LA VOCAZIONE DI UN CARMELO TERESIANO CHIAMATO A VIVERE IN DIALOGO CON DIO E CON I FRATELLI!

Biografia di Sr. Cherubina dell'Agnus Dei












                                                      

 P. STANISLAO DI S. TERESA



CARMELITANO SCALZO DELLA PROV. TOSCANA



UN FIORE DEL CARMELO


 


DI CAMAIORE




Suor Cherubina dell' Agnus Dei



CENNI BIOGRAFICI





FIRENZE



TIPOGRAFIA BARBÈRA



ALFANI & VENTURI PROPRIETARI



1931







NIHIL OBST A T



Sac. ALBERTUS ALBERTI



IMPRIMATUR



Florentiae die 30 ]anuar. a. 1931.

JOACHIM BONARDI  Vic. Cap.



L'autore sottopone questi cenni biografici alle leggi

ed al giudizio di S. M. Chiesa.



BIOGRAFIA



La Serva di Dio Suor Cherubina dell' Agnus Dei nacque il I0 Maggio 1601 e al S. Battesimo le fu posto il nome di Giacinta Francesca. Suo padre fu Alderigo di Agostino Ricchi di Lucca che, stabilitosi a Sesto, castello ragguardevole del Friuli, si dedicò prima al commercio, poi fu Governa- tore di quell'antica Badia, assunto a tale ufficio da Mons. Grimani, Patriarca di Aquileia, che ne era il Commendatore perpetuo. Conosciuta quivi una buona giovane di nome Giustina de' Giustini,

se ne invaghì e la fece sua sposa. Da questo matrimonio nacquero sette figli, e Giacinta Francesca fu l'ultima. Dopo qualche tempo dalla nascita della bambina, dovendo il padre trasferirsi in lontano paese per un mandato affidatogli da Mons. Grimani, di comune accordo con la consorte, che per passate sofferenze non poteva ultimare I'allattamento, consentì che la creaturina fosse affidata ad una buona e sana nutrice sotto la vigilanza di un suo fratello canonico di nome Aldovino.

Ancora fanciullina, udendo invocate spesso la SS. Trinità, Giacinta Francesca mostrò chiaramente desiderio di conoscere l'augusto Mistero e, genuflessa, non si saziava di balbettare: (( Sancta Tri­

nitas unus Deus, miserere nobis ». Ne parlava spesso, si mostrava desiderosa di conoscerne gli attributi, provava grande diletto chiamando il Signore col nome soave di Padre, dando così a conoscere come ella, fin .dal primo schiudersi della ragione, non aspirasse che all'amore di

Dio e delle cose celesti.

Col crescere dell'età, si manifestò in lei precoce desiderio di mortificazione. Provava ripugnanza nel cibarsi di carni e solo per stretto 'comando ne prendeva piccola quantità; e, quando udì parlare

la prima volta della passione e morte del divino Salvatore, dei patimenti dei Martiri, non potendo in altro imitarli, pungeva con ortica le tenere innocenti sue carni.



Essendo di finissima sensibilità, provava grande compassione per i poveri e i sofferenti. Una volta, mentre usciva di casa, s'imbattè in un infelice orribilmente piagato che le chiese l'elemosina. Era un

lebbroso. Non avendo altro, gli donò il suo velo di seta, molto grande, che usavano le ragazze più ricche. Rimproverata di questa sua liberalità, rispose umilmente che aveva inteso di regalare il

suo velo a Gesù. Il Signore non lasciò senza ricompensa quest'atto di carità, e più tardi, nel 1641, nell'atto che Giacinta Francesca si comunicava, le apparve Gesù sotto la forma di bambino, la ricoprì di un aureo manto, dicendole che era contraccambio del velo donato al lebbroso.

Anche lo zelo delle anime ardeva nel suo cuore di bambina. Questo fatto lo prova: venuta a conoscenza che due sue compagne di scuola appartenevano alla religione' ebraica, seppe così bene insinuarsi in quelle due anime da convincerle a rendersi cattoliche. Abbracciarono in­

fatti la nostra santa fede e, giunte a più matura età, si resero religiose servendo con sommo fervore per tutta la vita il Signore.



Questa la tenera età della nostra fanciullina; età di pace, d'innocenza, d'ingenuità, e al tempo  stesso feconda di grazie celesti.  A circa sei anni Giacinta Francesca perde il padre e di lì a non molto la madre. Come S. Teresa, con semplicità infantile, si gettò ai piedi dell'altare scongiurando il Signore e Maria SS.ma a farle da padre e da madre, « Mio Dio, - esclamò - mi

è mancato in terra il padre! Siate voi il mio Padre per vostra bontà. E voi, Regina del cielo, non mi accettate per figlia? Io per tale mi consacro umilmente a voi. Deh! accoglietemi sotto il vostro manto, tutta in voi mi abbandono », Le parve che la Madre celeste gradisse la sua offerta e uscì di

chiesa consolata.

Desiderosa di conoscere le 'vite dei Santi per assimilarne le loro virtù, non sapendo leggere, si rivolse al suo Angelo Custode. Una notte, mentre con gran fede chiedeva questa grazia, le si dette

a vedere il suo Angelo che le consegnò un foglio dove erano stampate queste lettere: A. D. T. U. e le disse: « Amerai e leggerai >>. Poi tutto scomparve. Giacinta Francesca comprese subito il si­

gnificato di quelle lettere: Ama Dio, Trino, Uno. Si sentì il cuore vieppiù  infiammato d'amore divino e da quel giorno potè leggere speditamente e completamente comprendere quanto leggeva.

Datasi subito alla lettura di buoni libri, si accese nella sua mente un desiderio così

ardente d'imitare i Santi nello spirito d'orazione e di penitenza e ne intraprese

con tanto fervore le pratiche, che lo zio canonico fu costretto a moderarla. Intanto il suo amore a Dio cresceva di giorno in giorno. A Lui offriva spesso il suo cuore e confermava questo suo amore con le opere, studiandosi di non offendere mai il Signore. Quando dallo zio era condotta nelle

chiese dove si predicava la divina parola, ascoltava con grande attenzione le istruzioni: e si accese in lei amore sì vivo alla perfezione, che la fece risolvere di amare Gesù fino al sacrifizio, dargli mille prove di tenerezza per tutto il tempo della sua vita. Ode un giorno da un predicatore che

tre pie vergini, orribilmente calunniate, furono in forma tangibile difese dalla SS.ma Vergine; si ritira in un angelo della chiesa e quivi fa voto di perpetua verginità. Tosto una pace dolce e profonda invase l'anima sua e si accertò che il suo olocausto era stato gradito da Dio.

