhi la nostra ingratitudine e le tante offese che si arrecavano a suo Padre e le tante anime che si perdevano? Se questo, quaggiù, per un’anima che abbia carità è un grande tormento, che cosa sarà stato per la carità di nostro Signore? E come aveva ragione di supplicare il Padre di liberarlo ormai da tanti mali e sofferenze e di farlo riposare per sempre.

4. Amen! Con la parola «Amen» io credo che, siccome pone fine a tutte le richieste e interrogativi, il Signore chieda di liberare da ogni male per sempre anche noi. È errato, sorelle, pensare che nella nostra vita possiamo essere libere da tentazioni e imperfezioni e addirittura da peccati. Si dice, infatti, che chi pensa di essere senza peccati, s’inganna, e ciò è vero. Se ci riferiamo ai mali del corpo e alle sofferenze, chi si ritrova senza molto soffrire e in molti modi? Non è giusto nemmeno chiederlo. Cerchiamo, dunque, di capire bene ciò che chiediamo qui, dato che la richiesta «da ogni male» sembra essere impossibile, sia per quanto riguarda il fisico – ripeto – sia a motivo delle imperfezioni e mancanze nel servizio di Dio. Non parlo dei santi. Essi potranno tutto in Cristo, come dice san Paolo, ma non i peccatori, come me. Io, infatti, mi vedo impastata di fragilità, di tiepidezza, di poca mortificazione e di tante altre miserie: costato che mi sta bene chiedere al Signore un rimedio. Voi, figlie, chiedetelo come vi sembra opportuno. Io, però, non ne trovo alcuno in questa vita, perciò domando al Signore di liberarmi da tutto il male e per sempre. Che bene troviamo in questa vita, sorelle, quando ci manca tanto bene e noi ne restiamo lontane? Liberatemi, Signore, da quest’ombra di morte! Liberatemi da tante sofferenze, liberatemi da tanti dolori, liberatemi da tante incostanze, liberatemi da tanti obblighi di cortesia che per forza dobbiamo osservare vivendo quaggiù, liberatemi da tante, tantissime cose che mi stancano e mi annoiano. Se dovessi riferirle tutte, chi legge questa [pagina] si annoierebbe a morte. Ormai non si può più vivere quaggiù. Questo essermi stancata deve provenirmi dal fatto di aver vissuto male e dalla costatazione che nemmeno ora vivo come dovrei considerando inoltre il tanto che vi devo. Oh, Signore, liberatemi da ogni male e degnatevi di condurmi là dove si trovano tutti i beni! Che cosa possiamo ormai sperare quaggiù noi a cui avete dato una qualche conoscenza sperimentale di ciò che è il mondo e abbiamo un po’ di fede in ciò che l’eterno Padre ci ha riservato? Infatti, suo Figlio lo chiede e ci insegna a chiederlo. Credetemi, non riusciamo a vivere bene senza desiderare di essere liberati da ogni male.

5. Chiedere questo con vivo desiderio e ferma determinazione è un indizio sicuro per arguire che la contemplazione è vera e che Dio stesso attira l’anima a sé. Essa, che ormai partecipa in qualche modo alle sue grandezze [divine], vorrebbe vederle ora tutte. Non vorrebbe più trovarsi in questa vita, in cui tante difficoltà impediscono il godere di un bene così grande. Desidera invece, stare là  dove non tramonta mai il Sole di giustizia. Dopo quelle grazie, le sembrerà oscuro tutto quello che vede quaggiù, e mi stupisco che possa vivere anche un’ora sola e certamente non la vivrà con gioia. Proprio bello il mondo per chi ha cominciato a gustare Dio, per chi ha già ricevuto quaggiù il suo regno; deve continuare a  vivere non per volontà propria, ma per la volontà del Re!

6. Oh, come dovrebbe essere diversa questa vita, per non desiderare la morte! Come son diverse le inclinazioni della volontà di Dio dalle nostre! La sua volontà divina esige la verità; noi amiamo la menzogna. La sua esige l’eterno, noi, quaggiù, il transitorio. La sua esige cose grandi e sublimi; noi le bassezze della terra. La sua desidera tutto ciò che è sicuro; noi, quaggiù, vogliamo ciò che è incerto. È tutto una burla, davvero, figlie mie, fuorché supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E poiché il nostro desiderio è ancora molto imperfetto, sforziamoci per lo meno di insistere in questa richiesta. Cosa ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente? Che vergogna sarebbe chiedere appena un maravedì a un grande Imperatore! Ma, per riuscire meglio, lasciamo alla sua volontà di darci quel che vuole, avendogli già dato la nostra. Sia per sempre santificato il suo nome in cielo e in terra e si compia sempre in me la sua volontà! Amen.