Una mattina, nell'ascoltare la S. Messa celebrata ad un altare dove era un bel quadro delle Nozze di Cana, sente nascersi in cuore vivo desiderio di essere ella pure assisa fra Gesù e Maria; e, toltasi

un anello gemmato che portava in dito, lo pone sull'altare ed esclama: « Questa, mio sommo Bene e mio Dio, la caparra del costante e perpetuo amore. Sia questo l'anello nuziale che in eterno mi congiunga con voi ». Il patto fu accettato : ma Gesù le fa però comprendere che, per essere

sua sposa, le è necessario patire, e patire senza che altri lo sappia. Egli stesso la conduce all'ombra della sua Croce e gliene svela i segreti d'amore. Giacinta Francesca penetra la profondità dei te­

sori quivi racchiusi, ne comprende la vera gloria; e un desiderio vivissimo di soffrire e di essere dimenticata pervade il suo cuore. Nascosta nelle più remote stanze della casa, s'immerge nella meditazione del Crocifisso e fra lacrime viene udita replicare: « Te ergo, quaesumus,

tuis famulis subveni, quos pretioso san­guine redemisti ».

Gesù aveva acceso nel cuore di Giacinta Francesca il desiderio di quell'unione perfetta che Egli compie in noi con la SS.ma Comunione. Indicibile la felicità di quell' anima quando le venne annunziato che era ammessa la prima volta alla sacra Mensa. Vi si preparò con ardore

di serafino, dando al .suo cuore sempre nuovi slanci, riempiendolo sempre di nuovi fiori: fiori di ogni più eletta virtù, fiori di sacrifizio e d'amore. « O mio Gesù,esclamava nella sua ingenua semplicità davanti al quadro prediletto delle Nozze di Cana - ti desidero, ti cerco, ti voglio.

Lascia ch' io veda la tua bellissima faccia e sarò contenta. Permetti ch' io stia sempre teco e sarò beata ». « Presto sarai alla mia Cena» - udì un giorno chiaramente ri­

spondersi -. « Sì, io sarò il tuo SPOSO». E tosto, alla vista di tutti, fu rapita in un'estasi meravigliosa che durò lungo tempo.



Spuntò finalmente il gran giorno : giorno di paradiso, che, per poterne dare un'idea anche lontana, bisognerebbe avere l'amore e la parola dell'ispirato di Patmos, o essere di una virtù eguale a quella di Giacinta Francesca. La sua gioia si fece così intensa, che più non potè contenerla,

e le lacrime le inondarono il volto. Ad un tratto fu nuovamente rapita a se stessa e il Signore le fece conoscere le pene atrocissime delle anime sante del Purgatorio onde largamente le suffragasse e le

mostrò pure la voragine tremenda dell'inferno, affinchè pregasse per la conversione dei peccatori. Per tutta la vita non dimenticò mai questa duplice missione : questo desiderio anzi andò sempre

più accentuandosi facendosi sentire in lei sempre più vivo, nè si saziava di chiedere grazia al Signore perchè si degnasse appagare i suoi voti.



Venuta a morte la sua nonna materna di nome Graziosa, una mattina, mentre faceva la santa Comunione per essa, meritò vederla circonfusa di' luce in atto di salire al cielo e udì dirsi da lei: « Me ne vado al cielo. Mirino nel mio sepolcro e fresche vi troveranno tre viole l). Giacinta Francesca riferì la visione, ma non fu creduta. Due anni dopo, quando si dovè riaprire la sepoltura per riporvi il cadavere di un bambino, sùo cugino, fra lo stupore dei presenti che ricordavano la

visione manifestata dalla fanciulla, furono trovate le tre viole, belle e fresche come se staccate di recente dalla pianta e collocate allora nel sepolcro.



Fu in questo tempo che lo zio canonico Aldovino, per giovare alla nipote, convenne in giudizio i fratelli della madre di lei, Giustina de' Giustini, perchè - ciò che ancora non avevano fatto - sborsas­

sero la dote pattuita in occasione del  matrimonio col defunto suo fratello Alde­

rigo. Ma questi ricorsero prima alle intimidazioni e poi anche a vie di fatto contro il povero canonico, il quale, vistosi in pericolo, consegnò Giacinta Francesca a certe Matrone molto virtuose che tenevano sotto la loro direzione alcune fanciulle di Sesto, e si rifugiò in Portogallo dove poco dopo finì i suoi giorni. Rimasta così priva del suo unico sostegno, la fanciulla accettò l' invito di due sue zie paterne che dimoravano in Lucca, e il 28 maggio 1613, essendo allora nei dodici anni

compiti, giunse in quella città.



Circa due anni dopo, passata a miglior vita una delle due sue zie, la super­

stite raccomandò la nipote al sacerdote Don Giovan Battista Antognoli direttore

allora della Pia Congregazione di Gesù e Maria in Camaiore, il quale, il 24 giugno

1616, accolse Giacinta Francesca in quel pio Istituto che ospitava molte nobili fanciulle, e quivi la giovinetta, mercè la sana educazione impartita da quelle buone religiose, progredì in grazia e sapienza al cospetto di Dio e degli uomini. Quel vincolo di pace e di carità onde

Giacinta Francesca si vide circondata fin dal suo ingresso nell' Istituto, non tardò a sviluppare in lei il santo germe della vocazione, da Gesù postole già nell' interno dell'anima. Nel Confessore trovò

un cooperatore validissimo e per consiglio di lui intraprese il corso degli Esercizi

di S. Ignazio, a fine di provare e ben stabilire la sua vocazione. Superati non pochi ostacoli posti dal

suo tutore Andrea Pini, che come Commissario governava allora Camaiore, fece voto di rendersi religiosa, stabilendo di militare o sotto l' insegna del Carrnelo, o sotto quella di S. Francesco o di S. Domenico. Nasce qui spontanea la domanda: come poteva la pia giovinetta, rendendosi

religiosa nella Congregazione di Gesù e Maria in Camaiore, adempiere il suo voto,

se in codesta Congregazione non si professava allora nessuna delle tre Regole ricordate? Se si riflette a quanto gradatamente veniamo esponendo in questi cenni biografici, apparisce manifesto che la fanciulla era l'anima designata dalla Provvidenza ad introdurre in quella Congregazione la Regola Carmelitana.

La mattina del 24 Giugno 1618, essendo allora nel suo diciassettesimo anno, Giaciuta Francesca vestì l'abito religioso e le fu imposto il nome di Suor Cherubina.  Nel noviziato - così le memorie di

allora riportate da un suo biografo - passò il primo anno con sommo fervore, rivelandosi suora esemplare sotto ogni aspetto. A tutti gli esercizi di pietà, a tutte le obbedienze era la prima; in

tutte le osservanze, puntualissima. Non oppose nessuna resistenza nel sospendere le vigilie notturne e le penitenze personali, per ottemperare a puntino agli ordini della Maestra, la quale, vedendola così sottomessa, alcune gliene permise . Così trascorse quel tempo: troppo lungo per i suoi desideri, perchè andava consacrarsi a Dio con la Professione dei voti privati che si emettevano in quella

Congregazione. E più si avvicinava il tempo, più vi si preparava con ardore serafico. Ma anche allora non doveva mancarle la prova. Dio permise all'angelo delle tenebre che si accostasse per ten­

tarla. Ed ecco che in luogo di quella dolcezza, generalmente sì dolce, che suol precedere l'atto della propria consacrazione a Dio , la sua vocazione le apparve come un sogno, come una chimera. Ma

appena pronunziati i voti, si dileguò ogni tentazione e l'anima sua si trovò improvvi­

samente immersa in un oceano di pace. Da quel giorno gli slanci d'amore per il suo Dio divennero più frequenti e più lunga la sua orazione. Come la Serafica Madre S. Teresa di Gesù si sentiva morire d'amore, dal desiderio di vedere Dio, e provava pace e gioia pensando che forse il Signore l'avrebbe presto chiamata a Sè e che sarebbe volata in Cielo a godere un'eterna allegrezza.

Cadde infatti gravemente malata e i medici dichiararono non esservi più speranza. Le lacrime dell' afflitte sorelle la commossero e allora si rivolse con fede a Dio, domandando la grazia della gua­

rigione per 1'intercessione di un Suo gran Servo, il P. Giovan Battista Cioni dei Chierici Regolari della Madre di Dio, già suo 'confessore, morto in quei giorni in concetto di santità. La grazia fu fatta

e pienissima. Fra lo stupore delle religiose riprese subito le abituali occupazioni e trovò conforto soave ed ineffabile nell'accostarsi ogni giorno, per speciale concessione , alla Santa Comunione, dalla quale attinse, come tutte le anime pure, ardenti brame di purezza verginale.



Come tutti i Santi, Suor Cherubina aveva la convinzione vera e profonda del nulla della creatura davanti alla Santità di Dio e scopriva nell' Eucarestia la sorgente infinita da cui la povertà spi­

rituale attinge l'umore necessario ad ogni  soprannaturale fecondità. Al contatto delle carni divine, il suo amore si alimentava e, traendo, come fiore, il suo succo vitale da questo adorabile Sacramento,

sempre meglio ella si fortificava in quell'umiltà, il cui raffinamento giungeva fino a renderla pienamente contenta di sentirsi senza virtù propria. Felice, com'essa si protestava' nell'ar­

dore verginale del suo cuore, di vivere presso Gesù Sacramentato, passava lunghe ore davanti al Tabernacolo, genuflessa, immobile, come annientata e perduta nel divino Sposo, e dalla meditazione dell'umanità SS.ma di Gesù Cristo, s'inalzava alla contemplazione della divinità, ricevendone lumi vivissimi, sentimenti sublimi che la univano più intimamente al divin Salvatore.

Quest'unione era tale che n'andava spesso come assorta e rapita fuor di sè, come accadde un anno, nel giorno anniversario della sua vestizione, in cui, dopo la santa Comunione, rimase alienata

dai sensi per tre ore. Durante l'estasi ebbe una visione. Vide una scala misteriosa di trentatrè scalini, denotanti le virtù nelle quali doveva esercitarsi: La salita era faticosissima e difficile, ma la veduta

del Paradiso, che scorgevasi alla sommità della scala, animava ad intraprenderla.

Nei trentatrè scalini erano scritte in ciascuno una virtù: nell'ultimo, che imetteva alla porta del Paradiso, era inciso a caratteri d'oro: amore. Questa visione le rimase per sempre impressa: si dette

tosto allo studio di tutte quelle virtù con coraggio invincibile e non indietreggiava davanti a qualsiasi ostacolo.

Da quest'amore per il suo Dio nacque in lei un più ardente desiderio di patire e di mortificarsi ancora più. I sacrifici più generosi e più eroici divennero una necessità al suo cuore, Prediligeva in­

fatti i rigorosi digiuni e si asteneva dai cibi di carne anche' quando la comunità poteva usarne. Ordinatole di conformarsi alle altre religiose, obbedisce; ma tosto si ammala di stomaco e non ritrova la sanità se non nel rigoroso genere di vita che aveva per l'avanti intrapreso. E i suoi

digiuni divengono così rigorosi che dalla Settuagesima a Pasqua e dall'11 novembre, festa di S. Martino a Natale si  ciba solo di pane ed acqua e passa tutta la quaresima del 1626 paga solo della

SS.ma Eucarestia, senza neppure una stilla d'acqua. Di questo prodigio, non nuovo nella storia dei Santi, ne lasciarono testimonianza giurata le religiose di allora destinate dalla superiora a sorveg1iarla giorno e notte.