 

CAPITOLO 73 (42)


Conclusione.

 

1. Avete visto, amiche mie, che la preghiera vocale può essere perfetta, quando si considera e si comprende a chi rivolgere la domanda, chi è che domanda e che cosa si domanda. Se vi dicessero che non è opportuno che facciate altra preghiera se non quella vocale, non angustiatevi. Leggete attentamente questo libro e quanto vi è scritto sull’orazione, supplicate Dio di farvelo comprendere. Nessuno vi potrà proibire la preghiera vocale e neanche obbligarvi di recitare il Pater noster di corsa e senza riflettere. Se qualche persona volesse proibirvelo, o vi consigliasse di lasciarlo, non gli credete: sappiate che è un falso profeta e badate che in questi tempi non dovete prestar fede a tutti perché, anche se quelli che al presente vi sono consiglieri non vi danno nulla da temere, non sappiamo che cosa potrà riservarci il futuro.

2. Avevo pensato di dirvi anche qualcosa sulla recita dell’Ave Maria, ma mi sono già tanto dilungata che vi rinuncio. Ma basta aver capito come si recita bene il Pater noster per rendersi conto di come vadano recitate tutte le altre orazioni vocali.

3. Ora cerchiamo di arrivare a concludere le riflessioni sul cammino che ho cominciato a trattare: mi sembra infatti che il Signore mi abbia alleggerito la fatica, insegnando a voi e a me cosa dobbiamo chiedere in questa preghiera. Sia benedetto per sempre, perché certo non mi era mai venuto in mente che vi fossero così grandi segreti in questa preghiera del Vangelo; che racchiudesse in sé tutto il cammino spirituale, dal principio fino a quando l’anima si immerge in Dio, ed egli le dà abbondantemente da bere a quella fonte di acqua viva di cui abbiamo parlato. Per cui, una volta uscita da essa – intendo da questa orazione – non saprei più come andare avanti.

4. Sembra che il Signore abbia desiderato farci comprendere, sorelle, la grande consolazione racchiusa in questa orazione e, quando ci mancano libri, non ci può mancare questo Libro dettato dalla bocca della stessa Verità che non può errare. E poiché – ripeto – recitiamo tante volte al giorno il Pater noster, godiamo con lui e cerchiamo d’imparare da un così eccellente Maestro l’umiltà con cui prega e tutti gli altri atteggiamenti di cui ho parlato. Mi perdoni Sua Maestà, per aver osato parlare di cose tanto sublimi. Non l’avrei fatto, egli lo sa bene, e anche con la mia intelligenza non ne sarei stata capace, se Sua Maestà non me le avesse poste dinanzi.

5. Ora, sorelle, mi pare egli non voglia proprio più che continui a scrivere – peraltro non saprei come andare avanti –, giacché il Signore vi ha insegnato il cammino e a me ha insegnato a esporlo nell’altro libro – che vi ho detto di aver scritto – cioè come comportarsi una volta giunti a questa fonte di acqua viva, che cosa sente l’anima giunta là, come Dio la sazi e le tolga la sete delle cose di quaggiù, facendola crescere nel suo servizio. Così, per le anime che vi sono arrivate, questo libro sarà di gran profitto e molto illuminante.

6. Procuratevi il libro. Ce l’ha il padre fra Domingo Báñez, Presentato dell’Ordine di san Domenico, mio confessore, come ho detto, al quale darò anche questo [scritto], perché lo veda. Se gli sembra che possa giovarvi, ve lo farà leggere e vi darà anche l’altro. Se così non fosse, accettate la mia buona volontà, perché, scrivendo quest’opera, ho obbedito a ciò che mi avete chiesto. Con questo io mi reputo ben pagata della fatica sostenuta nello scriverla, giacché non è stato certo una fatica il pensare a ciò che dovevo dire. Ciò che il Signore mi ha fatto comprendere circa i segreti di questa preghiera del Vangelo, mi è stato di grande consolazione. Gesù sia benedetto e lodato senza fine. Amen.