Non contenta di ciò, pur vestendo le stesse lane delle altre, troppo delicate per lei, si sottrae a quella delicatezza portando sulla carne una camicia di lana molto ruvida, andando sempre a piedi

scalzi, prendendo il suo breve riposo sopra duro pagliericcio.

Mancheremmo al nostro scopo se volessimo enumerare tutte le pie industrie escogitate per patire. I superiori, che usarono ogni prova per sperimentare il suo spirito, dovettero concederle di prati­

care tali mortificazioni, certi com'erano che lo spirito interiore che la governava veniva da Dio e la conduceva grado a grado alle più sublimi ascensioni.

Il Tabor delle anime amanti è sul Calvario! Suor Cherubina, posseduta da quell'amore che è forte come la morte, ad altro non aveva aspirato che a rendersi fedele copia del suo Amore Crocifisso. E, ai piedi della Croce, s'immergeva nella visione purpurea della Passione dalla quale le derivava con una indicibile commozione il più cordiale disprezzo del mondo. Io voglio - erano questi gli ardenti desideri di quell'anima - crocifiggermi con voi, divin Maestro. Quegli occhi così dolci che con un solo sguardo fecero rompere in pianto S. Pietro, sono annebbiati; ebbene, io chiuderò i miei a tutte le vanità.

Quella bocca divina, dalla quale scaturiva con fluida abbondanza l'acqua viva della sapienza, è suggellata dalla morte; ebbene, io condannerò la mia al silenzio e non l'aprirò che per confessare i miei peccati e la vostra misericordia. E poichè vedo il vostro corpo tutto ricoperto di piaghe, vi prego ad imprimere sul mio i segni delle vostre sofferenze. E il Martire divino parve annuire; ne appagò l'ardente brama e le impresse 1 SUOI segni divini.



Nell'ultimo venerdì di Marzo 1628 (fu questa la prima volta)  rapita in estasi, per circa ventiquattro ore partecipò alle sofferenze di Gesù; alla condanna, agli strapazzi della flagellazione e della via dolorosa, alla crocifissione, alla morte di croce. La sua profonda stanchezza, il volto pallido, le labbra smorte, la persona ricurva, il sudore copioso, dicevano assai chiaro quanto ella

dovesse soffrire. Questo fatto si verificò dipoi in tutte le quaresime e nei venerdì dell'anno e, nel Venerdì Santo, con maggiore intensità. In una di tali circostanze fu insignita delle stimmate che ogni anno le rimanevano visibili dal Venerdì Santo fino al Venerdì dopo Pasqua. Assisterono più volte a queste manifestazioni della Passione i Superiori e i Confessori del Monastero, i quali, comandandole mentalmente che si portasse in Chiesa, che recitasse qualche orazione, o che si prostrasse, o che rimanesse genuflessa, tutto eseguiva fedelmente, come lasciò scritto il P. Girolamo Fiorentini che fu testimone oculare. E a questi favori si aggiunsero quelli di scrutare i segreti dei cuori e di predire il futuro. Ad una religiosa che provava difficoltà ad assoggettarsi alla guida del Confessore, perchè sembravale troppo austero dice a bassa voce di lasciarsi dirigere da lui chè le avrebbe fatto gran bene; con stupore di quella religiosa che a nessuno aveva rivelato tale ripugnanza. Alla Procuratrice del Monastero fa premura di andare alla rota perchè non tarderanno ,

dice, a portare del buon pesce alla comunità; e di lì a poco si presenta infatti il pescivendolo ed offre alle religiose del buon pesce, come la Serva di Dio aveva predetto. E così tanti altri fatti simili

che in brevi cenni biografici sarebbe impossibile riportare. E nonostante. tanti doni sublimi, la Serva di Dio era così umile da stimare tutte le sue consorelle come a lei superiori in virtù. Ella non

bramava che di adornarsi di quella umiltà vera che andava ogni giorno acquistando alla scuola del Crocifisso.

I doni celesti di cui volle il Signore arricchita l'anima di Suor Cherubina, misero giustamente in sospetto i suoi Confessori i quali, con prudente accortezza, si dettero a provare la sua umiltà, la sua

obbedienza, la sua carità, per vedere se proprio ella fosse guidata da Dio, oppure se in quei fatti meravigliosi si nascondesse qualche astuzia del demonio. Il primo a sperimentarla fu il sacer­

dote Giovan Battista Antognoli, già ricordato. Conosciute le estasi della Suora volle vedervi chiaro: le proibì di parlarne con alcuno, le vietò le lunghe meditazioni, permettendole solo di leggere ogni

giorno qualche passo del Vangelo intorno alla Passione, in ginocchio, davanti al Crocifisso. Suor Cherubina obbedì scrupolosamente, ma il Signore, che si compiace dei veri obbedienti, la tirava a Sè al solo aprire il libro.

Più duramente fu trattata dal P. Baldassarre Guinigi, che aveva sostituito il sacerdote Antognoli nell'ufficio di confessore. Le proibì ogni esercizio d'orazione mentale, le interdisse l' ingresso in Chiesa, concedendole solo di rimanere alla porta in presenza delle religiose. Il Signore però

si degnò consolarla : le apparve e le disse: << Di che temi, o figlia? Portami impresso nel cuore, dal quale non potranno strapparmiti !>>  Suor Cherubina narrò l'apparizione al Confessore, ma lo trovò ancor più duro. Questi le ordinò di conformarsi alle altre riguardo ai digiuni e proibì alla superiora

di dispensarla da alcuna vivanda.

La Serva di Dio si mostrò anche allora obbedientissima, ma le Sue sofferenze divennero così acute, che il Confessore dovette moderare quella proibizione, obbligandola però di fuggire ogni apparenza

esterna di singolarità in tutte le sue azioni. Furono dipoi rinnovati altri esperimenti: libertà di riprendere le sue mortificazioni, ma perchè la comunità non ne rimanesse disturbata, ordine tassa­

tivo di ritirarsi nella più remota cella del noviziato e non trattare con nessuna religiosa, fuori che con la Maestra delle novizie. Sentì grave la Serva di Dio questa segregazione, ma nella più serena rassegnazione obbedì. E intanto le estasi si succedevano alle estasi e il suo spirito

godeva singolare dolcezza. Le fu tolto infine il velo monacale, le furono ridotti i giorni della santa Comunione, le fu imposto di obbedire prontamente anche durante le estasi, e di questo accettò anche un'obbligazione in iscritto. A questi duri trattamenti per parte dei Confessori si unirono prove di ben altro genere, ma tremende, permesse da Dio per maggior santificazione di quell'anima. Il suo sguardo, avvezzo a contemplare di continuo scene di paradiso, viene ad un tratto turbato ed offuscato dalla vista di orribili demoni. Le sue orecchie, abituate ad ascoltare la voce del Signore, non udivano più che grida, bestemmie' e risa sataniche. Oppressa da tristezza indicibile avrebbe voluto gettarsi e nascondersi fra le braccia di Dio, ma una forza invisibile pareva respingerla; e,abbandonata da tutti, priva d'ogni conforto umano e divino, le pareva trovarsi in una solitudine vasta, sconfinata, sola contro una schiera di nemici forti ed accaniti. Poi la prova cessò: i Confessori si persuasero dell' azione di Dio sull' anima della giovine religiosa; la furia diabolica, essendo soggetta al divino volere, ebbe il suo termine; la ricompensa concessale per il coraggio col

quale aveva tollerata la vista dei demoni, fu di poter vedere dinanzi a sè Gesù.

Il terzo giorno di Pasqua del 1628, durante un'estasi, Gesù apparve a Suor Cherubina sotto la forma di candido agnello. Da una finestra prospiciente il giardino del Monastero, vide di faccia a sè,

nel centro del viale, un candido agnellino il quale la invitava ad andare da Lui. Scesa rapidamente la scala, la Serva di Dio fu davanti al celeste suo Sposo e con voce festosa gli diceva: « Tu non ti

partirai Più da me, Io non ti lascerò mai più>> . Ma tosto la sua gioia si cambiò in dolore.Quell'agnellino aveva la testa insanguinata, il petto aperto da una grande ferita, attorno alla quale splendevano vividi raggi, e, movendosi, lasciava orme di sangue. Poi la visione disparve e Suor Cherubina, tornata ai sensi, si sentì colpita da grave dolore nelle mani, nei piedi, nel petto. Lacrimando corre alle sorelle e, come S. Maria Maddalena de' Pazzi, ha gemiti compassionevoli ed esclama anch'essa che il suo Bene non è conosciuto, non è amato.

Ma quale non fu la sua confusione nel mirare che la sua tonaca stata a contatto del misterioso agnello, che ella aveva stretto fra le sue braccia , era in cinque punti insanguinata! Avrebbe voluto occultarlo, ma ormai le religiose avevano veduto, volevano sapere, e per quanto la

Serva di Dio si adoprasse a lavare quelle macchie, non riuscì a cancellarle. Si fece togliere a Suor Cherubina la tonaca, s'immerse dalle religiose nell'acqua, si

prese a lavarla accuratamente, ed oh meraviglia ! ... ne uscì un odore fragrante,

l'acqua si tinse di sangue, e le macchie divennero più vivide e rosseggianti, Si

pensò allora di mandare a chiamare il confessore, P. Guinigi, e questi, rinnovata

più volte la prova, ne fu stupito, e ne fece relazione al Vescovo, Mons. Cui­

diccioni, il quale, constatato il fatto prodigioso, vol1e presso di sè quella tonaca

e concepì grande stima della santità della Serva di Dio. Effetto di questa visione in Suor Che­

rubina fu un accrescimento sempre maggiore del desiderio di salvare le anime per le quali il Divin Redentore aveva sparso il Suo sangue. Nelle sue preghiere per la conversione dei peccatori, che ella

chiamava suoi fratelli, si empiva di un santo ardire, ed è mirabile come il Signore prontamente la esaudisse. Essendo venuta a conoscenza che un capitano condannato a morte si ostinava nelle sue

gravi colpe, si offre vittima per i peccati di lui e pienamente viene esaudita.

Quell' infelice si convertì, la Serva di Dio ebbe rivelazione che quell'anima era andata salva, ma Suor Cherubina ne portò la pena. Gravissimi dolori, orribili

contrazioni di nervi l'obbligarono per lungo tempo a camminare carponi; le sue sofferenze muovevano a compassione, e anche nei momenti di maggiore refrigerio si dovette portare a braccia ad ascoltare la S. Messa. Questo zelo per la salvezza dei propri fratelli anzichè di­

minuire, andava sempre più aumentando di giorno in giorno; per essi raddoppiava preghiere e sacrifizi, si disciplinava con orribili flagelli, soffrendo sempre, eppure, sembrandole di non far niente, provava quello sconforto che costituisce il martirio dei santi e di tutte le anime grandi.

A quante anime Suor Cherubina avrà chiuse le porte dell' inferno, e quante,

andandole incontro al suo ingresso in paradiso, le avranno detto: - Siamo salve per te! -



Suor Cherubina aveva ventisette anni quando fu destinata all'ufficio di Maestra delle novizie. Accesa com'era d'amore divino e bramosa di spanderlo, non cercò altra cosa che di far penetrare nel cuore delle giovani sue figlie quegli effluvii d'amore che inondavano l'anima sua. Le incoraggiava con la parola, le riempiva di santo entusiasmo. Buona, affettuosa, piena di premure tenere e delicate, spiegando loro le leggi dell' Istituto lo faceva con sì penetrante convinzione che pareva appianare ogni difficoltà. Voleva però che le novizie fossero umili, semplici, obbedienti e che in tutte le loro azioni stessero di continuo alla divina presenza. Non tollerava le mancanze di carità. Voleva che l'amor proprio venisse bandito dal noviziato, e lo soggiogava con mortificazioni molto contrarie al proprio giudizio. E perchè meglio riuscissero nell'acquisto della perfezione, non cessava d'inculcare loro un amore tenerissimo alla SS.ma Vergine. Volle anzi che, prima di coricarsi, chiedessero alla Madonna la materna benedizione col canto della « Salve Regina >>, pratica che fu sempre continuata fino al 1634, quando, professata - come vedremo - dal Monastero la Regola del Terz'Ordine Carmelitano-Teresiano, il pio esercizio si cominciò a praticare in Coro. E la SS.ma Vergine le dimostrò in una visione il suo gradimento per questa pia pratica, assicurandola che quel noviziato era sotto la sua speciale protezione. Altro devoto esercizio che Suor Cherubina inculcava alle novizie era che esse si preparassero con gran fervore alle principali solennità dell'anno, e a tale scopo assegnava loro i temi di meditazione e gli esercizi pratici di alcune virtù. Sotto la guida di una tal madre, le novizie non tardarono molto ad assuefarsi all'amorosa unione del proprio spirito con

Dio. Del resto la fervente maestra era loro di esempio; e i divini favori di cui la vedevano arricchita dal Cielo, erano di sprone alla virtù. Esse la seguivano di estasi in estasi, di prodigio in prodigio,

di ascensione in ascensione, e ripetevano le une alle altre: Quale madre Iddio ci ha dato! Aveva poi vigilanza, prudenza e talento quale altri non poteva avere: il suo sguardo comprendeva e distingueva i bisogni particolari di ciascuna. Dio le aveva dato anche il dono di leggere nel  futuro e di scrutare i più segreti ripostigli del cuore delle sue figlie: si meravigliava essa stessa di veder così chiaro. Ad una giovine che era stata in educazione nell' Istituto senza pensiero di rendersi religiosa, mentre scendeva le scale per uscire e tornarsene in famiglia, le va incontro e le dice: « Vai pure, chè presto sarai di ritorno ». Infatti, poco tempo dopo Iddio parlò a quell'anima, e la fanciulla chiese di essere accettata nel noviziato. Di un'altra invece, che diceva avere una grande vocazione e sulla quale le religiose avevano posto le più belle speranze, fu udita preconizzare: « Questa pecorella se la Piglierà il lupo ». E purtroppo avvenne così: tolta di educazione e tornata in famiglia, quella giovinetta fu preda del vizio. Una mattina, mentre le novizie stanno per accostarsi alla santa Comunione, Suor Cherubina chiama in disparte una di esse e le dice di andare, prima di accostarsi alla Sacra Mensa, a confessarsidi un certo peccato commesso nel secolo.

Era vero: quella "fanciulla, per vergogna, aveva taciuto un peccato. Si confessò, e ritrovò la pace e il conforto. Con tali mezzi la Serva di Dio eccitava le novizie all' interiore rinnovamento dello spirito, senza il quale l'anima non potrà mai arrivare alla vera perfezione. E il frutto di questa saggia direzione fu veramente copioso : basti dire che sotto Suor Cherubina le vocazioni si moltiplicarono e quelle anime fecero profitti tali da divenire presto esse stesse modelli di perfezione.

Suor Cherubina era ancora Maestra delle novizie, quando, durante un'estasi, le fu rivelato la grande calamità che stava per piombare sull' Italia: la peste.

Nel giorno del Corpus Domini del163I, rapita nuovamente a se stessa, fu udita esclamare: << È sdegnato il Signore, vuol castigare severamente il mondo. Ah! mio Dio, abbi pietà di questa città, a Te solo soggetta; liberala. Salva, o Signore, il popolo tuo. Non guardare, o Dio di misericordia, il nostro errare, non voler che l'uomo perisca. Mira che l'infelice tua creatura si umilia sotto il tuo Piede e ti supplica. E tu, Madre di pietà, rimira i nostri sospiri». Poi, rivolta alle religiose:

<< Gridiamo misericordia, o sorelle doman­

diamo pace e perdono ».

Poco tempo dopo giungeva notizia che il flagello aveva già infestato gran parte dell' Italia e che anche nella città di Lucca e nel suo territorio faceva strage. Allora la Serva di Dio raddoppiò lacrime e preghiere: le penitenze che impose  a se stessa fanno rabbrividire la nostra

fiacca natura. Le religiose la vedevano spesso gemere ai piedi dell'altare e l'udivano scongiurare il Signore ad allontanare quel terribile flagello dal territorio lucchese e a sfogare il suo sdegno intera­

mente su lei. Esse pure ne seguivano l'esempio: si facevano processioni pel Monastero cantando i Salmi Penitenziali, si praticavano da tutta la comunità rigorosi digiuni ed aspre discipline, si pregava giorno e notte davanti al SS.mo Sacramento per placare la divina giustizia.

Un Venerdì, mentre Suor Cherubina ai piedi del Crocifisso rinnovava le sue suppliche, udì questa voce: « Qui non seguirà. Per le anime a te Più care e per la terra ove abiti, il mio castigo lo soster­

rai tu ». Ed ella, risoluta, senza esitare, in uno slancio generoso d'amore, si offrì vittima di espiazione per gli altrui peccati. Tosto si manifestarono in lei infermità gravi e stravaganti. Febbri altissime e gonfiori in varie parti del corpo, così che fu creduto che fosse stata attaccata dal terribile male, e per suggerimento del medico si separò dalle altre religiose. L'opprimeva un grande affanno e la sorprendevano forti convulsioni, Alcune volte si vedeva battere i denti per freddo, altre bruciava per ardentissima febbre.

« Mio Dio, - esclamava - non posso Più;

ma voglio patire, aiutatemi >>.

Il medico stesso era impressionato per i sintomi strani di quel male misterioso; ma quando seppe dell' offerta fatta a Dio dalla malata, comprese che i suoi rimedi erano inutili e non li continuò più.

In tal modo la Serva di Dio passò tutta l'estate del 1631, nel qual tempo, soltanto nel lucchese, il numero delle vittime ascese a quasi trentamila. Camaiore rimase del tutto illesa. I cittadini attribuirono questa grazia ai meriti della vittima volontaria vivente nella loro città e ad una voce la dicevano la salvatrice di Camaiore. Solamente essa, sempre così umile, non voleva tenersi per tale e attribuiva quella preservazione alla virtù del Nome SS.mo di Gesù Patrono del Comune di Camaiore e al patrocinio del suo apostolo S. Bernardino da Siena.



Prima di accennare alla parte che ebbe Suor Cherubina nella riforma del suo monastero, soffermiamoci un istante sulla soglia di questo dolce asilo; non dispiacerà al lettore di conoscerne le sue origini.



Il Monastero di Camaiore fu fondato nel 1588 da alcuni gentiluomini di quella città. Sei povere fanciulle si consacrarono al servizio divino professando voti privati e chiamandosi della Congregazione dei SS.mi Nomi di Gesù e Maria. Nel 1633, per

concessione di Urbano VIII, passarono al Terz'Ordine di S. Teresa e ne professarono la Regola il 14 Maggio. 1634 . Il 24 Agosto 1843, Gregorio XVI accordava a questo Monastero di professare

con voti solenni la Riforma di S.Teresa in tutto il suo pieno rigore ; però rimetteva alle disposizioni dell' Arcivescovo di Lucca il regolare come meglio credesse ogni sua concessione. Fu stabilito che professassero la Regola apportando vi però alcune modificazioni, e le religiose, benchè a malincuore, vi si assoggettarono e professarono il 26 Febbraio 1844. Il 4 ago­

sto 1875 fu loro concesso di principiare, come prova, la piena osservanza del Carmelo Riformato; e finalmente, il 6 Gennaio 1876, furono appagati i loro voti ed abbracciarono in tutto il suo rigore

la nostra Riforma Teresiana.

Ciò premesso, è bene dir subito che si deve alla parola, alle virtù, alle sante industrie di Suor Cherubina se l'Istituto della Pia Congregazione di Gesù e Maria

si convertì in un Carmelo. Suo intendimento era che le religiose abbracciassero subito la Riforma di S. Teresa e a questo scopo non lasciò nulla d' intentato. Sappiamo da antiche memorie che

Suor Cherubina aveva avuto particolari rivelazioni e preveduto il futuro Istituto Carmelitano ; infatti quando alle suore fu data la grazia di abbracciare in tutto il suo rigore la Riforma di S. Teresa, ella

le confortò e predisse che un giorno quel monastero sarebbe divenuto un Carmelo

Riformato.

Ottenuta che fu dalla comunità la concessione di Urbano VIII di passare al Terz'Ordine, era tanta la stima e la venerazione che si aveva di Suor Cherubina che, nelle elezioni che precedettero la

professione, avvenuta come abbiamo detto il 14 Maggio 1634, fu eletta di comune consenso Sotto priora. La Serva di Dio, costretta dall'obbedienza, dovette accettare quell'ufficio che esercitò poi sempre in grande umiltà, tanto che nel giorno della professione - dicono le memorie

di allora , pronunziò i suoi voti dopo le converse. E fu in quella circostanza che, in memoria del mirabile Agnello a lei apparso, chiese ed ottenne di essere chiamata SuorCherubina dell' Agnus Dei.

Per ispirazione divina compilò le Costituzioni ed ebbe in ciò suggerimenti ed aiuti dalla Nostra Santa Madre Teresa che le apparve più volte. E le religiose le accettarono come un dono del Cielo

ed in Capitolo le approvarono ad unanimità di voti.

Così la città di Camaiore ebbe a salute e gloria sua un giardino di fiori del Carmelo, passato da semplice Terz'Ordine a pio asilo di Carmelitane Scalze.



Nel 1643 Suor Cherubina veniva eletta Priora del Monastero. Benchè riluttante, alla voce dell'obbedienza aveva dovuto piegare il capo; poi, ritiratasi in disparte davanti ad un' immagine di Santa Teresa, aveva esclamato: « O mia pietosa Madre, se voi non porgete la mano a questo mio grave peso, andrò certamente perduta. Come potrò reggere altri se per me stessa

sono così fragile?». E la Santa Madre le apparve e l'animò a non temere, promettendole il suo aiuto.

Per poter compiere santamente il suo dovere chiese ed ottenne dal Signore la

grazia di essere esentata da quelle estasi e rapimenti ai quali andava sovente soggetta. Ed infatti, nei due trienni che fu superiora, questi doni spirituali rallentarono e potè tutta applicarsi al bene spirituale delle sue figlie. Il Signore, per animarla nella sua missione, le fece anzi un'altra grazia: quella di farle vedere il suo Angelo Custode accompagnato da un altro Angelo che in tutto l'assistevano, la confortavano, la tenevano lontana dalle insidie del demonio. Con quanta umiltà, carità, compassione e pazienza la Serva di Dio trattasse con le suddite non si potrebbe in alcun

modo raccontare. Raccomandava loro che si esercitassero nell'umiltà, nell'annegazione del proprio giudizio, nell'obbedienza, nella carità, e accendeva nei loro cuori lo zelo della salute delle anime e una grande stima della professione religiosa. Era tanta la soavità dei modi e delle parole

che ella usava per piegarle a far ciò che più ripugnava alla natura che la pena si cambiava per esse in gioia !Voleva poi che penetrassero bene quanto sia nobile la virtù' della santa povertà, e se qualche volta mancava anche il necessario per il sostentamento della comunità, le esortava a riporre la loro fiducia nella bontà del Padre celeste. « Speriamo, speriamo, o figlie carissime,

- diceva loro - non è lontano chi tiene memoria di noi. Ecco lo Sposo delle anime nostre che batte alla porta». Ed effettivamente si sentiva spesso suonare alla portineria del Monastero ed erano persone che venivano a recare larghe sovvenzioni alle religiose. Un giorno che la necessità urgeva,

disse: « Fate cuore, sorelle, in breve saremo soccorse di un migliaio di scudi». Non credendo -una religiosa alla predizione, la Serva di Dio soggiunse : « Ma che direste se fossero duemila?  « Eh, madre mia,  rispose l'altra, - voi dite così per tenerci sollevate ». « Ma se fossero circa tremila scudi, - riprese la Serva' di Dio, che cosa direste? ». Fu così troncato il discorso, ma poco tempo dopo un buon sacerdote, Don Nicco1a Pieri, Rettore della Chiesa di S. Cristoforo in Lucca, moriva e lasciava erede universale il Monastero di S. Teresa in Camaiore. L'eredità, liquida e ridotta in contanti, ascendeva

a duemila scudi. In tutto  era circa tremila scudi. Una delle preferenze di Suor Cherubina, una delle gioie più grandi del suo cuore , era la cura delle suore malate.

Ella riserbava per loro le più squisite attenzioni. Vigilava perchè non mancasse loro nulla, preveniva i loro desideri e s’ingegnava di procurar loro tutti quei diletti che la loro immaginazione irrequieta

ricercava. Si tratteneva con loro lunghe ore parlando di Dio, delle sofferenze di

Lui e  della ricompensa del Cielo, con tale unzione che esse dimenticavano i loro dolori. E quando la morte si avvicinava, ella  non abbandonava più il letto della

moribonda, e pregava con crescente fervore fino a che 1'anima della sua cara

figlia non fosse davanti a Dio.

Questo in breve, il quadro stupendo dell'apostolato di Suor Cherubina fra le

Sue figlie. Come Santa Teresa aveva accettato l'ufficio di priora per servire alle

Sue sorelle :che meraviglia se le sue virtù unite  a così grande attrattiva le conquistarono tutti i cuori?



Suor Cherubina s'infermò nel 1661 e per sedici mesi, prima di sciogliere il volo verso il Cielo, fu costretta a giacere in letto fra spasimi atroci dando alle sorelle l'esempio delle più eroiche virtù.

Fino dai primi del 1660 le si era mostrato un gonfiore al braccio destro che poi si estese al petto e formò sotto la mammella uno scirro maligno che, col sopraggiungere dell'estate, si cambiò in

piaga dolorosissima ed insanabile. Le sue sofferenze crebbero di giorno in giorno.

Ai dolori fisici si aggiunsero ben presto quelle prove dello spirito con le quali il Signore dava gli ultimi tocchi di perfezione a quell'anima eletta; L'abbiamo vista favorita da Dio di doni inauditi e di

inaudite consolazioni; amata da tutte le religiose sue consorelle; dolce, gentile,

attraente, era stata per esse guida sicura all'eccelso fastigio della virtù. Ora, nel tempo che le rimane di vita, la troviamo immersa come il suo Divin Maestro in un mare di dolori. Sì acerbe erano le prove interiori le quali accompagnavano le sue sofferenze corporee, che, a somiglianza di Nostro  Signore, avrebbe potuto dire: L'anima mia è triste fino alla morie ».

Le religiose, che a gara si disputavano la felicità di assisterla, la confortavano col

ricordarle che quelle sofferenze di corpo e di spirito erano il suo purgatorio antici­pato.  Ed ella: « Tutto mi si deve per giustizia ; in Purgatorio spero andare per la misericordia divina, e mi è di gran conforto meditare la giustizia di Dio », Poi, in uno slancio di purissimo amore: « O mio buon Gesù - esclamò - schiantate a vostro piacere questo petto; io vi amo, e sempre vi amerò

Più si avvicinava il suo termine, più ella vi si preparava. Il suo volto era sempre atteggiato a compostezza anche quando più forti erano i suoi dolori. Ad ogni sorta di sollievo che la carità delle

sorelle le somministrasse rendeva sempre cordiali ringraziamenti e non si saziava di tenere lo sguardo rivolto ad un Crocifisso che pendeva alla parete della sua cella.

Certa ormai che poco le restava di vita,quasi dimentica dei suoi dolori, si

fece a confortare le afflitte sorelle: << se vivendo - disse loro - vi ho amate

sommamente, quando sarò giunta a godere il mio Bene vi prometto che vi amerò

assai di Più. Non altra grazia voglio chiedere per ciascuna' di voi se non che tutte

vi salviate >>. Il 9 gennaio 1663 il P. Girolamo Fiorentini, che l'assisteva, vedendo aggra­

varsi le condizioni della Serva di Dio, l'esortò a prepararsi all'estremo passo.

Ella ricevè la santa Comunione con trasporti di gioia e, dopo un lungo ringraziamento, mandò a chiamare la Madre Priora, che le era succeduta nell'ufficio, e volle essere da lei benedetta. Quindi chiese l'Estrema Unzione. Poi rimase assorta in orazione fino alle tre e mezzo antimeridiane del giorno 10, domandò alla suora assistente che ora fosse, e rispostole che erano vicino le quattro, sembrò contenta. Alle quattro precise, dato uno sguardo al Crocifisso, come se ella si addormentasse, placidamente spirò. Era il10 gennaio 1663: il fiore purissimo, inchinatosi sul suo stelo, veniva trapiantato in Paradiso. Appena la Serva di Dio fu spirata,

la sua carnagione prese bel colorito e lucentezza bella a vedersi. Per appagare la devozione del popolo salma fu esposta nella Chiesa del Monastero. Poi, durante la notte, fu chiusa

in una cassa di legno e calata nella comune sepoltura delle religiose.

Sei anni appresso, nel I669, fu fatta la prima ricognizione di quelle sacre

spoglie e quelle ossa, chiuse in cassa di piombo furono collocate nella Chiesa del Monastero dalla parte sinistra dell'altare.

Grazie e prodigi accompagnarono il felice transito della Serva di Dio; e i cittadini di Camaiore, che ne sperimentarono il potente patrocinio, non si stancavano di chiedere reliquie di lei. A diffondere il

buon nome e la fama di santità di Suor Cherubina, il Signore permise che questa devozione si mantenesse fino ai giorni nostri col concedere per l'intercessione della  Sua Serva mirabili ed anche prodigiose guarigioni. Finalmente nel I923 fu fatta un'ultima

ricognizione  di quegli avanzi mortali. Dovendosi demolire l' antica Chiesa di S. Teresa m Camaiore per dar posto al nuovo edificio scolastico, le Monache chiesero ed ottennero  dalle Autorità Ecclesiastiche e civili di trasportare nella loro nuova Chiesa quelle sacre reliquie.  La ricognizione venne fatta il 27 ottobre del 1923 e quelle ossa chiuse in cassa di zinco, vennero trasportate e murate nel Coro interno della Chiesa del Monastero, sotto la piccola finestra del Comunicatoio. Successivamente, in seguito al trasferimento del Monastero Santa Teresa da Camaiore a San Colombano- Lucca, furono traslate nel nuovo Monastero e qui sono tutt’oggi nella Sala del Capitolo Monastico della Comunità delle Carmelitane Scalze di Santa Teresa.


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